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chiesa Beato Odorico da Pordenone
 - Scheda completa 

Beato Odorico da Pordenone

Pordenone, via Beata Domicilla 2, angolo viale della Libertà
 
 

01/09/2014
Per il servizio pastorale dello sviluppo urbano orientale di Pordenone viene istituita una nuova parrocchia nel 1973. Al primo parroco, don Walter Costantin (1940-2010), viene assegnata una sede provvisoria presso il centro di spiritualità Casa della Madonna Pellegrina. La dimensione della comunità – circa 4 mila fedeli – non era tuttavia compatibile con gli spazi e le attività della Casa. Con l’episcopato di mons. Abramo Freschi (1977-1989), in vista della costruzione di una sede definitiva, viene acquisito un lotto libero compreso tra viale della Libertà e la roggia Vallona, in parte spianato a uso luna park.
Il primo intervento realizzato su iniziativa di don Costantin (parroco per 23 anni, fino al 1996) è l’edificio per le opere pastorali, su progetto di Giorgio Raffin e Roman Pietro Beltrame: un sobrio parallelepipedo in cemento armato a vista di cultura razionalista – segnato dalla finestratura a nastro, scandito da un disegno sicuro, coperto con un netto taglio di falde – ospita la casa canonica, il salone parrocchiale, le aule per il catechismo e un seminterrato a uso oratorio. La prima pietra viene posta il 17 gennaio 1982; l’edificio è completato nel 1983. Per nove anni il salone funzionerà come chiesa provvisoria.
Lo sviluppo del programma edilizio della parrocchia, tuttavia, non avviene secondo la prima ipotesi delineata, né con il medesimo linguaggio architettonico: nel quadro di una politica regionale e provinciale di supporto alla qualità architettonica mediante la convocazione di firme di rilevanza internazionale, per la costruzione dell’aula liturgica definitiva viene interpellato dal parroco l’architetto ticinese Mario Botta, supportato localmente dai due progettisti delle opere parrocchiali, con cui stabilisce un rapporto di cordiale collaborazione. La chiesa è realizzata dal 1990, per essere aperta al culto dal vescovo mons. Freschi il 18 ottobre 1991.
La nuova parrocchia e la nuova chiesa vengono dedicate al beato Odorico, nato a Pordenone nel penultimo decennio del Duecento, frate minore missionario in Medio ed Estremo Oriente, evangelizzatore a Pechino tra il 1325 e il 1330, morto al suo rientro in patria nel 1331; nonostante l’immediata fama di santità, Odorico sarà beatificato solo nel 1755. Pur mancando ancora il riconoscimento canonico della sua santità (il processo è stato ripreso nel 2002), fin dagli anni Cinquanta era stato formulato l’auspicio di dedicargli una parrocchia, con l’intervento di personaggi quali i cardinali Angelo Roncalli e Celso Costantini (friulano, già vicario generale della diocesi di Concordia Sagittaria, primo delegato apostolico in Cina nel 1922). Il respiro internazionale della scelta di intitolazione della parrocchia è testimoniato dai prelati che presiedono il rito della dedicazione della chiesa nel 1998: oltre all’arcivescovo locale, mons. Sennen Corrà (1989-2000), il cardinal Josef Tomko, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, con l’arcivescovo di Gorizia-Gradisca, padre mons. Antonio Vitale Bonmarco o.f.m. conv., già Ministro Generale dei frati minori conventuali.
 
