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Home page - Una chiesa al mese - Arcidiocesi di Torino, chiesa di Santa Teresa di Gesù Bambino - Scheda completa | Santa Teresa di Gesù Bambino | Torino | |
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31/07/2012
La parrocchia viene istituita nel 1932 per la cura pastorale delle aree di espansione a sud-ovest del centro di Torino, a ridosso degli assi ferroviari e dell’area dei grandi servizi urbani; la chiesa avrebbe avuto anche la funzione di santuario in onore di Santa Teresa da Lisieux. Il centro parrocchiale comprendeva vari edifici: il primo parroco, don Bruno Garavini, utilizzava come chiesa una cripta di circa 230 mq, realizzata tra il 1934 e il 1935 (progetto architetti Ronchetta e Dardarelli) e prevista come basamento per l’erigenda aula superiore; la cripta era affiancata da casa parrocchiale, oratorio, scuola materna, cinema e rifugio antiaereo. Il nuovo parroco, don Giuseppe Bruno (ingresso nel 1955), prevede un radicale aggiornamento del complesso: demolisce il cinema, ripensa l’utilizzo del lotto disponibile e – soprattutto – intende realizzare una nuova chiesa, non legata all’impianto tradizionale inizialmente previsto. Il parroco affida la progettazione a un affiatato gruppo di cinque architetti trentenni, coinvolti nel dibattito sull’arte sacra moderna che stava maturando non solo nella Bologna del card. Lercaro, ma in diversi centri di studio e riflessione. La cripta viene conservata, ma diventa il nucleo generatore di una soluzione inedita, dal punto di vista sia delle relazioni a scala urbana, sia della sistemazione dell’assemblea. Per la costruzione “al rustico” della chiesa la parrocchia si avvale dei contributi previsti dalla L. 2522/1952, per le opere di ministero pastorale del finanziamento L. 168/1962; tali contributi, tuttavia, non coprono che circa il 10% dell’opera finita.
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31/07/2012
Il nuovo piano regolatore di Torino, adottato nel 1956, prevedeva un’intensa e ordinata espansione della periferia occidentale, tra i due trinceroni delle ferrovie verso Milano e verso la Francia, a cerniera tra il quartiere storico della Crocetta e la nuova periferia industriale. L’area provvista per la chiesa e le opere pastorali, di 4.100 mq, era collocata in una zona già densamente edificata, compressa tra cortine edilizie alte fino a 35 metri, ma la parte più consistente della popolazione della parrocchia si sarebbe trovata oltre la cesura della ferrovia, dove si stava impostando uno sviluppo intensivo, per ceti medi e popolari [2]. Il centro parrocchiale definitivo era dimensionato per servire circa 13 mila abitanti, in un contesto di forte crescita urbanistica e demografica: tra il 1951 e il 1961 i residenti a Torino aumentano da 720 mila a più di 1 milione, con una dimensione media delle parrocchie di 11.500 potenziali fedeli. Questo grande processo di crescita si colloca, dal punto di vista della vita ecclesiale, negli ultimi anni dell’episcopato del card. Maurilio Fossati (1930-1965), in un clima generale certamente non innovativo, ma che lascia spazio a iniziative autonome di sperimentazione pastorale. Per quanto riguarda le politiche edilizie diocesane, il soggetto decisionale è l’Opera Diocesana Preservazione della Fede (detta anche Torino-Chiese), eretta canonicamente nel 1935 e diretta per quarant’anni, dal 1954 al 1995, da don Michele Enriore, infaticabile e creativo interlocutore di amministratori e costruttori torinesi, ma che nel caso di Santa Teresina non pare ancora un ruolo decisionale determinante; negli anni tra il 1954 e il 1961, corrispondenti alla realizzazione della nostra chiesa, sono aperti in diocesi 52 cantieri di chiese. Il gruppo di