| | Area riservataper gli incaricati diocesani |
|
| |
|
Home page - Una chiesa al mese - Arcidiocesi di Milano, chiesa dei Santi Nazaro e Celso - Scheda completa | | Gorla Minore (VA) - frazione Prospiano, Via Matteotti 16 | |
|
01/09/2014
L’inadeguatezza dimensionale dell’antica chiesa dei Santi Nazaro e Celso (dedicata ai protomartiri milanesi, attestata dal XIII secolo e rinnovata a metà del XVII) è percepita dalla comunità di Prospiano con particolare gravità a partire dall’età post-unitaria, quando fioriscono rapidamente le attività industriali e insediative lungo il fiume Olona. Un primo radicale rinnovamento dell’edificio è finanziato dal marchese Terzagli e dal comune di Gorla Minore (cui Prospiano è aggregato nel 1871), ma nel 1901 si discute nuovamente la questione, e nel 1933 il cardinale Schuster sollecita una soluzione definitiva. Pochi anni dopo, il parroco don Marini affida l’incarico di progettazione a Franz Rossi di Legnano: la prima pietra viene benedetta dal cardinale in visita pastorale il 22 ottobre 1939; l’opera, tuttavia, viene sospesa durante la Guerra.
L’iniziativa di edificare una nuova chiesa viene ripresa da don Carlo Castiglioni (parroco dal 1960 al 1987), che intende tuttavia rivedere il precedente progetto, alla luce dell’aggiornamento del Magistero e dello spirito di rinnovamento di papa Giovanni XXIII: l’incarico viene affidato a Enrico Castiglioni, la cui riflessione sul tema dell’architettura della chiesa è nota fin dai primi anni Cinquanta, e che era già progettista della scuola elementare nel parco comunale di villa Durini (1959-1963). Per Gorla Minore si tratta di anni di intensa progettualità urbanistica, legata alla crescita demografica ed economica dell’insediamento, ma sono anche gli anni dell’acuirsi del degrado ambientale dell’Olona e dell’aggressione al territorio, fenomeni che suscitano un vivace dibattito sul rapporto tra modernità e tradizione rurale, e che suscitano l’orgoglio civile di Castiglioni: “Io all’Olona ho attaccato un pezzo di anima” (Castiglioni 1963, p. 7).
La prima pietra della nuova chiesa è benedetta dal card. Giovanni Battista Montini (arcivescovo di Milano dal 1954 al 1963) nel novembre del 1960. Il suo successore, il cardinale Giovanni Colombo (1963-1979), benedice il nuovo edificio il 19 marzo 1965, assumendosi personalmente l’onore della costruzione e della posa dell’altare; anche Montini continua a seguire lo sviluppo dell’iniziativa, offrendo al parroco una nuova pianeta.
Dopo il completamento della parte edilizia, prosegue l’allestimento del programma iconografico e delle opere complementari. Nel 1967 viene posta in opera la via crucis del pittore gesuita fratel Mario Venzo, e sempre nel 1967 mons. Carlo Manziana (vescovo di Crema), che aveva conosciuto don Castiglioni nel campo di concentramento di Dachau, benedice le campane poste sulla torre donata dal cav. Pino Colombo, campanile benedetto a sua volta da mons. Francesco Rossi (vescovo di Tortona). Nella messa di Natale del 1969 viene inaugurato l’organo, realizzato dalla ditta Balbiani Vegezzi Bossi.
Per completare l’opera, restava da realizzare il ciclo di vetrate: la sottoscrizione è aperta nel 1972, e le prime vengono poste in opera nel 1974. Il 19 marzo 1975 la chiesa può essere solennemente consacrata dal card. Colombo. Saranno in seguito completati il ciclo delle vetrate e il mosaico sul portale sull’ingresso centrale. La parrocchia ha successivamente sviluppato le proprie attività dedicando grande cura all’edificio, retto dal parroco costruttore fino al 1987. Solo recentemente, nel 2013, le esigenze di riorganizzazione pastorale hanno portato all’accorpamento dei Santi Nazaro e Celso con la parrocchia di San Lorenzo a Gorla Minore, nel quadro di un’unica Unità Pastorale.