01/09/2014
Lo spazio destinato al complesso parrocchiale si trova lungo uno dei viali di penetrazione verso la città storica, dotato di facile accessibilità e di buona visibilità, ma in un’area dal disegno urbano piuttosto anonimo e difficile dal punto di vista idrografico e geologico: la roggia infatti raccoglie un complesso sistema di risorgive, torrenti e laghi, il cui deflusso irregolare è orientato verso il vicino fiume Noncello. Mentre l’edificio delle opere parrocchiali si colloca in profondità nel lotto, la chiesa viene disposta in fregio al viale, con l’asse longitudinale parallelo al viale stesso e il sagrato sull’angolo dell’isolato. L’ampio spazio porticato del sagrato diventerà lo snodo distributivo del complesso e, al tempo stesso, il luogo di passaggio centrale del quartiere.
In tali scelte e nelle vicende costruttive della parrocchia, un passaggio decisivo è costituito dall’entrata in scena di Mario Botta, che – in accordo con il parroco – definisce le scelte formali fondamentali dell’inserimento urbano della chiesa e del disegno dell’aula liturgica, esercitando inoltre un’influenza significativa nella cultura architettonica locale, impegnata nella promozione della città al nuovo ruolo di provincia (dal 1968) e sede diocesana (dal 1974).
La chiesa parrocchiale del Beato Odorico si colloca nella fase iniziale di sperimentazione sul tema del sacro da parte di Botta: segue di poco le prime elaborazioni progettuali per la cappella di Mogno e si sviluppa parallelamente alla parrocchia di Sartirana di Merate, alla cattedrale della Resurrezione di Evry e alla cappella del Monte Tamaro, che costituiscono un corpus – unitario e poliedrico al tempo stesso – di chiese pensate e realizzate tra la fine degli anni Ottanta e la metà degli anni Novanta (Cinque architetture 1996). In queste sue prime chiese – i cui incarichi giungono al progettista in una fase di carriera matura, e già segnata da prestigiose committenze private e pubbliche – Botta approfondisce e sviluppa temi funzionali e scale dimensionali molto diversi (anzi, estremi: dalla cappella privata alla cattedrale), innervati nei rispettivi contesti fisici, culturali e sociali, definendo tuttavia una poetica del sacro coerente, che si affermerà agevolmente e progressivamente a livello internazionale.
In tale quadro, la chiesa del Beato Odorico è la prima occasione in cui Botta si confronta con il tema della ‘parrocchialità’, che pone esigenze e vincoli assai precisi, sostenuti da una committenza non monocratica e già dotata di una propria identità culturale sociale: nel nostro caso è decisivo il rapporto di fiducia stabilito con il parroco, aperto al confronto sulle scelte via via proposte dal progettista.
Le scelte effettuate a Pordenone sono fondative, e torneranno a più riprese nelle successive opere di Botta: il ruolo del sagrato come spazio-filtro, l’affermazione di un ordine in contesti urbanistici sfrangiati, la dialettica tra separazione del ‘sacro’ e dialogo con la città, l’uso di volumi nitidi per sottolineare il luogo dell’assemblea, l’equilibrio tra centralità e direzionalità dello spazio liturgico.
01/09/2014
Il progetto liturgico si basa sull’uso longitudinalizzato di uno spazio a pianta centrale. Sebbene l’edificio sia costruito sulla forza e sulla semplicità dell’impianto circolare e del suo sviluppo volumetrico troncoconico, i poli liturgici principali non vengono allestiti in relazione geometricamente deterministica con il centro del volume, ma sono concentrati in un punto perimetrale, come riferimento direzionante l’assemblea. Nelle parole del progettista, infatti “il centro dello spazio non è necessariamente nel centro geometrico”, perché “l’interpretazione data allo spazio può deformare la posizione del centro in funzione della luce che quella chiesa vive, ad esempio”. I fedeli sono disposti a ventaglio, su di un piano in leggera pendenza verso il presbiterio, a sua volta sollevato di quattro gradini e convesso verso l’aula.
L’altare, un blocco litico semicilindrico appoggiato su un sostegno centrale, è collocato appena all’interno del profilo circolare dell’aula: l’impatto spaziale della sua massa flette sia l’architrave anulare che raccorda il deambulatorio, sia la corona tecnica che alloggia gli elementi impiantistici seguendo la forma dell’architrave stesso. Sui due lati dell’altare sono disposti l’ambone e il fonte battesimale cilindrico, sistemato immediatamente ai piedi del presbiterio. La sede del presidente e i seggi per i ministranti sono collocati in un presbiterio profondo, coperto da un voltino che segue la flessione dell’architrave sopra l’altare, e che termina in una camera di luce absidale.
Tutto il volume centrale della chiesa, troncoconico, diventa quindi lo spazio dell’assemblea, che avrebbe dovuto essere allestito con panche a ventaglio. Il prototipo delle sedute – concepito espressamente per la forma avvolgente dell’assemblea – è stato posto in opera alla fine del cantiere (Cinque architetture 1996, p. 73), ma la carenza di fondi ne ha impedito l’applicazione estensiva.
Gli altri spazi liturgici e accessori sono ospitati nel deambulatorio che circonda l’invaso dell’aula, spazio di penombra e di intimità, in forte contrasto spaziale con l’apertura e la luminosità del volume centrale. Il deambulatorio è posto su un piano a quota uniforme, che quindi si separa progressivamente dal piano dell’aula, in pendenza. A destra del presbiterio, nel punto quindi in cui il deambulatorio è maggiormente sollevato rispetto al piano inclinato dell’assemblea, sono collocati a parete il tabernacolo e l’effige mariana. Nello spazio speculare, a fianco dell’ambone, è collocato il coro, dotato anche di organo storico acquistato dal parroco fondatore. Ai due lati dell’ingresso principale, collegati da un endonartece schermato da pareti scorrevoli a grigliato ligneo, sono sistemati i confessionali .
Il rapporto tra pianta quadrata e invaso centrale circolare, mediato dai pilastri del deambulatorio, consente un sistema di circolazione interno di grande versatilità. L’ingresso principale, rivolto verso il sagrato, sottolinea la longitudinalità del complesso e il suo uso processionale; è stata tuttavia evitata la porta assiale inizialmente prevista, in favore invece di due accessi laterali schermati da un filtro frontale, in cui – tuttavia – una lama di luce sottolinea l’asse centrale. Se l’ingresso assiale sottolinea la direzionalità, gli altri quattro ingressi – scavati negli angoli del quadrato di base – valorizzano le specificità della pianta centrale, offrendo possibilità di accesso da direzioni differenti e la diretta accessibilità delle diverse parti del deambulatorio (per esempio, lo spazio eucaristico e devozionale rispetto alla porta di ingresso dal viale).
La cappella feriale è ospitata nella cripta della chiesa, ricavata nella pendenza del terreno verso la roggia; riceve luce dalla camera di luce absidale ed è accessibile tramite scale interne, distribuite dai due ingressi laterali a fianco del presbiterio. È attualmente allestita con gli arredi liturgici già utilizzati nella cappella provvisoria nelle opere parrocchiali.
 