giovani architetti affronta un percorso innovativo, ma profondamente innervato nella cultura architettonica torinese: il nodo tipologico (ossia la scelta dell’impianto liturgico) viene affrontato contestualmente al nodo linguistico (ossia il rapporto sia con il Movimento Moderno, sia con la tradizione locale), con un approccio che non isola i diversi problemi, ma li considera con lucida e poetica coerenza. In particolare, in anni in cui non si ipotizzavano un nuovo Concilio o una riforma liturgica, il dibattito era essenzialmente legato alla conciliabilità tra architettura contemporanea e tradizione ecclesiale, nel solco della problematizzazione posta dai testi dei fratelli cardinali Costantini e delle polemiche suscitate dall’Istruzione del Sant’Uffizio del 1952. Il tema dell’assemblea avvolgente e partecipante, nuovo per le chiese torinesi, viene risolto con un impianto complessivo ispirato dalle piante centrali barocche – quali le chiese di San Lorenzo e la cappella della Sindone di Guarino Guarini, o Sant’Ivo alla Sapienza di Borromini – e realizzato con materiali e tecniche radicati nella cultura costruttiva piemontese. L’esito è quindi una chiesa certamente riconoscibile rispetto al suo contesto [3], pur senza l’utilizzo di espedienti tradizionalisti, e chiaramente significativa per la cultura architettonica coeva, scevra da formalismi o tecnicismi gratuiti. Un “silenzio urbano “ (Olmo 2004, p. IX), che però ha saputo dialogare, per più di 50 anni, con contesti urbani e culture architettoniche in continua trasformazione.
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31/07/2012
Il cuore della chiesa è costituito dall’altare centrale, a partire dal quale viene tracciata la pianta centralizzata esagonale irregolare , che organizza la forma avvolgente dell’assemblea e gli spazi liturgici sussidiari. Tre vani circolari – posti a tre vertici dell’esagono longitudinalizzato dell’aula, e disposti su due livelli – sono destinati a ospitare il tabernacolo, il battistero e le confessioni, le immagini devozionali, gli spazi per la preghiera in piccoli gruppi; ai livelli inferiori sono utilizzati come elementi distributivi per il raccordo con la cripta e i vani nel basamento. I volumi cilindrici generati tali spazi determinano le tre ampie absidi a profilo poligonale e coronate da un’asola luminosa, caratterizzanti l’inserimento dell’edificio nel contesto urbano. L’intuizione liturgica iniziale è evidentemente anomala rispetto alle soluzioni correnti coeve: il progetto presentato il 22.8.1957 alla Pontificia Commissione Centrale per l’Arte Sacra in Italia viene subito approvato “in via di massima, ma si invitano i progettisti ad adottare, in sede di sviluppo del progetto, una revisione dell’impostazione planimetrica e volumetrica” (verbale del 18.9.1957). Per agevolare il prosieguo dell’iter e per sopire eventuali polemiche, il parroco e i progettisti concordano tempestivamente una nuova soluzione (27.11.1957), in cui l’assemblea adotta una disposizione palesemente longitudinale, senza tuttavia apportare alcuna modifica alle scelte architettoniche di fondo (salvo la revisione dei livelli del presbiterio). Il progetto è approvato a Roma in via definitiva già la settimana successiva alla presentazione. In corso di realizzazione, tuttavia, viene riproposto l’assetto liturgico inizialmente concordato, con l’altare centrale circondato da balaustra e tabernacolo sull’altare ; un pulpito in legno è posto tra la pedana e la cappella destra con i confessionali. L’assemblea può così disporsi attorno all’altare e – dopo l’apertura al culto dell’edificio – sarà facilmente realizzabile l’adeguamento liturgico conciliare, senza ripercussioni sull’architettura e sull’impostazione spaziale dell’edificio.
