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Home page - Una chiesa al mese - Vicariato di Roma, chiesa di San Valentino - Scheda completa | | Roma (Villaggio Olimpico), via Germania 13 | |
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23/08/2011
Il Villaggio Olimpico viene realizzato per i Giochi del 1960. Terminata la sua funzione legata all'evento, viene destinato ad uso abitativo per impiegati e funzionari di enti pubblici. La parrocchia del nuovo quartiere viene eretta il 2 maggio 1962, con decreto del Card. Vicario Clemente Micara. La dedicazione a San Valentino è legata alla prossimità del sito delle catacombe del martire. La prima sede della parrocchia è costituita da un capannone prefabbricato, collocato alla testata nord dei blocchi di abitazione, in adiacenza ad altri servizi di quartiere. La diocesi negli anni Settanta entra in possesso di un isolato, stretto e allungato, adiacente alla rampa di salita del ponte Flaminio (corso Francia), in un'area baricentrica rispetto alle due parti del Villaggio Olimpico. Su tale lotto la comunità promuove un primo progetto di sede definitiva della parrocchia, ma i vincoli idrogeologici impongono di ripensare l'intervento. L'iniziativa viene allora assunta direttamente dal Vicariato, che affida il progetto a Francesco Berarducci, vincitore del noto concorso per la chiesa di Nostra Signora di Bonaria a Ostia Lido, bandito dall a diocesi romana nel 1967, e già chiamato a realizzare un'altra chiesa a Quartu Sant'Elena (Cagliari), su analogo impianto liturgico. La definizione della chiesa del Villaggio Olimpico assumerà tuttavia un percorso assolutamente originale rispetto ai precedenti, grazie anche al contributo decisivo del parroco, padre Dino Fortunato.
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23/08/2011
Il contesto urbanistico. Il Villaggio si estende tra Villa Glori e la direttrice storica della via Flaminia, secondo il Piano particolareggiato del 1959 attuato dall'Istituto per la Case degli Impiegati dello Stato (INCIS), che avrebbe in seguito trasformato le residenze degli atleti in un quartiere per 6.500 nuovi abitanti. Il progetto (Vittorio Cafiero, Adalberto Libera, Luigi Moretti, Vincenzo Monaco e Amedeo Luccichenti) costituisce una delle pagine più interessanti dell'architettura romana del Dopoguerra, sia per l'omogeneità e la qualità dell'edilizia , sia per il rapporto tra ambiente costruito e spazi verdi. Nel quadro di una disposizione aperta degli edifici, la parrocchia costituisce un "isolato" rettangolare compatto, chiaramente delimitato ma permeabile e aperto; una superficie "ritagliata" e riconoscibile, ma integrata nel continuum spaziale del Villaggio. Il contesto ecclesiale. La Chiesa di Roma, come tutte le istituzioni diocesane delle metropoli italiane, si è trovata a rispondere nel Dopoguerra a una forte richiesta di nuovi spazi di culto nelle periferie urbane. Negli anni dell'episcopato del Card. Vicario Ugo Poletti (1973-1991), che consacra san Valentino nel 1986, vengono eretti circa 80 complessi parrocchiali: mentre i primi interventi sono segnati dall'urgenza del contesto sociale ed economico – segnalata anche dal noto convegno ecclesiale diocesano del 1974 e dal primo convegno ecclesiale italiano di Roma del 1976 –, alla fine degli anni Ottanta emerge l'esigenza di una rinnovata qualità e identità delle chiese e dei complessi parrocchiali, attenta al contesto ambientale, all'ospitalità liturgica, all'espressione artistica e alle esigenze pastorali più aggiornate. Il contesto progettuale. Francesco Berarducci è chiamato a introdurre il resoconto delle attività edilizie della Pontificia Opera per la Preservazione della Fede e la Provvista di Nuove Chiese in Roma tra il 1971 e il 1990 ( Guida 1990), da cui emerge una forte eterogeneità di approcci progettuali e di esiti, che sfuggono ad ogni possibile classificazione tipologica. Beraducci propone quindi di riconoscere tre scenari alternativi nel panorama delle chiese recenti: il recupero del rapporto con la tradizione; l'adesione alle indicazioni liturgiche del Vaticano II, con esiti che però talora indugiano su invenzioni strutturali piuttosto esasperate; le soluzioni pragmatiche ed economiche, dettate dalle urgenze pastorali, realizzate con forme non sempre adeguate. Così concludeva la sua sintesi: «Dopo questa fase di ansiose ricerche sperimentali, ci si augura il ritorno a quella serenità spirituale, che genera sicurezza di intenti e pacatezza di linguaggio formale. Solo allora nuove e più rigorose figurazioni architettoniche potranno rievocare la profondità del messaggio culturale della millenaria tradizione ecclesiale» (Berarducci 1990, p. 15). Tale nuovo percorso era già stato avviato da Berarducci proprio in San Valentino, sondando una pluralità di temi compositivi, quali il rapporto con la storia e la tradizione, il legame con l'identità romana, la dimensione "urbana" del complesso parrocchiale, l'equilibrato legame tra l'aula liturgica e gli spazi per il ministero pastorale, il rapporto con il contesto ambientale e la qualità degli spazi.
