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Home page - Un libro al mese - PIÙ CHE LA TEORIA CONTA LA POESIA | Più che la teoria conta la poesia
| Intervista all'architetto Luigi Prestinenza Puglisi *
a proposito del volume di Giorgio Marchesi “Dall'Abbazia di Beuron alla chiesa di San Lorenzo a Monaco. Mezzo secolo di liturgia e architettura in Germania (1906-1955)”
*Luigi Prestinenza Puglisi, critico di architettura, è presidente dell’ Associazione Italiana di Architettura e Critica (www.architetturaecritica.it ). Il suo sito web http://prestinenza.it/ è un influente luogo di analisi, aggiornamenti, critica e informazioni sull'architettura contemporanea. Tra i suoi libri: Rem Koolhaas, trasparenze metropolitane (Torino 1997), HyperArchitettura, Testo&Immagine (Torino 1998, Basilea 2008); Introduzione all’architettura (Roma2004); New Directions in Contemporary Architecture (Londra 2008); Breve Corso di scrittura critica (Siracusa 2012).
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21/01/2018
Vi sono due aspetti. Da un lato l'organizzazione dell'edificio deve rispondere alle necessità liturgiche e magari anche a un valore simbolico: questo richiede il committente. Dall'altro lato credo di poter dire che ogni chiesa viva una specie di schizofrenia; è il racconto di un incontro tra un architetto e il sacro ma molte chiese, e non tra le peggiori, sono state progettate da non credenti. E, così come non è detto che vi sia autenticità di vocazione religiosa in alcuni che si professano credenti magri per motivi di opportunità, non è detto che vi sia autentica capacità progettuale in chi è convintamente praticante. Quindi la dicotomia: un'architettura intesa quale espressione di una specifica visione teologica e liturgica, ma spesso interpretata da persone estranee a tale visione. Penso a Le Corbusier, il cui rapporto con la religione è stato piuttosto complesso ma che a Ronchamp ha progettato una delle più significative opere di architettura per il culto; o a Steven Holl, di cui non conosco la prossimità con la Chiesa cattolica, ma che nella cappella di Sant'Ignazio a Seattle ha compiuto una delle più rilevanti chiese contemporanee; o a Richard Meier, di cultura ebraica ma che è stato chiamato a progettare la chiesa simbolo del Giubileo del 2000 a Roma.
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21/01/2018
Adolf Loos ha scritto: «Soltanto una piccolissima parte dell’architettura appartiene all’arte: il sepolcro e il monumento. Il resto, tutto ciò che è al servizio di uno scopo, deve essere escluso dal mondo dell’arte» (v. "Parole nel vuoto" Milano, 1972). La religione pone l'architettura di fronte al sacro, all'assoluto, all'alterità e così la toglie dall'ambito dell'utile, dove necessariamente agisce usualmente. Il tema della sacralità la strappa alla quotidianità, ma per questo stesso fatto la proietta in un ambito di grande pericolosità, dove domina il rischio della retorica vacua e della magniloquenza. Mentre invece la bellezza alberga nell'ambito del rispetto, della misura e nella logica del silenzio che, sola, sa ospitare la poesia.
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21/01/2018
I tedeschi hanno una particolare vocazione allo studio e all'elaborazione teorica. Ma penso che dove è forte il rapporto con l'arte, come nel caso dell'architettura delle chiese, è meglio che non vi sia teoria; ovvero che il raziocinio non soffochi l'atto creativo. L'artista è capace di rivelare aspetti che non sono frutto di ragionamento. Dove il teorico dice "l'arte è materia", l'artista mostra che l'arte è invece qualcos'altro: un'allusione, un accenno, un impeto... Non c'è un modello possibile. Il raziocinio ha un limite, e tale limite è rivelato proprio dall'arte.
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21/01/2018
La Chiesa è stato uno dei più importanti, forse il migliore committente nella storia dell'architettura quanto a capacità di scelta degli artisti. Un committente illuminato che ricerca la qualità spirituale non quella materiale. Questo vale anche per i nostri giorni: basti pensare alla ripetitiva mediocrità che intesse i bandi per le opere pubbliche, mentre invece la Chiesa nei suoi concorsi e nelle sue committenze è sempre alla ricerca dell'originalità, della creatività, del colore: della bellezza. E così anche oggi ha offerto edifici che sono tutti ben individuati, nettamente caratterizzati.
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21/01/2018
Lo è, ma il problema è che le possibilità che un architetto sia chiamato a operare per la chiesa sono veramente scarsissime. Forse sarebbe utile che nei corsi regolari di laurea si trattasse un tema oggi necessariamente di attualità: quello relativo ai luoghi dell'incontro tra culture e religioni diverse, cui il mondo globalizzato e dai grandi flussi di migranti ci mette di fronte. Uno studio più approfondito e specifico nella progettazione delle chiese potrebbe forse essere lasciato a specifici corsi post laurea, quali Master, per chi voglia approfondire il tema per motivi professionali o anche solo culturali.
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21/01/2018
Il problema è veramente grande, soprattutto perché è così facile oggi trovare chiese di qualità che restano deturpate da aggiunte incongrue. Penso a S. Paolo in Foligno, progettata da Doriana e Massimiliano Fuksas. Molto criticata per la sua figura esterna, ma all'interno dotata di uno spazio di grandissima poesia, derivante dalla composizione dei canali di luce che lo conformano. L'inserimento di oggetti liturgici totalmente estranei a quel tipo di atmosfera risulta degradante. Nelle chiese storiche per solito v'è maggiore equilibrio: le aggiunte portate via via nei secoli paiono più coerenti. D'altro canto bisogna pure comprendere il problema dei parroci, che hanno cultura e abitudini lontane da quella del disegno architettonico attuale. Van der Laan aveva il vantaggio di essere liturgista oltre che architetto, e di progettare per comunità monastiche: committenti omogenei, e colti....
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21/01/2018
Questo è un altro problema. Le navate delle chiese tendono a essere resi statici a causa dell'invadenza degli schieramenti di panche. Le panche bloccano spazi che invece dovrebbe essere dinamici.
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21/01/2018
Certo, si è trattato di una rilevanze risistemazione liturgica. D'altro canto comprendo che alcune opere contemporanee, come la cattedra di Jannis Kounellis, che è stata rimossa, possano lasciare sconcertati. Se si pensa alle chiese del Cinque, Sei, Settecento ci si rende conto che v'era una contemporaneità dilatata nel tempo: una stabilità derivante dal fatto che i cambiamenti culturali avvenivano in modo molto lento. Oggi si può dire che le persone di una stessa parrocchia abitino epoche diverse e lontane tra loro: c'è chi vive come sospeso in un passato che non passa, e chi vive proiettato in un futuro non ancora ben definito, ma che avanza tumultuosamente. Lo constato anche personalmente, discutendo con amici: si può concordare facilmente sul giudizio estetico rivolto al passato, ma sul presente a volte si verificano discordanze non di poco conto. A volte penso che in fondo sia una fortuna che io sia un critico di architettura, e non un progettista...
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