|
01/09/2014
Quando Enrico Castiglioni inizia la costruzione della sua prima nuova chiesa parrocchiale, la sua personale riflessione sul tema dell’architettura – e dell’architettura cristiana e liturgica in particolare – è giunta a una fase di grande approfondimento teologico e culturale. Castiglioni si era formato negli anni Trenta nei circoli cattolici ispirati al personalismo di Emanuel Mounier e Jacques Maritain, con una particolare vicinanza alla riflessione di Mario Apollonio, docente alla Cattolica dal 1939, protagonista della resistenza cattolica al fascismo e della ricostruzione culturale milanese. Fin dal 1945 Castiglioni interviene nel dibattito sul ripristino delle chiese, mettendo al centro il disegno di “rendere cristiana la società”, fondandosi sulla ricostituzione della famiglia cristiana (Castiglioni 1945, p. 23). Il suo pensiero ha modo di svilupparsi progettualmente dapprima in occasione di interventi parziali in complessi religiosi, nei primi anni Cinquanta, per arrivare alla formulazione di progetti ideali e di concorso nel 1953. Nel 1954 Castiglioni, architetto già affermato, alla Triennale di Milano cura il progetto di allestimento della mostra temporanea Architettura sacra moderna, del cui comitato ordinatore fa parte con Gino Pollini, padre Costantino Ruggeri, il refernte diocesano delle nuove chiese (mons. Vittore Maini) e il direttore del centro San Fedele (padre Arcangelo Favaro sj) (De Carli 2005). L’anno successivo espone il suo progetto ideale di “basilica” e il progetto di concorso per la parrocchia di Montecatini alla Prima mostra italiana di arte sacra, nella Bologna del cardinal Lercaro. Per Gianni Ottolini (2001), Castiglioni fa parte di una linea “cattolica” – o, piuttosto, di una “linea spirituale nell’architettura moderna italiana” – cui aderiscono, in modo variegato, progettisti e pensatori a partire da Edoardo Persico, Giovanni Muzio, Luigi Figini, Cesare Cattaneo, per arrivare a Gio Ponti e Carlo De Carli. Peraltro, Castiglioni è affermato non solo nella cultura milanese: si avvicina anche al gruppo bolognese della rivista “Chiesa e Quartiere”, al cui primo numero è invitato a partecipare nel 1957 con un contributo nella Rassegna del pensiero, affiancando le proprie riflessioni a quelle di personaggi quali padre Regamey, mons. Fallani e Saverio Muratori.
Il progetto di Prospiano giunge a valle di un’importante momento di riflessione teorica, sviluppato nel corso universitario su Il tempio come episodio limite nell’architettura, proposto nel 1957-1958 come corso speciale nell’ambito della cattedra di Composizione architettonica II (quinto anno), di cui è titolare Piero Portaluppi. Fin dal suo primo trattato di ampio respiro, Il significato dell’architettura (Massimo Edizioni, Milano 1956), Castiglioni aveva posto l’uomo al centro della propria riflessione architettonica, sottolineandone la libertà morale di agire e di scegliere: “Il problema dell’architettura si confonde con il problema dell’uomo” (p. 52 dell’edizione curata da Crippa e Tripodi 2000); specificherà l’anno successivo nel corso sul tempio: “Addito fin d’ora il luogo – il nodo – verso il quale preme dirigere la nostra attenzione: la persona, il valore universale della persona, la sua centralità rispetto alla società, rispetto alla storia, rispetto all’ordine universale.” (p. 122).
L’approccio personalista consente l’apertura alla dimensione ulteriore del suo ragionamento sul ‘costruire’, senza limitarsi agli edifici per il culto: “Nell’architettura ho incontrato Dio, sempre. Da ogni direzione vi ho urtato” (p. 33).
