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 Home page - Una chiesa al mese - Arcidiocesi di Cagliari, chiesa di Sant'Eusebio - Scheda completa 

Sant'Eusebio

Cagliari, via Quintino Sella

02/01/2013
A nord ovest del centro storico di Cagliari, attorno al colle San Michele, si distende l’area di Is Mirrionis, sobborgo rurale ancora poco insediato nella prima metà del Novecento, ma che durante la Seconda Guerra Mondiale diventa sede di acquartieramento di truppe. Nel Dopoguerra le baracche e i magazzini militari sono occupati dai senza tetto e dagli sfollati desiderosi di rientrare in città, determinando situazioni estreme di precarietà igienica e di convivenza civile.
Fin dal 1950 una prima cappella provvisoria è allestita, dagli abitanti stessi, sotto un porticato. Nella seconda metà degli anni Cinquanta l’area, in cui il problema degli sfollati non è stato risolto, viene investita da un’imponente opera di urbanizzazione, promossa dall’istituto case popolari, dall’Ina-Casa (1957) e dalla Gescal (1961).
Una nuova parrocchia – dedicata al sardo San’Eusebio, vescovo di Vercelli – viene istituita il 15 dicembre 1958 da mons. Paolo Botto, arcivescovo di Cagliari (1949-1969); il primo parroco è don Francesco Alba, responsabile del neo-istituito Ufficio tecnico per i problemi di edilizia dell’Archidiocesi.
La prima sede è realizzata nel garage/magazzino di una palazzina Ina-Casa all’inizio della via Is Mirrionis, dove la parrocchia acquisisce altri locali da destinare a scuola materna, doposcuola e laboratorio taglio-cucito. Il piano dell’Ina-Casa aveva tuttavia riservato un lotto di terreno per la parrocchia: un tecnico dell’ente stesso, l’ing. Giovanni Bergamo, redige un primo progetto. Il terreno (di 6500 mq) è donato nel 1963 dalla Gestione Case per Lavoratori, ma l’atto è perfezionato solo il 14 luglio 1967. Il progetto definitivo del complesso parrocchiale è firmato dall’ing. Giuseppe Del Rio di Cagliari, da vent’anni attivo nella professione, in stretta sintonia con il parroco fondatore: la ricerca progettuale cerca di tradurre in forme “moderne” lo spirito innovativo conciliare, venutosi sviluppando proprio negli anni di ideazione del complesso, successivi al 1963.
L’opera si è avvalsa dei contributi di legge statali e regionali, ma sono stati necessari mutui bancari e un sostanziale e continuativo contributo dei fedeli. Per sviluppare una sorta di ‘azionariato diffuso’ ha operato l’iniziativa “Diamo casa a Gesù”, messa in atto da un gruppo di zelatrici incaricate di raccogliere fondi, anche minuti, tra le famiglie parrocchiane.
Il cantiere del centro parrocchiale, portato avanti dal secondo parroco don Antonio Porcu (1968-1981), è stato improntato a criteri di gradualità: dapprima una chiesa provvisoria, associata al nucleo iniziale di spazi per la catechesi; poi l’aula liturgica principale, completata nel dicembre 1971 e consacrata dall’arcivescovo card. Sebastiano Baggio il 17 gennaio 1972.
La consacrazione  non segna, ovviamente, la fine del cantiere: se già don Porcu aveva sentito la necessità di commissionare un tabernacolo e un fonte di interesse artistico, don Paolo Alamanni (1982-1989) continua a sviluppare il programma iconografico, la cui realizzazione è affidata al ceramista Claudio Pulli. La funzionalità del complesso viene progressivamente aggiornata (aule di catechismo nella prima “chiesetta”, riuso del vecchio salone e realizzazione del nuovo sotto-chiesa) e vengono allestiti gli spazi aperti, in particolare con la piantumazione degli eucalipti e dei pini nell’ampio giardino alle spalle dell’abside e delle opere parrocchiali.
Per la cura degli spazi parrocchiali il parroco don Eliseo Mereu (1989-2002) incarica un gruppo di parrocchiani di costituire una vera e propria “fabbrica di S. Eusebio”, ossia una squadra di intervento continuativo che si fa carico del rinnovo dei locali per i giovani, del completamento del teatro e della sostituzione delle vetrate originarie.
02/01/2013
I pesanti bombardamenti subiti dalla città durante la Seconda Guerra Mondiale hanno causato, nel secondo Dopoguerra, una stagione di pesantissima emergenza abitativa, associata a un disagio sociale e lavorativo altamente pervasivo. L’area già rurale di Is Mirrionis vede giustapporsi, in una miscela ad alto rischio, una concentrazione disumana di occupanti nelle ex-baracche militari, un’alta densità di nuove costruzioni di edilizia popolare e altre iniziative edilizie spontanee, per arrivare a un totale di 2000 nuove famiglie. Il Piano Regolatore Generale tenterà, nel 1962-1965, una risposta ormai tardiva a tali problemi.
La gravità della situazione non è ignorata dall’amministrazione diocesana: l’arcivescovo mons. Botto promuove l’istituzione di 13 nuove parrocchie a Cagliari e sobborghi nei primi dieci anni del suo ministero pastorale, cui seguono altre dieci fondazioni. Nell’area di Is Mirrionis inizia a operare dal 1953 la parrocchia della Medaglia Miracolosa, cui seguono San Francesco d’Assisi (1954) e Sant’Eusebio (1958).
Nonostante la progressiva articolazione della nuova rete parrocchiale, negli anni Settanta la parrocchia di Sant’Eusebio supera i 20 mila fedeli di competenza. Il primo parroco, don Alba, e il secondo, don Porcu, affrontano l’emergenza pastorale e sociale, intraprendono la costruzione di un complesso pastorale di ampio respiro e baricentrico rispetto al quartiere, ma soprattutto promuovono la costruzione ecclesiale della comunità: il Consiglio Pastorale Parrocchiale di Sant’Eusebio è uno dei primi organismi partecipativi istituiti nell’Italia post-conciliare, raggiungendo notorietà nazionale.
L’attenzione all’ampiezza e alla qualità degli spazi per il culto è associata anche alla cura per la partecipazione liturgica popolare: in occasione della consacrazione della chiesa, avvenuta il 17 gennaio 1972, non essendo ancora ufficiale la versione italiana, viene adottata una traduzione ‘artigianale’ del rito, sotto la supervisione dell’arcivescovo card. Sebastiano Baggio, proveniente dalla carriera diplomatica, nominato l’anno successivo Prefetto della Congregazione dei Vescovi.
02/01/2013

