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San Paolo

Rho, via Castellazzo 67, angolo via don Primo Mazzolari

17/01/2014
La parrocchia di San Paolo è istituita nel marzo 1970 dall’arcivescovo di Milano, card. Giovanni Colombo, per il servizio pastorale del nuovo quartiere detto Burba, sorto a nord-ovest del centro storico di Rho e della chiesa prepositurale di San Vittore, allora retta da mons. Carlo Maggiolini. Nel nuovo quartiere era previsto l’insediamento di circa 1500 famiglie. Per le attività iniziali, il primo parroco, don Enrico Casati, utilizza un appartamento e uno scantinato in via Fermi, allestito ad aula liturgica. A questi primi poli si aggiungono altri centri di culto in via Molino, via Giovenale e, successivamente, in via Pregnana.
Grazie a una donazione, si rende un terreno al termine di via Castellazzo per la costruzione di una chiesa-capannone (archh. Banfi e Tavecchia), i cui arredi vengono realizzati dalla falegnameria del Collegio degli Oblati, diretto da padre Giuseppe Maganza, egli stesso abile artigiano.
Dal 1978, dopo l’acquisto di un ulteriore lotto di terreno adiacente via Mattei, la parrocchia (guidata dal 1975 da don Pasquale Colombo) avvia la progettazione di una chiesa definitiva, affidata a padre Costantino Ruggeri, conosciuto dal parroco nei mesi precedenti. L’iter subisce però un rallentamento, in ragione del vincolo ambientale da poco posto sull’area circostante la vicina Villa Scheibler. Una “prima pietra” viene benedetta nel 1985, ma l’anno successivo (dopo l’arrivo del nuovo parroco, don Giovanni Gola) viene rivisto il posizionamento della nuova chiesa, spostata all’angolo tra via Castellazzo e via Mattei, risolvendo così i vincoli urbanistici. La nuova collocazione della chiesa richiede una revisione del progetto, definitivamente approvato nel maggio 1988; nel settembre si avviano gli scavi . Nella primavera successiva viene posta in opera la “prima pietra” già benedetta nell’85. Il cantiere si sviluppa rapidamente, fino all’inaugurazione nel dicembre 1990 e alla dedicazione del 22 settembre 1991, presieduta dal card. Carlo Maria Martini.
La costruzione della sede definitiva della parrocchia non segna tuttavia la fine delle attività di radicamento della comunità locale sul territorio: per rispondere alle nuove esigenze poste dal quartiere Stellanda – area di sviluppo residenziale e commerciale a nord del territorio parrocchiale, priva di attrezzature religiose e sociali e difficilmente collegata con la sede parrocchiale centrale – viene costruita tra il 2005 e il 2008 una nuova chiesa succursale, dedicata a Santa Maria (progetto di Gianfranco Kirn e Susanna Croce). 
17/01/2014
L’ampio lotto (quasi 19mila metri quadrati) – formatosi per successive acquisizioni e destinato alla chiesa, all’oratorio e ai campi sportivi – si trova al margine occidentale di Rho, immediatamente a ridosso della circonvallazione (via Enrico Mattei), in un’area destinata fin dagli anni Settanta ad essere occupata intensivamente da edilizia multipiano su lotto libero. Il nuovo complesso parrocchiale, posto al vertice nord-occidentale del lotto per ragioni di regolamentazione urbanistico-ambientale, diventa il principale centro di aggregazione di un tessuto insediativo cresciuto in modo sostanzialmente anonimo, su una trama viaria episodica e priva di spazi pubblici, in un’area di forte contrasto tra il paesaggio urbano, denso e frammentato, e il paesaggio rurale peri-urbano, oltre la circonvallazione.