I testi delle quattro lezioni sul tempio sono una delle sintesi più organiche sulla teologia del costruire espresse dalla cultura architettonica italiana del Dopoguerra: l’edificio della chiesa è indagato nelle sue valenze liturgiche ed ecclesiali, ma interessa ancor di più in quanto fatto di architettura che coinvolge l’idea stessa dell’agire architettonico, e il rapporto tra architettura, persona e comunità: “L’architettura impone questa consapevolezza d’esser uomo fra altri uomini, in un ordine e in un assunto corale” (p. 121). Non volendo qui proporre una disamina esaustiva del testo [già presentato nella scheda di “ Un libro al mese”] sottolineo solo alcuni presupposti dell’operare di Castiglioni, utili a comprendere il valore della chiesa di Prospiano. Innanzitutto, il ragionamento sulla chiesa – anzi, sul tempio, sottolineandone le valenze sacrali di tipo antropologico – non può essere separato da una più ampia considerazione dell’architettura domestica e di un umanesimo cristiano complessivo: “ La Chiesa incomincia nella casa. È la sede sociale di una comunità che si forma e vive nella casa. Perché veramente la chiesa possa essere la casa di tutti, occorre che non si perda il significato stesso della casa. […] La chiesa deve poter essere il compimento e il fulcro ideale di un organismo composto e armonico: casa, strada, chiesa, fabbrica: la dimora dell’uomo. […] In questo impegno di partecipazione alla vita, l’architettura della chiesa potrà ritrovare dignità e valore.” (pp. 96-97). Ne consegue che la costruzione del tempio, più che per il suo esito materiale, importa in quanto fa parte degli “atti veri, quelli che valgono dentro la vita quotidiana”, improntati alla categoria del “gratuito”, in quanto il sacrificio che vi si compie ha il carattere della “suprema gratuità” (p. 184). Costruire un tempio è dunque un “atto supremo”, un “atto corale e gratuito, atto fondamentale di vita, individuale e sociale” (p. 131), luogo fondativo di “comunione”: “La persona è il valore finale dell’individuo umano nell’ordine della comunione” (p. 134).
Alla luce del personalismo di Castiglioni, anche la tradizione assume un significato più ricco: “la tradizione è tanto più presente, viva e operante là dove più intensa e consapevole è la voce della persona che vi si inserisce, e questo inserimento la rinnova e la trasforma” (p. 134). In sintesi, “il tempio è atto – con carattere gratuito – della comunità che si esprime nella materialità della costruzione. […] Il tempio è l’azione corale partecipata della comunità. Quindi il carattere del tempio si rifà ogni volta al carattere della comunità” (p. 182). Da tale consapevolezza matura il senso profondo del ruolo dell’architetto: “L’architetto è uomo la cui azione si fa azione della società, la cui voce si fa parola della società” (p. 210).
Ragionando su un suo progetto successivo non realizzato, Castiglioni sosterrà che “ l’edificazione di una chiesa è in sé un atto liturgico corale, consegnato nella storia come testimonianza della chiesa vivente” (Castiglioni 1963, p. 1)
Il caso di Prospiano è particolarmente interessante, perché il progettista è chiamato a costruire una chiesa completamente nuova per una comunità da secoli radicata in un territorio (e un territorio che il progettista conosce e ama). Proprio il tema della ‘parrocchialità’, più che della ‘basilica’ e delle sue implicazioni teoriche, è centrale nel ragionamento di Castiglioni dei primi anni sessanta, mentre conclude il cantiere di Prosipano: “ La Chiesa parrocchiale è veramente il tema completo e complesso della Chiesa, che non concede le effusioni del sentimento religioso che anima i santuari, non si avvale della suggestione del luogo naturale, non sollecita la intima dimissione degli oratori assorti nel silenzio” (Castiglioni 1963, p.2).