Costruita negli anni immediatamente successivi alla chiusura del Concilio Vaticano II, la chiesa di Sant’Eusebio è stata laboratorio di sperimentazioni per la sistemazione rinnovata dei poli liturgici. L’ampio spazio presbiteriale e la luminosità dell’aula hanno consentito – con approssimazioni successive – la progressiva messa a punto di assetti adeguati e convincenti.

Lo schema iniziale , ideato prima della riforma liturgica, prevedeva un altare isolato al centro dell’ampio presbiterio, su una pedana sollevata di tre gradini; non era ancora previsto lo spazio per la Parola. La sede era collocata in asse alla chiesa e all’altare, sotto la croce. Il battistero era stato probabilmente ipotizzato in uno dei vani posti a fianco alla porta, ma il fonte trova presto spazio sul presbiterio, ai piedi della pedana dell’altare, per rispondere alle esigenze di visibilità comunitaria del rito.
Con lo sviluppo della liturgia postconciliare, ogni polo liturgico  ha avuto una sua ri-focalizzazione: l'altare è stato appoggiato sul piano del presbiterio; a fianco, in posizione leggermente avanzata, è stato installato un primo ambone . Il fonte viene spostato su una nuova pedana rialzata , distinta da quella presbiteriale, a destra dell’assemblea, in uno degli spazi definiti dal perimetro poligonale spezzato. Specularmente al fonte, un’altra pedana ospita il tabernacolo : visibile da ogni parte della chiesa, ma opportunamente defilato rispetto alla mensa eucaristica centrale e all’ambone. La sede viene posizionata a destra dell’altare. I margini esterni dell’ampio spazio presbiteriale si articolano su tre gradini perimetrali, che definiscono il deambulatorio absidale, su cui possono disporsi sedute temporanee per i concelebranti o per parte dell’assemblea , in occasione delle solennità e delle feste principali.
I primi arredi liturgici  erano costituiti da supporti metallici modulari, ora reimpiegati per le blaustre delle nuove pedane e per la costruzione di altri arredi. Fin dall’inizio dell’uso della chiesa era stata sentita l’esigenza di sottolineare il fonte battesimale e il tabernacolo con opere di qualità particolare: gli arredi figurati, in ceramica, sono commissionati a Claudio Pulli, negli anni successivi artefice del programma iconografico complessivo che ha riguardato tutti i poli liturgici e devozionali della chiesa.
 