L’intervento si situa storicamente nella prima fase dell’episcopato milanese del cardinal Carlo Maria Martini (1979-2002), prendendo le mosse in un momento a monte del noto “Piano Montini” per 25 nuovi complessi parrocchiali, varato nel 1989, che porterà in pochi anni alla realizzazione di più del doppio degli edifici inizialmente previsti (cfr. scheda di Varedo). L’esperienza può tuttavia già avvalersi del rinnovato Ufficio Nuove Chiese (1984), guidato da mons. Giuseppe Arosio, e della collaborazione tra l’Ufficio e il Comitato Nuove Chiese. La chiesa di Rho costituisce dunque un importante precedente – se non, probabilmente, addirittura uno stimolo – alla messa a punto del Piano, dimostrando come anche in contesti urbani frammentari e marginali sia possibile intervenire con scelte coraggiose dal punto di vista formale e liturgico, garantendo una qualità artistica e architettonica di primo piano. I progettisti chiamati a intervenire – padre Ruggeri e l’arch. Luigi Leoni – sono, in quel momento, in una fase di piena maturità: il loro sodalizio artistico poteva infatti vantare un affiatamento già più che ventennale, con numerose realizzazioni architettoniche portate a buon esito in contesti diversi (Varese, Pavia, Genova, ma anche le chiese missionarie in Burundi); il lavoro per Rho è inoltre contestuale ai cantieri di Tortona, Matera e Roma. Un’esperienza dunque plurale, in cui un sentire estetico coerente viene declinato secondo situazioni, culture e contesti diversi, trovando una connotazione specifica anche per la periferia di Rho.
17/01/2014
L’assenza di uno spazio pubblico adiacente o di coordinate urbane riconoscibili lascia un ampio margine di libertà ai progettisti, che si trovano così impegnati nel difficile compito di “inventare” sia uno spazio liturgico adeguato, sia un luogo significativo e riconoscibile per il quartiere. Spazio interno e spazio esterno sono quindi reciprocamente plasmati dalla flessione di superfici curve bianche, modellate a partire dall’organizzazione liturgica interna: una superficie – convessa verso l’interno – spinge il presbiterio verso l’assemblea raccolta a ventaglio attorno ad altare e ambone ; la superficie opposta – concava – accoglie il fonte battesimale e predispone lo spazio penitenziale. La compressione del volume tra le due superfici genera due ‘estrusioni’: a destra si protende la cuspide che ospita il tabernacolo che, innalzandosi, assume anche valore di segnale identitario urbano; a sinistra, si dispiega la parete che guida allo spazio della soglia, conducendo i fedeli verso la cavità di ingresso, ed accompagnandoli, a sua volta, verso l’uscita.
Sull’ampia pedana presbiteriale (anch’essa incurvata verso l’assemblea come la parete ad abside ‘rovescia’) trovano spazio la massa dell’altare marmoreo e la penisola dell’ambone, alla sua destra; la sede è alle spalle dell’altare, defilata sulla sinistra, opposta quindi all’ambone. Sulla curva absidale è collocata la croce.
Il fonte battesimale è collocato in posizione antipolare rispetto all’altare, alle spalle dell’assemblea, in un ampio spazio concavo dedicato. A fianco del battistero, presso l’accesso all’area penitenziale, trova collocazione l’immagine per la devozione mariana. La parete curva che genera il battistero dà luogo – in continuità spaziale e teologica – alla penitenzieria: due sale, ricavate nello spazio curvo tra le due valve orientali dell’aula, possono ospitare penitente e confessore.
Il progetto iniziale prevedeva che la cuspide destinata al tabernacolo fosse in continuità assoluta con l’aula; lo scambio di opinioni tra la committenza e i progettisti, durante lo sviluppo del cantiere, ha portato a introdurre una separazione tra lo spazio per l’adorazione – utilizzato anche come cappella feriale – e quello per la celebrazione eucaristica festiva: un setto basso, a un profilo curvo, racchiude in modo più completo e protettivo l’assemblea, e consente un utilizzo raccolto alla cappella feriale. La continuità visiva è garantita da una lunga apertura a nastro, che consente la piena visibilità del tabernacolo dall’aula e viceversa. L’area antistante al tabernacolo, inizialmente disposto in modo isolato, è stata allestita con un altare e un leggio per le celebrazioni feriali.