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31/07/2012
La forza dell’impianto liturgico e dello schema geometrico di base pongono in secondo piano il tema del programma iconografico.Il crocifisso segna l’asse longitudinale dell’edificio, a raccordare visivamente la mensa d’altare e la cappella eucaristica sopraelevata; uno degli spazi circolari sussidiari viene utilizzato per le statue devozionali tradizionali. L’esigenza di alcune immagini per il culto, manifestatasi nel corso dei decenni, è sempre stata declinata con soluzioni piuttosto provvisorie, e non sempre coerenti con l’insieme; attualmente la memoria figurativa della santa titolare è posta sul setto sinistro tra la navata e la cappella circolare, con un’effige che richiama le icone orientali. Una via crucis è disposta lungo le pareti perimetrali dell’aula.
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31/07/2012
Il progetto dell’illuminazione naturale costituisce uno dei fattori più interessanti nel rapporto tra spazio liturgico e struttura architettonica. Al di sopra della pedana dei principali poli liturgici si innalza il tetto , costituito da tre prismi a base esagonale irregolare, sovrapposti ruotati di 60° e dimensionalmente degradanti verso l’alto secondo un rapporto di 1:2. La luce piove dalle pareti laterali dei tre tiburi, filtrata da elementi in vetro-cemento colorato. Con le parole di Giovanna Maria Zuccotti, progettista dell’opera e docente di applicazioni di geometria descrittiva al Politecnico: “Ciascuno degli ordini principali è costituito da un prisma, avente per base un esagono irregolare a lati uguali, ma ad angoli alternativamente disuguali (100° e 140°), concluso da una copertura a falde la cui linea di imposta è orizzontale, per i tratti dei lati dell’esagono che convergono ai tre vertici posti sui tre principali assi di simmetria dell’organizzazione geometrica ed architettonica dei volumi, mentre è inclinata per i tratti di lato convergenti ai tre rimanenti vertici dell’esagono. […] Al di sotto di ciascuna cuspide, formata dai tratti di falda a linea di imposta inclinata dell’ordine principale, si aggrega una porzione di prisma, avente per base un poligono regolare di diciotto lati, coperta da una porzione di cono, avente asse verticale coincidente con lo spigolo del prisma dell’ordine principale e generatrice parallela alla linea di imposta della falda sovrastante” (Zuccotti 1985, p. 158). Se la geometria della struttura è definita degli architetti progettisti, l’intervento dello strutturista Giuseppe Raineri ha consentito di eliminare le catene intrecciate a vista sopra lo spazio dell’aula, portandole nella piastra basamentale. La qualità ambientale dello spazio è data anche dall’uso dei caldi materiali tradizionali della cultura costruttiva locale: pareti in laterizio a vista sabbiato, pavimentazione e dettagli costruttivi in trachite, intradosso delle falde del tetto foderato con un tavolato in legno con venatura a vista che – grazie a un sistema di cellule vuote – migliora anche la resa acustica dello spazio.
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31/07/2012
Il centro parrocchiale è chiamato ad assolvere una pluralità di funzioni religiose e sociali, che devono essere organizzate su un lotto ampio, ma disposto su un’area fortemente longitudinale. La soluzione progettuale isola la chiesa nella parte nord dell’isolato, dopo la demolizione della preesistente casa parrocchiale degli anni Trenta: la chiesa è circondata da vie su tre lati, su una piattaforma di circa 70 x 70 metri sollevata su di più di 2 metri, costituita dalla cripta preesistente (utilizzata successivamente per le attività ricreative) e dai vani annessi, in cui si sistemano le opere parrocchiali (allestite nel 1962) e la cappella feriale (con accesso autonomo su via Caboto). La disposizione del resto del complesso è esito di un’idea complessiva unitaria, realizzata nel corso degli anni: lungo il lato est dell’isolato è collocata la nuova casa del parroco (nella forma di piccolo edificio autonomo realizzato già nel 1959, collegato alla chiesa tramite la manica degli uffici), gli spazi aperti per il gioco (su un’ampia autorimessa seminterrata , affittata per sostenere le spese di costruzione del complesso) e – alla testata sud (via Torricelli) – una scuola con casa religiosa (realizzata nel 1963), disposta su uno sviluppo verticale di sette piani, inserita nello skyline adiacente. La posizione isolata e sollevata della chiesa consente una spiccata permeabilità dell’aula liturgica rispetto al quartiere: un ampio sagrato sopraelevato circonda l’edificio su tutti i lati e gli ingressi sono posti ai tre vertici dell’esagono non occupati dagli spazi liturgici sussidiari. L’accesso principale assiale è protetto da una tettoia di raccordo con la torre campanaria, mentre i due ingressi laterali sono fortemente segnati dall’articolazione volumetrica dello spigolo, che li rende evidenti anche dalle vie adiacenti.
