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per gli incaricati diocesani
Una citazione   versione testuale
«L'architettura come attività umana non è mai disimpegnata dai valori morali, perché nessun atto umano consapevole può consumarsi nella pura fattività senza offendere e negare la natura spirituale dell'uomo (mi riferisco alla moralità insita nell'atto proprio dell'architettura, e non alla moralità delle ragioni che danno occasione dell'atto, e quindi lo precedono). L'atto dell'architettura può redimere, cioè tradurre in valore, un movente fatuo o addirittura errato; e per contro può svuotare di valore, irridere e negare i valori che l'hanno promosso e sollecitato, per non essere stati assunti ed espressi da una voce di persona ma dispersi in un gesto convenzionale.
Ne viene, come corollario, che l'atto dell'edificare, nella misura in cui si pone come presenza fra gli uomini, è impegnato a tradursi in valore espressivo. L'errore di certo eclettismo che ha fatto le sue prove – e sembra riaffiorare tra le pieghe di un intellettualismo disorientato – è di fare dell'atto umano un puro divertimento, disimpegnato dalla vita, da una vera sostanza umana che lo necessiti. L'errore degli stilismi, vecchi o recenti, è di fare dell'atto umano un gesto convenzionale, iscritto in un ordine esteriore (di gusto) e non mosso e conseguente a una realtà umana, cioè, non una voce di persona» (dalle pagg. 142-142).

 
 
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