 
02/01/2013
L’insieme delle opere in ceramica figurata di Claudio Pulli definisce un programma iconografico organico, che coinvolge sia i poli liturgici (altare, ambone, fonte, sede, tabernacolo), sia gli spazi a questi connessi (cena di Emmaus presso il tabernacolo, battesimo di Cristo dietro al fonte), sia le devozioni (statua della Vergine, via crucis).
La base dell’altare è costituita da tre lastre di ceramica policroma a bassorilievo, raffiguranti la Pentecoste. L’ambone riprende il tema consolidato del tetramorfo apocalittico, inteso come simbolo dei quattro evangelisti. I dossali della sede evocano tre soggetti pasquali: al centro la Resurrezione, a sinistra gli apostoli e le donne presso al sepolcro vuoto, a destra l’incredulità di San Tommaso.
Anche il tabernacolo riprende alcuni temi iconografici tradizionali: in alto il pellicano che nutre i pulcini (simbolo eucaristico del genitore che offre se stesso come cibo ai figli, sacrificandosi per essi), sul basamento uva e grano fiancheggiano la croce e due colombe affrontate bevono al calice. Sulla parete dietro il tabernacolo, lo spazio perimetrale della chiesa è qualificato dal bassorilievo raffigurante la cena di Emmaus, posto in opera in occasione del 25° anniversario della fondazione (7 dicembre 1983).
Sulla base del fonte  sono graffite scene evangeliche che richiamano il battesimo di Cristo e la storia della Salvezza; dietro al fonte è stato collocato il bassorilievo con il battesimo di Cristo.
L’asse centrale della chiesa è concluso dal crocifisso , addossato al pilastro centrale del perimetro absidale: alla primitiva croce – la cui struttura metallica richiamava i materiali e le forme dell’altare, per segnare il nesso inscindibile tra croce ed eucaristia – è stato successivamente aggiunto un crocifisso ligneo intagliato.
Nelle vetrate a coronamento dell’abside, alla fine degli anni Ottanta e a completamento del programma iconografico complessivo, è stato ideato un ciclo figurativo riferito alla vita di Sant’Eusebio, titolare della chiesa: Gianni Argiolas (Monserrato 1947) ha dipinto 14 scene della vita del santo (partenza per Roma, predicazione, esilio e rimpatrio), su uno sviluppo di circa 70 metri, eseguite nel 1992 dalla ditta Laborvetro di Cagliari.
Il santo titolare è anche ricordato dal quadro ad olio del pittore vercellese Francesco Giuseppe Rinone, offerto a Vercelli dall’Enal locale (Ente Nazionale Assistenza Lavoratori) nel 1962 e affidato all’Enal di Cagliari; l’opera è esposta in sacrestia. La statua in chiesa è stata invece commissionata ad artigiani di Ortisei negli anni Settanta.
02/01/2013

La chiesa di Sant’Eusebio è una delle più vaste della città: ha proporzioni ampie, spazi distesi e luminosi, definiti da semplici superfici piane in mattoni, intelaiate da strutture in calcestruzzo armato. Le pareti perimetrali sono piegate, determinando un’articolazione laterale che consente di definire spazi sussidiari per le statue devozionali, per i confessionali e per tabernacolo e fonte. L’abside è differente dall’aula: i telai strutturali si staccano dalle pareti, semplicemente intonacate e imbiancate, e definiscono uno spazio con copertura nervata, che richiama temi quasi gotici.