01/09/2014
La forza e la nitidezza dei volumi non presuppongono l’utilizzo di immagini per la qualificazione dello spazio liturgico. A lato del presbiterio è collocato, appoggiato a terra e a ridosso del primo pilastro del deambulatorio, un recente crocifisso di artigianato altoatesino; il crocifisso originario della parrocchia è ora sistemato nella cripta.
Per la devozione mariana è stata utilizzata una tavola quattrocentesca di scuola di Gentile da Fabriano, donata da una benefattrice e allestita in una teca circolare a parete, nello stesso spazio per l’adorazione eucaristica a destra del presbiterio. Il tabernacolo è invece aniconico: la custodia eucaristica è segnata da un triangolo in marmo nero e bianco, il cui vertice sommitale costituisce le ante del tabernacolo.
Il beato cui è dedicata la chiesa è ricordato da un polittico, di gusto neobizantino, esposto ora nella sacrestia a sinistra del presbiterio.
L’unica opera d’arte contemporanea conservata in chiesa è un Calvario aniconico del noto maestro Vittorio Tavernari (1919-1987), che più volte durante la sua carriera è tornato sui temi della crocifissione e della deposizione: si tratta del bozzetto ligneo di una fusione in bronzo, composto da tre elementi verticali scolpiti, dono dei familiari alla parrocchia nell’anno della morte dell’artista. Al momento è sistemato alla testata sinistra del deambulatorio, in posizione piuttosto defilata e slegata dalla vita liturgica e devozionale.
Una via crucis è sistemata nella cripta/cappella feriale.
 