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23/08/2011
Fin dai primi schizzi del 1979 ( Disegni 1995, p. 119), la sollecitazione alla partecipazione liturgica non è proposta con un'assemblea avvolgente l'altare, ma con un assetto spaziale e luministico gravitante su un ampio e articolato presbiterio, frontale rispetto ai fedeli. L'assemblea è raccolta in un'aula rettangolare, con proporzioni equilibrate tendenti al quadrato; la copertura e l'illuminazione orientano spontaneamente l'attenzione verso una pedana presbiteriale che occupa l'intera larghezza dell'aula e su cui si dispongono i poli liturgici, differenziati per posizione, relazioni reciproche, illuminazione e dettagli costruttivi. Di fronte all'assemblea sono organizzati due "binomi" liturgici: al centro il polo eucaristico, realizzato con uno stretto legame tra la mensa e il tabernacolo; sulla sinistra dei fedeli, il binomio ambone-battistero; al centro, tra i due fuochi bipolari, la sede del presidente, solidale con il presbiterio e la parete di fondo; all'estrema destra, uno spazio adatto ad accogliere temi devozionali, senza interferire con i poli celebrativi; all'estrema sinistra, l'organo e il coro. Un crocifisso è sospeso sopra la pedana presbiteriale, nello spazio libero a destra dell'altare, dove è ritagliata nella parete anche una croce luminosa. I poli liturgici condividono un medesimo linguaggio, coerente con le scelte formali dell'edificio: le basi della mensa, dell'ambone, del fonte e del tabernacolo, nonché la seduta e la pedana della sede, sono costituite da solidi elementari, accomunati da uno stesso materiale (il travertino) . I quattro elementi paiono quasi emergere, in modo spontaneo, dalla piattaforma presbiteriale, da cui tuttavia – a un'osservazione attenta – prendono le distanze: solo la base della mensa è legata alla pavimentazione cruciforme del presbiterio, mentre gli altri manufatti sono distanziati mediante spazi di separazione e dislivelli. Iscrizioni evangeliche sottolineano e commentano la natura degli arredi, privi di ogni altra qualificazione iconografica. Come dimostrano le prospettive di progetto (De Rubertis 1987; Disegni 1990, p. 120), tale equilibrata sintesi tra solidarietà coesa e distacco latente è l'esito di un percorso progettuale lungo. Soluzione certamente singolare è quella delle due absidi: una destinata al tabernacolo – dotata di una torre luminosa, verso cui culmina l'intero sistema di copertura –, una per il fonte battesimale. I due spazi segnano anche il profilo esterno della parete absidale e il volume della chiesa. La cappella feriale, prevista in un vano a sinistra della navata laterale, solo recentemente è arrivata a una compiuta definizione formale, ospitando un intervento artistico di ampio respiro. Per il sacramento della penitenza sono allestiti due confessionali tradizionali, lungo la parete di fondo, in un'area appartata con illuminazione indiretta.