L’esito, fin da subito, è colto da Gio Ponti (1962, p. 2) come sintesi difficilmente superabile tra tradizione e innovazione: “Questa chiesa di Castiglioni insegna come un’architettura religiosa possa essere nobile, e nuova ed inedita, ed essere tuttavia fra le espressioni giuste (vere). La sua originalità è una ‘originarietà’, è una fedeltà: essere originario significa di più che essere tradizionale”.
|
01/09/2014
Lo spazio liturgico è fortemente unitario, ma tutt’altro che omogeneo: l’aula presenta un equilibrio raffinato di coesione e differenziazione, dato dalla giustapposizione di due navate asimmetriche, entrambe ad absidi contrapposte, prive di sostegni intermedi, di lunghezza e ampiezza diverse, raccordate da un’ulteriore spazio-cerniera absidato. “La dialettica tra concavo e convesso, tra pieno e vuoto, tra occlusione e apertura, è il nodo tematico del complesso” (Zanchetti 1994).
La navata più ampia , a destra, ospita nelle due absidi opposte l’ingresso monumentale e il presbiterio, posti in opposizione polare nel quadro di una logica evidentemente processionale (Crippa 1996). Il presbiterio ha pianta ellittica: al centro ha l’altare, in asse la sede del presidente, a sinistra (verso la navata minore, e quindi nel cuore dello spazio complessivo della chiesa) l’ ambone . Lo spazio presbiteriale è coronato da un ampio catino absidale , che costituisce una sorta di ‘quinta’ interna, un guscio avvolgente tagliato dalla luce radente e retroilluminato da un’ulteriore camera di luce absidale.
La navata minore, a sinistra, accoglie nelle due absidi contrapposte la cappella eucaristica e la cappella battesimale: la copertura della navata riflette nella propria articolazione la dinamica di corrispondenza e separazione tra i due luoghi. La custodia eucaristica consiste in un tabernacolo a parete; lo spazio per l’adorazione personale è allestito con alcuni banchi in prossimità del tabernacolo, circoscritto spazialmente da una sorta di ‘cono d’ombra’ generato dall’abside cieca della cappella, sottolineata anche dalla chiusura ‘a goccia’ delle spalle dell’abside stessa. Il luogo del battesimo è costituito da un fonte a calice posto al centro dell’abside, collocato in uno spazio ribassato di un gradino rispetto alla navata, separato da un’esile balaustra metallica: la soluzione tipologica delle absidi contrapposte, ripresa dalla cultura costruttiva e liturgica romanica e completamente risignificata, consente di porre in dialettica i due luoghi salvaguardando l’unitarietà dello spazio celebrativo.
L’ ingresso ordinario è posto nel punto di sutura tra le due navate : si trova così al tempo stesso a fianco del battistero, prossimo alla cappella eucaristica e al centro della navata principale; introduce quindi direttamente nel cuore dello spazio liturgico nelle sue diverse articolazioni. Di fronte all’ingresso ordinario si apre una sorta di atrio centrale interno, articolato nella fascia di contatto tra le due navate. Anche questo spazi di sutura e di apertura è ad absidi contrapposte: alla nicchia in controfacciata con l’ingresso, fa riscontro l’abside luminosa , che conclude lo spaio liturgico nel suo complesso, avvolgendo anche il catino absidale del presbiterio sopra descritto. Lo spazio absidato conclusivo, privo di un’evidente funzione liturgica, è quindi un vero e proprio spazio di risonanza per la dimensione escatologica dell’insieme dell’edificio, sottolineato musicalmente anche dall’inserimento dell’ organo monumentale .
L’apertura all’ulteriorità è riflessa anche dalla controfacciata: mentre nella fascia inferiore si dispiega la sequenza delle tre contro absidi, di ampiezza, profondità e luminosità differenti (battistero, entrata ordinaria, entrata processionale), nella fascia superiore si aprono due ampie lunette con le vetrate istoriate.
I confessionali sono pensati come elemento di eccezione nella struttura architettonica: integrati nel disegno lineare degli spazi interni, emergono estradossati verso l’esterno, denunciando il proprio volume con un nitido aggetto , che genera un’anomalia piuttosto enigmatica nella continuità della parete esterna. Tale anomalia esterna si rivela invece come soluzione interna logica e liturgicamente coerente per gli spazi del sacramento della penitenza: un confessionale si affianca al battistero – sottolineando la corrispondenza tra il primo lavacro e le successive remissioni dei peccati –, altri due sono collocati nell’ampio atrio di entrata , filtro tra il percorso di avvicinamento alla chiesa e il pieno ingresso nell’assemblea celebrante e riconciliata.
