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Parlando di architettura, può indicare qualche esempio concreto'   versione testuale

Se dovessi riferirmi a una singola chiesa contemporanea nella quale abbia ravvisato la potenzialità di ottenere questo effetto – favorire la gioia spirituale – mi viene in mente la cappella di Ronchamp, progettata da Le Corbusier. La parete laterale traforata da vetrate colorate genera all'interno un ambiente gioioso. La trovo bellissima. In quel contesto – grazie a quel contesto – la pedana dell'altare non è palco teatrale, ma punto di riferimento nobilitante che s'irraggia all'intorno.
Beninteso, tutti coloro che si sono cimentati con la progettazione di chiese hanno cercato di ottenere il massimo dell'espressività e del coinvolgimento, anche se non vi sono riusciti appieno. Ricordo l'opera del card. Giacomo Lercaro a Bologna. Egli si rivolse a grandi progettisti come Alvar Aalto, Kenzo Tange, lo stesso Le Corbusier (per quanto i progetti di questi ultimi due non siano stati realizzati a Bologna). Il rapporto con Le Corbusier fu intenso: nel suo studio Glauco Gresleri, uno degli architetti più attivi nell'ambito del gruppo bolognese che per una quindicina di anni produsse la rivista Chiesa & Quartiere, ha lavorato a lungo. E, sia Gresleri, sia Giorgio Trebbi, personaggi di spicco tra quei giovani architetti cui Lercaro affidò il compito di studiare come inserire gli edifici di culto nei quartieri che andavano sorgendo nel secondo dopoguerra, hanno realizzato chiese nuove. Una di quelle progettate da Trebbi, San Pio X, ha una pianta circolare: espressione del desiderio di offrire spazi adatti al coinvolgimento delle persone; circolare è anche la pianta della chiesa del Cuore Immacolato di Maria, disegnata da Giuseppe Vaccaro con la copertura progettata da Pierluigi Nervi. Eppure mi sembra che, per ben studiate che siano, anche opere rilevanti come queste non riescano ad attingere alla condizione di gioia spirituale.
Però, ancora, Bouyer nel suo testo non si riferisce solo alle architetture, ma anche alla capacità di “costruire” una ritualità che non sia fredda e staccata, che non ponga una distanza tra fedeli e presbiteri. Fatto questo di grande importanze per coinvolgere i fedeli, per renderli, per così dire, coprotagonisti della celebrazione eucaristica.
 
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