01/09/2014
La regolazione dell’illuminazione naturale costituisce - come di consueto avviene nelle chiese progettate da Mario Botta - uno dei temi principali di costruzione della ‘sacralità’ dello spazio liturgico. In questo caso, la fonte principale è costituita dal taglio diagonale nel cono che sovrasta l’assemblea: con la rotazione dell’illuminazione solare, il lucernario diventa una sorta di orologio naturale, che lascia scivolare la propria luce sulle tessiture murarie laterizie che avvolgono il volume centrale. Con tale soluzione, l’altare, l’ambone e il fonte non ricevono un’illuminazione specifica, essendo posti al margine dell’invaso centrale. Tuttavia, la focalizzazione dello spazio sul presbiterio è suggerita dal controluce dato dalla camera di luce absidale, che riceve illuminazione dall’alto, la fa riverberare dietro al presbiterio dell’aula e la lascia scendere fino alla cripta, rischiarata solo da luce zenitale.
Il deambulatorio riceve solo luce filtrata: tramite il colonnato, viene illuminato dal lucernario superiore, mentre lateralmente sono lasciate lame di luce tra i pilastri perimetrali e le tamponature.
Anche la scelta dei materiali rispecchia le diverse strategie di illuminazione: nell’invaso centrale, ai mattoni delle pareti fa eco il pavimento in lastre di marmo rosa Asiago e “bianco sivec”, con un complessivo riverbero di toni caldi; nel deambulatorio, le superfici verticali sono in spatolato di calce nero; nel presbiterio, la camera di luce si riflette su pareti in spatolato azzurro.
I sistemi di illuminazione artificiale riflettono la medesima geometria dell’insieme architettonico: un anello tecnico circolare segue l’andamento dell’architrave che raccorda i pilastri perimetrali dell’invaso centrale, flettendosi verso il centro. Tale soluzione, di indubbia coerenza formale e funzionale, costituisce tuttavia un limite sensibile allo sviluppo della spazialità dell’altare come luogo celebrativo polarizzante: il braccio per gli impianti infatti, pur flettendosi, sembra comunque gravare sopra la mensa, e compromette un rapporto visivo e spaziale continuativo e diretto tra l’invaso dell’assemblea e il presidente (soprattutto mentre questi si trova alla sua sede, al fondo del profondo presbiterio ).
01/09/2014
La sistemazione del complesso parrocchiale nell’ampio lotto libero lungo viale della Libertà rispondeva all’esigenza di creare un ‘centro’ecclesiale riconoscibile in un’area di sviluppo urbanistico recente.
L’edificio per le opere parrocchiali, con la sua geometria essenziale, si presenta come ‘casa’ della comunità, condividendo il linguaggio domestico del contesto, distinguendosi tuttavia per qualità formale ed essenzialità.
L’aula liturgica risponde invece all’esigenza di ‘permeabilità’ della parrocchia: il sagrato – allineato con la casa parrocchiale e in continuità con la stessa, pur nella diversità del linguaggio – è uno spazio completamente percorribile che diventa luogo di incontro, protetto rispetto al traffico e al rumore, sempre aperto e visibile. La scelta di intervenire con un’opera di carattere urbano pubblico non era affatto scontata (anche per le ovvie implicazioni economiche), e nasce dal dialogo positivo tra il parroco e il progettista, che – secondo quanto riferisce Botta – hanno condiviso la posizione coraggiosa secondo cui la costruzione di una chiesa non è solo un fatto tecnico, liturgico, funzionale, ma deve rispondere anche alla creazione di spazi pubblici all’interno della città. Il cortile porticato “corregge”, sempre nelle parole di Mario Botta, il rapporto debole e indefinito tra strada e isolati. Si accede dunque all’aula liturgica mediante “filtri” successivi (il marciapiede che si allarga, il portico del ‘chiostro’ del sagrato, la mediazione del colonnato interno, per arrivare infine  all’invaso centrale), ma al tempo stesso la chiesa ha una sua “proiezione” nella città.
L’esigenza di riconoscibilità dello spazio ‘sacro’ trova piena risposta nel volume troncoconico astratto che si solleva sopra lo zoccolo di base, quasi a materializzare l’epiclesi che scende sopra la comunità, rappresentata dai tanti pilastri che – raccordati tra loro – definiscono l’edificio come un massa costituita da elementi diversi, da pieni e da vuoti. Il volume sopra l’assemblea liturgica diventa anche torre campanaria, in quanto costituisce il supporto di un castello di tre campane, dedicate alla Chiesa, al patrono e alla Madonna.
 