Nel progetto (realizzato negli anni del Concilio, tra il 1962 e il 1965) è evidente il tentativo di declinare assetti consolidati ancora preconciliari con una concezione coinvolgente dello spazio liturgico, che non indugia tuttavia negli ingenui entusiasmi del funzionalismo assembleare. In sintesi, l’unità dello spazio liturgico non è l’esito di un’indifferenziata prossimità, né il semplice assemblaggio di parti inevitabilmente separate, ma è una sintesi coerente e complessa, che deriva dallo studio attento e profondo di tutte le funzioni che la chiesa parrocchiale postconciliare è chiamata ad assolvere.
|
01/09/2014
Nel pensiero e nell’attività di Castiglioni le arti figurative assumono un ruolo decisivo per il progetto di architettura ecclesiale: “Non è possibile che la Chiesa, in un periodo di profonda trasformazione delle strutture sociali e di apprensione per i valori individuali e umani, possa ignorare l’efficace strumento formativo delle arti sia figurative sia architettoniche. E non per servirsene (che l’arte, per sua natura, non è servile), ma per partecipare e viverle, penetrare in esse, accompagnarle nella fatica quotidiana della ricerca, che non è mai facile” (Castiglioni 1957, p. 18). Fin dalle prime formulazioni del suo pensiero nel 1945, anche la dimensione artistica entra a far parte di una visione filosofica personalistica: “il problema della chiesa e dell’arte religiosa in genere è problema di uomini, di società, di educazione; non si tratta di scegliere uno ‘stile’ né una scuola od un cenacolo, né di proporre nuovi … ismi. […] L’arte stessa saprà proporre forme nuove o forme tradizionali in modo nuovo”. Concretamente: “nella chiesa siano poche opere di valore di vasto respiro. […] La realtà quotidiana è fatta di pane, di lavoro, di sangue. Non si disperda con le troppe immagini di grama fattura lo sguardo e l’attenzione dall’altare del Sacrificio divino.” (Castiglioni 1945, pp. 27-28 e 37).
La chiesa di Prospiano, tuttavia, presenta la sovrapposizione di due logiche: se il nuovo edificio ha richiesto l’ideazione di cicli iconografici coerenti con lo spazio, tuttavia – trattandosi di una nuova sede per un’istituzione storica – l’aula liturgica ospita sulle sue pareti anche numerose opere recuperate da chiese del territorio parrocchiale e dal santuario della Madonna dell’Albero, per garantirne la conservazione e per testimoniare la continuità di vita della comunità. In particolare sono manufatti storici le due opere che hanno maggiore evidenza plastica, ossia il crocifisso sospeso sopra l’altare e la vicina statua mariana, investita dalla luce della vetrata a tutta parete adiacente. Tra le altre opere di recupero spicca la Crocifissione di Giacomo Lampugnano (fine XV secolo, trasferita nel 1970), la Sacra Conversazione della Vergine con San Carlo e San Luigi, la Vergine con i due santi patroni, oltre a due stendardi processionali. Sul fonte battesimale storico, la copertura bronzea raffigura il battesimo di Cristo; alle spalle del fonte è posto un crocifisso processionale..
Due cicli unitari sono invece espressione di un pensiero progettuale coerente.
La Via Crucis è una sequenza di 14 + 1 pannelli, dipinti dal gesuita Fratel Mario Venzo (1900-1989): pittore formatosi nella Parigi degli anni Venti e Trenta, diventa novizio gesuita dal 1941 (fratello dal 1951) e si afferma come artista di fama internazionale dagli anni Cinquanta fino alla sua morte.