La luce naturale piove dall’alto, grazie alle aperture poste alla sommità delle pareti laterali. Nonostante la sobrietà assoluta di materiali e strutture, lo spazio ha una luminosità e una tattilità calde, grazie al riflesso della luce sulle superfici laterizie e sui pavimenti in marmo rosso e giallo.
L’illuminazione artificiale segna l’asse centrale della chiesa, sottolineato da una sequenza di lampadari in ferro battuto. Nuovi punti luce perimetrali contribuiscono all’illuminazione diffusa dello spazio.
Per quanto riguarda il comfort termico, la chiesa presenta difficoltà climatiche: se il grande volume consente un certo raffrescamento estivo, costituisce invece un serio problema per la stagione rigida invernale; non è stato previsto un impianto di riscaldamento.
02/01/2013

Come richiamato nei paragrafi iniziali, il complesso parrocchiale e la comunità sono cresciuti contestualmente. Fin dai progetti iniziali, grande attenzione è stata dedicata agli spazi per le opere pastorali, sociali e caritative, da cui è iniziata la costruzione della parrocchia; la realizzazione dell’ampia chiesa consente tuttavia di sottolineare l’importanza affidata alla vita liturgica della comunità, connotata da una sobria monumentalità e da una profonda dignità. Attualmente la chiesa è affiancata da un ampio cortile , a un livello più basso corrispondente al salone sottochiesa, su cui si affacciano le opere per il ministero pastorale e la prima cappella provvisoria, anch’essa trasformata.

02/01/2013
Il lotto donato dalla Gescal è baricentrico rispetto al quartiere, ma l’articolazione degli spazi non si affaccia direttamente sulla viabilità principale: in particolare la facciata e il sagrato della chiesa si aprono su uno spazio sostanzialmente interno all’isolato stesso, e anche gli ampi volumi del complesso sono difficilmente percepibili dall’esterno. La facciata e i lati della chiesa sono protetti da un portico, che consente di utilizzare spazi aperti, ampi ma riparati.
Il ‘bosco di eucalipti e pini piantato dietro l’abside e alle spalle delle opere pastorali costituisce un’area verde certamente gradita ed efficace, ma che maschera l’articolazione volumetrica della chiesa e dell’intero complesso.
02/01/2013

Sostanzialmente, il cantiere di Sant’Eusebio è un elemento costitutivo della comunità stessa. Come sopra accennato, dopo la consacrazione della chiesa nel 1972 i lavori hanno coinvolto, con fasi e tempi diversi, le diverse parti delle opere pastorali e sociali. Il programma iconografico, impostato secondo criteri coerenti ed esaustivi, si è sviluppato per i venti anni successivi all’apertura della chiesa, e probabilmente potrà essere ulteriormente implementato.

Si può però ritenere che è la manutenzione ordinaria il vero fiore all’occhiello della parrocchia, che ha saputo aggiornare la chiesa pur senza stravolgerne i valori originari di sobrietà e povertà. Gli interventi più recenti, condotti sotto la guida di don Giuseppe Cadoni (parroco dal 2002), hanno riguardato la tinteggiatura delle superfici in cemento – ripristinando il candore absidale e dando una tonalità più calda ai telai strutturali –, la messa a norma degli impianti e la manutenzione delle coperture.
L’anno 2008 è stato segnato da due importanti eventi: la celebrazione del 50° anniversario di fondazione della parrocchia, con la solenne concelebrazione dell’arcivescovo mons. Giuseppe Mani e di tutti i parroci precedenti, e il passaggio del papa Benedetto XVI (7 settembre 2008) in visita pastorale a Cagliari, diretto verso il Seminario Regionale, non lontano dalla parrocchia.
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