01/09/2014
La dimensione urbana del progetto è uno dei punti sottolineati con maggior chiarezza da Botta stesso: la chiesa è definita come “una sorta di zoccolo urbano che racchiude il chiostro, il deambulatorio, i vani accessori e la parte alta della chiesa a tronco di cono” (dalla relazione di progetto), disegnato e costruito secondo l’esigenza di portare unitarietà rispetto alla frammentarietà del contesto. “ La chiesa come ‘pausa’ può forse ritornare ad offrire uno spazio e una nuova ‘disponibilità’ per la città e per l’uomo di oggi. Per questo nel progetto della chiesa di Pordenone ho cercato di far sì che ogni fruitore potesse sentirsi al centro di un unico spazio teso fra la terra e il cielo” (Botta 2005, p. 38).
Il sagrato, fin dalle prime elaborazioni progettuali, costituisce il necessario elemento urbanistico di cucitura e di filtro con la città; in quanto spazio direzionato e vuoto, si pone anche come volume di riequilibrio rispetto alla massa centralizzata dell’aula liturgica. Per Christian Norberg-Schulz (1996, p. 15) “lo spazio esteso dell’ambiente civico diventa un interno sacro, senza rompere la continuità dei due mondi”. Le soluzioni di perimetrazione e definizione del sagrato richiamano elementi tipologici storici, quali il quadriportico paleocristiano e medievale, o il chiostro monastico; l’attenta lettura di mons. Timothy Verdon (2005, pp. 11-12) sottolinea il possibile riferimento al cortile e alla chiesa di San Pietro in Montorio di Bramante, così come documentati dal trattato di Serlio.
In fase progettuale, sono diverse le soluzioni esplorate per i quattro bracci del portico perimetrale (in particolare rispetto a una prima soluzione che aveva solo due ‘navate’ laterali e ingresso in asse), accomunate dalla mancanza di una parete esterna perimetrale chiusa, e dalla scelta della totale accessibilità dello spazio, privo di recinzioni. La soluzione realizzata ha tre bracci sostenuti da pilastri cilindrici rastremati, che vanno a raccordasi in facciata con gli ingressi principali, disposti lateralmente all’asse centrale. Tale asse, tuttavia, non viene negato dall’assenza di portale monumentale centrale: un taglio attraversa infatti l’intera facciata fino a raccordarsi con il lucernario superiore, mentre dalla parte opposta (il braccio esterno del sagrato), l’assialità viene sottolineata da un corpo centrale, che ospita le scale che conducono al terrazzo sopra il portico perimetrale stesso. A fronte dell’elaborazione sull’asse centrale, sono depotenziati gli angoli dei volumi, a sottolinearne quindi l’apertura: i due spigoli esterni del chiostro sono infatti realizzati a sbalzo, senza pilastro angolare, e anche gli angoli del quadrato di impianto della chiesa sono ‘svuotati’ per ricavare i quattro ingressi laterali.
Se tale complesso dispositivo sottolinea la dialettica tra centralità e direzionalità, il perno del rapporto con la trama urbana è costituito dalla fontana d’angolo, posta sul viale della Liberta, prevista come sorgente di un rivolo di acqua corrente che scorre sinuosamente verso una vasca al centro del sagrato, segnata dall’epigrafe “Odorico dicatum AD 1992”.
Il corpo absidale della chiesa si rivolge invece verso la roggia che lambisce il lotto, infossato in una faglia di alcuni metri: il difficile assetto idrogeologico dell’area rende difficile la manutenzione della vegetazione delle sponde del rio e la visibilità di tale importante parte del complesso, rivolta verso il centro della città.
 
01/09/2014
L’opera è stata completata nel 1992 secondo il progetto. L’esaurimento delle risorse economiche ha impedito solo la realizzazione dei banchi a forma di ventaglio, appositamente previsti per l’invaso centrale, concepiti come panche lignee in ciliegio ad andamento curvilineo, fissate direttamente nel piano inclinato dell’assemblea (restano tuttora visibili nel pavimento i sedimi previsti per l’alloggiamento dei montanti). Il prototipo era stato installato di fronte al battistero, ma per quindici anni si sono utilizzate le sedie pieghevoli provvisorie. Solo nel 2007 viene definita una soluzione permanente: viene concordato con l’architetto l’utilizzo di un altro tipo di banco, realizzato sempre su suo disegno, ossia quello usato nel 2006 per la chiesa del Santo Volto a Torino (Insieme… 2007).
Nel 2007 la parrocchia interviene anche per il risanamento del piano interrato delle opere parrocchiali, destinato a oratorio, ma fino ad allora in condizioni inidonee a causa dell’umidità ristagnante nel sottosuolo dell’area (Insieme… 2007).
Esigenze pratiche hanno portato alla dismissione della vasca centrale al sagrato e all’obliterazione del rivolo d’acqua sinuoso che lo attraversava, mediante un completamento mimetico della pavimentazione.
Per quanto attiene all’uso liturgico, i tre parroci che si sono succeduti alla guida della comunità hanno utilizzato la chiesa secondo quanto prefigurato dal progetto, operando alcuni parziali adattamenti solo negli spazi liturgici ospitati nel deambulatorio. Resta infatti non risolto il nodo della parziale e impropria giustapposizione di custodia eucaristica e devozione mariana, entrambe prive di uno spazio riservato allestito per l’adorazione e la preghiera: un inginocchiatoio storico evoca, in qualche modo, la funzione del luogo. Nello spazio simmetrico, diversi allestimenti si sono succeduti per meglio organizzare il coro e l’organo, compressi sotto il basso solaio del deambulatorio perimetrale. Resta anche da definire un’idonea sistemazione del Calvario di Tavernari, in modo che ne siano valorizzate la qualità espressiva e le potenzialità di uso da parte dei fedeli.


 
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