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23/08/2011
La definizione dei poli liturgici è affidata a un linguaggio architettonico unitario, basato sulla geometria e sui materiali. L'unico elemento scultoreo è la raggiera della cassa del tabernacolo, innalzata sulla colonna nella nicchia absidale.Fin dal progetto originario era tuttavia previsto anche un programma iconografico, circoscritto a pochi elementi non strettamente liturgici. Il tema della rivisitazione della tradizione segue una cultura figurativa definibile come "pop" (Berarducci 1995, pp. 50 e 59), che richiama la storia della Chiesa romana: sul sagrato l'identità ecclesiale del complesso è annunciata da una "sezione" bidimensionale dell' angelo portacroce berniniano di ponte Sant'Angelo; all'interno dell'aula, un commento figurativo è affidato alla riproduzione su tessuto di stralci della decorazione pittorica di Pietro Cavallini in Santa Cecilia in Trastevere, degli ultimi anni del Duecento. Sul protiro d'ingresso era stata collocata una colomba librata su una sfera d'oro ma, dopo un distacco accidentale, il manufatto è stato sostituito da un bassorilievo bronzeo con l'immagine del santo titolare della chiesa. Il sistema modulare aperto adottato dal progettista ha consentito di ospitare in modo riconoscibile ma discreto le immagini devozionali che via via sono state ordinatamente esposte nella navata principale: il quadro di San Valentino, l'immagine scultorea mariana e di alcuni santi. Lo spazio a destra del presbiterio ospita richiami iconografici temoporanei legati al tempo liturgico. Il primo crocifisso della parrocchia, già nel capannone provvisorio, è destinato alla meditazione personale: nel progetto originario gli era destinata l'unica "cappella" affacciata sulla navata principale (un setto sagomato a "C": De Rubertis 1987, p. 49), mentre ora è in uno spazio appartato presso il nartece, tra l'ingresso principale e la cappella feriale. Concorre al programma iconografico anche la fascia pavimentale decorata con tarsie in pietra grigia (peperino) e bianca (travertino), che segna una via processionale dal sagrato, all'altare e al tabernacolo. Secondo l'interpretazione dell'attuale parroco, le figure dispiegate sul percorso «fanno pensare a bandiere, come se fosse una processione in cui tutte le nazioni del mondo vanno verso Cristo (non per nulla l'ultimo elemento è la croce). La processione può anche essere letta in senso contrario, come originantesi dalla croce e rivolta ad uscire. Vista in questa prospettiva richiama l'immagine biblica del fiume di acqua viva che sgorga dal tempio e risana il mondo» (Bartoli 2009). Il recente intervento nella cappella feriale dell'artista Pigi (Pierluigi Febbraio) riguarda il tema della Passione di Cristo, dall'Ultima cena, alla Via crucis, per giungere alla Resurrezione, esposta in piena luce sulla parete dietro l'altare. L'artista, in piena sintonia con il parroco committente, rilegge la Passione in dialettica con il tema del Carnevale, inteso come metafora del male del mondo di cui si è caricato Cristo (Templum Victoriae 2003). Il programma iconografico è nato non solo "per" la cappella, ma "dentro" la cappella stessa, che ha ospitato per diversi mesi l'artista, quasi recluso in un ritiro meditativo e creativo; per tale ragione le opere sono collocate in funzione della luce e dello spazio, anche corretti mediante interventi di decorazione geometrica delle vetrate e delle superfici.
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23/08/2011
Il progetto dello spazio e della luce è parte integrante dell'immagine di Chiesa e di assemblea che l'edificio vuole comunicare. Il volume dell'intero complesso è una sommatoria di elementi modulari, in parte murari e in parte trasparenti, che consentono di avere uno spazio interno di grande varietà e di straordinaria luminosità. Sopra i fedeli viene segnato un percorso luminoso principale, che conduce dalla porta alla torre eucaristica, e che si dirama in una sequenza di episodi laterali, che culminano nella calda luminosità dell'intera pedana presbiteriale; specifiche prese di luce segnano anche il battistero (lucernaio sulla seconda torre absidale) e lo spazio devozionale (camera di luce più "terrena"). La qualità della luce diffusa («sintetica», con le categorie di Franco Purini, 1993) si associa con le sottolineature dei singoli episodi che differenziano gli spazi della chiesa (la luce «analitica»). La collocazione in un contesto verde consente inoltre la progettazione di un contatto visivo diretto con la vegetazione circostante. Gli apparecchi di illuminazione sono stati ideati dallo stesso progettista: una guida visiva di luci sospese e orientate al suolo, associata a punti-luce a braciere rivolti verso l'alto. Alla definizione di un ambiente liturgico accogliente concorre anche la selezione di materiali costruttivi tradizionali, "caldi" e percettivamente ospitali, che segnano l'ultima stagione dell'attività di Berarducci, il cui linguaggio è fortemente segnato dalla matericità delle architetture (Alfani 1994, pp. 53 sgg.). Le pareti d'ambito sono realizzate in muratura di mattoni portanti (realizzati a mano e su misure speciali, coerenti con la modularità geometrica dell'insieme), scandite da fasce e da blocchi di testata in travertino. Il pavimento della chiesa e del sagrato è una superficie continua di elementi in pietra scura (peperino), ritmata dal travertino e attraversata dalla fascia processionale intarsiata.