Il ciclo delle vetrate è l’opera che caratterizza in modo decisivo l’architettura della chiesa. Ideate da Castiglioni stesso, le vetrate sono realizzate tra il 1974 e il 1977, sottolineando alcuni nodi spaziali e liturgici dell’architettura. In controfacciata, nelle due grandi lunette sono rappresentati il Cantico dei Cantici (sopra la porta d’ingresso ordinaria) e i Vizi (sopra il battistero); nella lunetta sopra al tabernacolo I due ciechi, e lungo la navata – tra fonte e custodia – la lama orizzontale con la Morte di san Francesco . A fianco dell’altare, nel cannone di luce radente, l’Albero del bene e del male . Alle spalle del guscio del presbiterio, la grande vetrata con le Tentazioni ; nella presa di luce sopra l’ingresso ordinario, che illumina l’ampio atrio di ingresso della navata principale, l’ Ecce Homo . Tre tagli verticali accentuano alcuni luoghi: il tabernacolo ( veni domine iesu), il fonte ( ego sum veritas et vita) e il portale principale ( ego sum Λ et Ω Primus et Novissimus).
Anche il mosaico sull’ingresso centrale [39] è disegnato dall’architetto: realizzato da Italo Peresson con tessere e scaglie di marmi a tessitura irregolare, rappresenta i santi Nazario e Celso abbracciati dal Padre ( Isti sunt amici dei qui orant pro populo).
La pluralità delle tecniche (vetrata, mosaico, pittura) non è vista in antitesi con l’essenzialità dei volumi dell’edificio: “Sia l’arte nella chiesa vertice e guida di un artigianato d’eccezione. Mosaici, pavimenti, vetrate, ceramiche e bronzi: opere necessarie che partecipano della architettura e dei riti. Problemi reali risolti con sensibilità artistica e seria preparazione” (Castiglioni 1957 p. 18).
|
01/09/2014
Lo studio dell’ambiente interno esprime, in maniera matura, gli aneliti espressi dal progettista fin dal 1945: “ serenità, luminosità, semplicità, onestà, e fede, fede, fede” (Castiglioni 1945, 28).
Tema qualificante il progetto è il rapporto tra i volumi e le fonti di luce naturale , filtrata dalle vetrate. La camera di luce principale è la volta a botte che sovrasta – unendole – le due navate che compongono l’aula: la “cavità profonda della nave” (da Domus 393, 1963, p. 2) si chiude nell’ampia abside settentrionale, che a sua volta avvolge al suo interno il guscio absidale del presbiterio, da cui tuttavia l’altare maggiore si distacca per l’effetto luministico dell’involucro. L’area presbiteriale, tuttavia, non resta in controluce, perché ha una propria autonoma fonte di luce radente, costituita dalla vetrata a tutta parete che si apre verso est. La copertura della navata principale è invece un’ emivolta a botte , che sfuma nella luminosità della volta centrale.
La volta della navata minore è invece articolata in due anse, illuminate dalle lunette opposte sopra fonte e tabernacolo e da “una feritoia orizzontale nella parete” (da Domus 393, 1963, p. 7).
I giochi articolati delle luci trovano risonanza sia nelle superfici curve e bianche delle volte, sia nel lucido pavimento scuro delle navate. L’illuminazione artificiale è realizzata con lampadari pendenti a grappolo.
|
01/09/2014
Il tema affrontato nella nuova chiesa di Prospiano è il rapporto tra la continuità storica della comunità e il rafforzamento della sua presenza in un contesto sociale ed economico radicalmente mutato. Nel suo proporsi come riferimento monumentale e innovativo al tempo stesso, l’edificio è chiamato ad assolvere funzioni diverse, non solo legate alla liturgia comunitaria; usando ancora le parole della recensione di Gio Ponti (1963, p.2) “niente, forse, di più religioso degli spazi interni di questa chiesa, cioè di più disposto, ed isolato e protettivo, per la preghiera, di più austeramente solenne per le cerimonie, di più risonante per le voci e i canti della moltitudine, e di più silente per la solitudine: per la solitudine di chi vi si inoltra da solo, turbato dai rimorsi o dalle speranze.”