L’assemblea è aperta a ventaglio attorno al presbiterio convesso, su una superficie leggermente declinante verso il presbiterio stesso. I fedeli sono disposti, in modo non rigidamente geometrico, tra la ‘parete di luce’ sud-occidentale e il setto curvo verso la cappella feriale, coperti da una superficie drappeggiata a mantello, che parte dall’area battesimale e si innalza verso la cuspide del tabernacolo e il relativo rosone.
I due ingressi all’aula non sono assiali rispetto all’altare (in posizione antipolare si trova infatti il battistero, ingresso ‘teologico’ alla celebrazione, e non funzionale), ma tangenziali alle due valve che racchiudono e comprimono lo spazio liturgico. L’ingresso principale è quello sud-orientale, protetto da un’ampia tettoia sagomata in modo concavo accogliente; l’ingresso secondario, a nord, consente anche l’accesso alla sacrestia  e alla cappella eucaristica e feriale. Nell’angolo vicino alla bussola di ingresso è collocato l’organo], a fianco del quale si dispone il coro, lungo il setto divisorio rispetto al tabernacolo. 
22/01/2014
Il programma iconografico è basato sulla complementarietà tra due linguaggi materici apparentemente contradditori: la massa lapidea dei poli liturgici e la superficie luminosa delle vetrate. Il nitore bianco di altare, ambone, sede e fonte assume declinazioni policrome diverse durante l’arco della giornata, stabilendo così un dialogo mutevole tra superfici illuminanti e superfici riflettenti.
La parete di luce principale è quella sud-occidentale, di circa 45 mq, posta a sinistra del presbiterio: è la principale fonte luminosa naturale sia per l’assemblea, sia per il presbiterio. Il sole che campeggia nella vetrata pare quasi specchiarsi nel rosone sopra il tabernacolo, nella cuspide opposta.
Le aggettivazioni degli altri luoghi liturgici sono affidati a specifiche vetrate con tagli diversi: il fonte è accompagnato da una vetrata bassa, tangente al suolo di campagna esterno, di taglio orizzontale; il confessionale è illuminato da una vetrata aperta nello spazio cuspidato e introverso tra le due valve che generano l’assemblea; il tabernacolo è accompagnato da un taglio orizzontale alto e dall’opposto già citato rosone . La croce metallica presenta un segno all’incrocio dei bracci, verso destra, interpretabile come memoria iconografica della ferita al costato. Per la devozione mariana è stata scelta un’icona orientale della Vergine della tenerezza.
Curati anche i dettagli minori, come l’acquasantiera a navicella, o il bassorilievo nell’ingresso settentrionale.
22/01/2014
La modellazione dello spazio liturgico avviene mediante superfici bianche semplici, animate e illuminate da superfici vetrate policrome accortamente ritagliate nelle pareti, secondo il progetto liturgico. Il perimetro dell’aula, caratterizzato dall’andamento concavo e convesso, è realizzato con superfici in laterizio a doppia parete, con isolante interposto; l’intonaco – sia esterno sia interno – è strollato in ghiaietto e cemento bianco. La copertura ha andamento iperbolico , partendo dall’area periferica degli ingressi e del fonte, per innalzarsi sopra l’assemblea come un manto, e culminare nella cuspide sopra il tabernacolo. La sagomatura della copertura è definita da una controsoffittatura in pannelli di gesso, che ha decisamente ridotto il volume d’aria interno (con qualche problema di ventilazione estiva).
Anche la pavimentazione contribuisce alla modellazione dello spazio: la superficie continua in serizzo lucidato si flette di alcuni decimetri verso il presbiterio, che si risolleva grazie a tre alzate.
La qualità dell’ambiente interno è dunque definita dalla continua movimentazione di tutte le superfici d’ambito, verticali e orizzontali, e dal contrasto tra la semplicità – quasi nudità – di superfici e manufatti, in contrasto con la ricca e cangiante illuminazione colorata, studiata con estrema attenzione sia all’orientamento dell’edificio, sia alla specificità dei luoghi liturgici.