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23/08/2011
Una medesima coerenza formale lega l'aula liturgica e le opere pastorali, grazie a una stessa sintassi geometrica e costruttiva, contribuendo a offrire una visione organica della vita ecclesiale della parrocchia, intesa nei diversi aspetti della liturgia, della catechesi, della carità, ma anche della vita sociale di quartiere. Una prima scelta fondamentale è relativa alla "pelle osmotica" del complesso: un recinto murario definisce l'area, ma tale perimetro è bucato (lascia vedere all'interno), è segmentato (differenziando le diverse funzioni pastorali), è aperto (con diversi tipi di accesso: alla chiesa, alle aule di catechismo, alla casa canonica), è attraversato da un sistema di percorsi legati alla trama relazionale del contesto urbano. Si tratta dunque di una parrocchia "distinta" dal mondo che la circonda, ma compartecipe delle sue sorti, dei suoi problemi. San Valentino presenta dunque un'immagine di Chiesa che sa accogliere anche con livelli diversi di condivisione e di adesione. La comunità può raccogliersi in spazi calorosi e accoglienti, ma mai rinchiusa su se stessa, sempre disposta a lasciarsi "osservare" e "contattare": dai varchi della navata laterale, dal sagrato, ma anche dall'esterno della porta (trasparente, in vetro, visivamente aperta 24 ore al giorno), o dalla recinzione, volutamente "bucata" con fori progettati.Anche l'aula liturgica è uno spazio che sa associare comunione e pluralità: l'invaso offre una sensazione unitaria, ma la copertura segnala una complessità inattesa. In sintesi, secondo l'attuale parroco: «la semplicità delle linee e dei materiali fa comprendere che non si intendeva tanto manifestare la trascendenza di Dio e l'assolutezza di un divino di fronte a cui sentirsi sudditi, quanto la familiarità con Dio che nasce dalla preghiera e l'incarnarsi del Verbo, che ha posto la sua "tenda" in mezzo a noi. Se mi si perdona l'espressione, il Cristo che abita a San Valentino non è il Cristo Re delle grandi cattedrali barocche, quanto il Cristo umile e feriale, l'Operaio di Nazareth» (Bartoli 2009). Gli spazi per le diverse funzioni pastorali sono articolati su un lungo asse lineare di attraversamento coperto, scandito da tre spazi di relazione aperti: il sagrato aperto al quartiere, il patio-chiostro interno con la casa canonica , il cortile dell'oratorio, oltre alla fascia verde lungo le aule di catechismo. Gli spazi interni, connessi dal percorso longitudinale, offrono luoghi di incontro flessibili e ospitali, tra cui un salone polifunzionale nel basamento della casa parrocchiale; il sistema di setti e di vani aperti che ne articola lo spazio ipogeo evita quella sensazione di sciatto anonimato che affligge la maggior parte dei saloni comunitari. Una cella campanaria con struttura metallica è stata inserita – su richiesta del parroco (Berarducci 1995, p. 59) – su una torricina sul lato ovest del sagrato, dimostrando come la struttura modulare aperta consenta adattamenti, revisioni e integrazioni.