I volumi esterni della chiesa svettano sui tessuti a bassa densità del paese, affermandosi tuttavia con masse molto articolate, affatto monolitiche, testimonianza della complessa organizzazione della Chiesa e del suo rapporto con la società. L’aula liturgica ha forme decisamente ‘altre’ rispetto ai tessuti abitativi, mentre la casa parrocchiale si inserisce nella trama insediativa circostante.
Interessante soffermarsi sul sistema degli ingressi allo spazio interno. Un ingresso monumentale si apre nella convessità della controabside della navata principale, portale festivo che segna una tappa nel percorso processionale tra la piazza, l’interno e l’altare. Un ingresso ordinario è posto invece nello spazio di sutura tra navata principale e navata laterale, e dà accesso immediato e complanare al cuore della chiesa, in posizione baricentrica rispetto ai poli liturgici principali. Il primo ingresso non offre protezione verso l’esterno, non consente di stazionare sulla soglia, ma si apre internamente su una scalinata concava, che accoglie e il fedele e lo porta a salire al piano dell’aula. L’ingresso centrale è invece protetto da un’alta galleria, spaziosa e luminosa, che anticipa – proiettandola all’esterno – la volta superiore unificante che copre la chiesa, e che ripara la rampa di salita al livello della chiesa.
|
01/09/2014
“Il problema della chiesa, come quello della casa, è anzitutto un problema urbanistico” (Castiglioni 1945, p. 22). Castiglioni ha sempre associato il tema della chiesa a quello della città, muovendo dall’auspicio che la ricostruzione potesse attuarsi con una “urbanistica cristiana” (p. 23), volta a “ordinare la popolazione in comunità così commisurata che l’uomo possa ancora riconoscersi e formarsi, uomo tra gli altri uomini” (p. 24). La realizzazione della parrocchiale di Prospiano, tuttavia, testimonia efficacemente il ruolo della Chiesa nell’insediamento, ma non ha innescato un processo di trasformazione dei tessuti in cui è inserita. Di fronte alla chiesa – che si presenta verso il nucleo storico del borgo non con una facciata, ma con una sequenza di volumi convessi e di spazi protetti – era previsto un “foro”, una piazzetta-atrio (Crippa 1996, p. 224, sulla base di conversazioni con Castiglioni) scandita da un percorso che dalla piazza muoveva processionalmente verso l’altare (da “Domus”, 393, 1962). I potenti volumi astratti delle navate segnano in modo radicale il paesaggio urbano e manifestano la propria totale alterità rispetto al tessuto rado di casette con giardino: “L’estradosso delle cinque absidi visibile esternamente è rivestito da una impenetrabile cortina di blocchi in calcestruzzo bianchi e rosati, richiamo al passato venato di una sospensione metafisica” (Zanchetti 1994). Il fianco est è ritmato, nella parte alta, dai setti che reggono la falda di copertura , che soprapassa l’emivolta a botte rivestita da scandole.
Separato dalla chiesa si innalza il campanile “dove le campane sono disposte come note sul pentagramma e fanno concerto visivo prima che sonoro” (Gio Ponti 1963, p.2). La torre, finanziata dalla donazione di Pio Colombo, è alta 52 metri: ha una struttura in calcestruzzo secondo una slanciata sezione triangolare.
|
01/09/2014
Come indicato sinteticamente in apertura, la costruzione della chiesa e la realizzazione delle opere artistiche si sono protratte per circa 15 anni, segnati dai momenti salienti della benedizione nel 1965 e della dedicazione nel 1975. Il complesso è stato oggetto di cure e di manutenzioni costanti, garantendone la corretta conservazione: la liturgie riformate nel post-Concilio hanno potuto trovare spazi già adeguati, e – sebbene la progettazione si precedente al Concilio – non si è reso necessario stravolgere il pensiero progettuale espresso dall’opera. Un ultimo intervento è il portone centrale , realizzato da Della Betta nel 2012: sotto i due Sacri Cuori di Gesù e di Maria, raffigurazioni della Sacra Famiglia e del ritrovamento delle spoglie di Nazaro e Celso.
|
| | | |
| stampa paginasegnala pagina |
| |