La luce, tuttavia, non è un semplice espediente emozionale, ma un elemento costruttivo di valenza teologica. Interessante la lettura offerta da mons. Gianfranco Ravasi (1995): la luce infatti “è esterna e trascendente rispetto a noi, eppure ci attraversa, ci specifica, ci riscalda, ci colora” (p. 115); “diversamente da altri architetti che considerano la vetrata come strumento per affascinanti giuochi di luce all’interno del progetto d’insieme, P. Ruggeri considera la luce come sorgente da cui scaturisce e si dispiega il tempio, il suo germe, il grembo fecondo. E la grandiosa, indimenticabile vetrata e gli altri squarci di luce della chiesa di San Paolo sono la prova, sperimentabile a tutti, di questa intuizione. Perché si tratta di pareti di luce e di sole, più che di finestre. Esse non sono solo ‘diafane’ perché si lasciano trafiggere e trapassare dalla luce cosmica, ma sono anche ‘epifaniche’ perché la luce che le attraversa è quella celeste e divina e in esse si attua quasi un’epifania di Dio […]. Le vetrate non illuminano solo lo spazio sacro, non lo ornano soltanto, ma diventano uno sguardo di Dio su di noi e uno sguardo nostro nel suo gorgo accecante di luce” (p. 121). Quindi “è solo in questo spazio che il silenzio si fa denso ed eloquente più delle parole, come avviene nel linguaggio degli occhi che intercorre tra due innamorati. È solo in questo spazio che l’assemblea eucaristica si sente ‘d’un cuor solo’ e non associata come in uno stadio in un salone” (p. 122).
22/01/2014
 Il lotto destinato al complesso parrocchiale occupa un’area consistente, posta a “cuscinetto” tra il cuore denso dell’insediamento e la tangenziale esterna, verso le pertinenze rurali della villa Scheibler. La crescita degli edifici (chiesa provvisoria e definitiva, casa parrocchiale, oratorio e campi da gioco) ha definito un complesso articolato, che offre un ampio fronte verso la città, con spazi aperti a verde. La chiesa, per vincoli urbanistici preesistenti, è posta al vertice nord-ovest del lotto, affacciata su un’area a intensa circolazione, e si pone come riferimento visivo – con la sua forma avvolgente, l’innalzarsi della cuspide e il suo candore – sia per gli abitanti, sia per i passanti. L’incrocio viario verso l’abitato è invece caratterizzato dal volume della prima cappella, affacciata sul medesimo ingresso esterno della chiesa nuova; l’originaria aula liturgica è ora dismessa, ed è utilizzata come spazio a disposizione per le attività parrocchiali.
In sintesi, manca un affaccio urbano “costruito” per il complesso parrocchiale, interamente avvolto dal verde: come i tessuti urbani adiacenti  sono liberamente disposti nei lotti, arretrati rispetto al filo viario, così anche chiesa e complesso parrocchiale si dispongono liberamente nel loro lotto, con ampi spazi a giardino, che deve essere considerato parte integrante degli intenti progettuali. Il riferimento paesaggistico urbano del campanile, inizialmente previsto, non è stato realizzato .
22/01/2014
Il percorso condiviso tra progettisti, parroco e comunità ha portato, fin dalla fase di cantiere, all’adattamento dello spazio liturgico con il setto di separazione tra aula e cappella eucaristica, consentendo di meglio definire la scala e l’ambiente delle due modalità celebrative (festiva e feriale), pur mantenendo un criterio compositivo e spaziale unitario, nonché la piena visibilità del tabernacolo. La riarticolazione dell’interno ha anche definito il nuovo ingresso settentrionale, che distribuisce aula festiva, cappella feriale e sacrestia. Negli anni successivi la chiesa ha conservato il nitore e le cromie luminose originarie, grazie al rispetto scrupoloso del programma iniziale. Nel frattempo, sono continuate le opere per gli altri edifici del complesso per le opere pastorali e sociali. La vegetazione del giardino, decisiva per la qualificazione dell’insieme, è molto cresciuta: se la qualità ambientale è certamente migliorata, è rimasta compromessa la leggibilità esterna dell’architettura, il cui rilievo ascensionale resta un po’ nascosto dagli alberi ad alto fusto circostanti.
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