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23/08/2011
Il lotto di San Valentino, grazie allo spazio libero sotto la rampa del ponte di corso Francia, è in comunicazione con entrambe le parti del Villaggio Olimpico. L'area è abbondantemente immersa in aree a verde pubblico e si affaccia sull'asse rettore del quartiere, il viale XVII Olimpiade. Il tema della città e del suo rapporto con la storia costituisce uno degli assi portanti dell'attività del progettista (Alfani et alii 1994) e – di fatto – il progetto di San Valentino costituisce una vera e propria proposta di «disegno urbano», un «piccolo ma eccezionale laboratorio per la verifica "in vitro" dell'idea di una nuova città, la città bassa, a misura d'uomo, esclusivamente pedonale, dove anche il campanile della chiesa si commisura alla dimensione del pedone» (Alfani 1994, p. 54). Il fatto di ideare un edificio "sacro" non porta a ragionare in termini di separatezza, ma di «opera aperta» (Berarducci 1995, p. 57), in continuità sia spaziale, sia storica o, meglio, memoriale ed evocativa. Non si assumono toni polemici con l'edilizia circostante o con le radici razionali del moderno ma, anzi, se ne sviluppano le possibilità. Non sono ravvisabili fughe verso l'emotività o il sensazionalismo, o verso una religiosità generica, ma la ricerca del progettista trova nella dialettica tra "perentorietà grammaticale" e "complessità sintattica" la chiave di lettura per interpretare il rigore concettuale e la forza poetica dell'operazione: «Berarducci rivendica la misura della ragione come misurazione dei limiti della stessa ragione» (Purini 1993, p. 8). Il progettista intende offrire al quartiere una sintesi della tradizione costruttiva antica, intesa sia nei materiali, sia nei sistemi spaziali, quasi una "preesistenza" a posteriori, un edificio che associ la poetica del rudere romano a quella della contemporaneità, una sequenza di rovine inventate ex novo e coperte da un guscio modulare trasparente. Il complesso richiamo alla tradizione sedimentata ben si declina con il ripensamento sulle sperimentazioni del post-concilio, che non viene associato né a un simbolismo anacronsistico, né alla tipologia basilicale, non funzionale a una piena adesione alla riforma liturgica. Tale percorso non viene condiviso da tutta la critica: Vivina Rizzi (2000, p. 30) considera riduttivo applicare a un complesso parrocchiale, «luogo sacramentale e comunitario», una poetica così connotante: «E' veramente sconcertante constatare che, nel progettare una parrocchia che è centro di vita, di speranza, di carità, di cammino, di crescita e cioè di tutti fatti vivi e dinamici dello spirito, invece di guardare a questa realtà, si sia scelta una visione di decadimento, di morte, di disgregazione».
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23/08/2011
In termini liturgici, l'associazione di mensa e tabernacolo, assiale e in stretta prossimità, pare una scelta forte, che condiziona in modo non equilibrato la lettura del mistero eucaristico offerta ai fedeli, con una sovrapposizione di segni che il Magistero della Chiesa invita ad evitare. Se,infatti, la riforma liturgica attuativa del Vaticano II dà un risalto centrale al momento della celebrazione comunitaria dell'eucaristia rispetto all'esercizio dell'adorazione, il presbiterio di San Valentino è eccessivamente polarizzato sul tabernacolo, fuoco visivo e teologico dell'aula e del complesso, visibile di giorno e di notte.Il problema della doppia polarità eucaristica non è stato finora risolto: il sacerdote che presiede l'azione eucaristica è costretto a consacrare le ostie in immediata prossimità al tabernacolo, peraltro volgendogli le spalle. Altri difetti funzionali hanno ricadute meno invasive sul piano teologico: l'assenza di nartece chiuso priva l'aula di un adeguato filtro acustico, mentre crea un certo disturbo l'accesso agli uffici tramite la navata laterale della chiesa, che è parte dell'asse distributivo longitudinale del complesso parrocchiale. La "permeabilità" del complesso lo rende "indifendibile" per quanto riguarda la sicurezza e la privacy, nonostante le recinzioni realizzate in modo coerente con il progetto. Per quanto attiene la vita materiale del manufatto, l'accuratezza del dettaglio di progetto non è bastata a scongiurare una realizzazione affrettata. I punti critici sono nella copertura, in gran parte trasparente e organizzata su un volume di non agevole accessibilità; si sono resi necessari numerosi e onerosi lavori di revisione dei serramenti e delle coperture. Una delle scelte formali del progettista si è dimostrata inevitabilmente delicata dal punto di vista manutentivo: per rendere credibile la poetica del rudere, le creste delle strutture murarie erano coronate solo da filari laterizi, poco resistenti alle infiltrazioni, ora protetti da nuove copertine.
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