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31/07/2012
Il progetto originario pre-bellico prevedeva una facciata direttamente affacciata su corso Mediterraneo, mentre la soluzione adottata arretra l’aula liturgica rispetto al filo stradale, ma la rende ben riconoscibile e isolata rispetto alle alte cortine edilizie adiacenti. Viene negata l’ipotesi di avere una vera e propria ‘facciata’ unica, prevedendo invece un volume isolato a pianta centralizzata e con affacci diversificati verso il quartiere, segnato dall’aggetto delle absidi. Le recenti trasformazioni urbanistiche della città hanno completamente ridisegnato il contesto della chiesa : la trincea ferroviaria è stata coperta da un ampio viale alberato e illuminato, che costituisce la “Spina” di una nuova sequenza di attrezzature urbane (nuova stazione di Porta Susa, grattacielo Intesa-San Paolo, Cittadella Politecnica). Nello spazio di fronte alla chiesa è stata posta la fontana ad igloo di Mario Merz, caposcuola dell’arte povera torinese.
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31/07/2012
Come sopra accennato, la storia liturgica dell’edificio è segnata dalla sperimentazione. Nel corso dei decenni, la pedana centrale per l’altare “ha subito diverse modificazioni risultate però sempre compatibili sia con la struttura dell’interno sia con l’intento di favorire la partecipazione attiva dei fedeli alle celebrazioni (intento ben presente alle origini della progettazione cinque anni prima che il Concilio Vaticano II fosse indetto): in un primo tempo l’altare di tipo tradizionale – spalle ai fedeli – con soprastante tabernacolo, ripiani per candelieri, tronetto per il Santissimo Sacramento provvisorio in legno, consentì alla metà dei presenti di assistere di fianco alle celebrazioni; in un secondo tempo (immediato postconcilio) un nuovo altare provvisorio in legno, lasciato libero da ogni sovrastruttura, risultò molto adatto alla celebrazione orientata verso l’ingresso principale; in un terzo tempo l’altare attuale fu realizzato in termini definitivi al centro del presbiterio della chiesa con lo stesso materiale lapideo del pavimento, nello stesso punto dove si era collocato il primo altare postconciliare” (Varaldo 2001, p. 389).Il tabernacolo e lo spazio per l’adorazione sono collocati sulla piattaforma a est dell’altare, sopra la sacrestia . Nonostante la cura per il dettaglio e per la qualità dei materiali, non tutte le proposte dei progettisti sono state completate nelle finiture. Dopo una sostanziale pausa nei lavori tra il 1978 e gli anni Novanta, sono stati realizzati la pavimentazione esterna, con l’adeguamento per l’accessibilità dei disabili, il restauro dei banchi provenienti dalla vecchia chiesa e il rifacimento dell’illuminazione interna. Potrebbe essere affrontato il nuovo rapporto tra la “Spina”, l’ingresso est e il sagrato superiore. La flessibilità dei vani laterali affacciati sull’aula ha consentito nel tempo diversi assetti per gli spazi devozionali e per le liturgie battesimali e penitenziali; ai livelli superiori delle piattaforme laterali, previsti per riunioni o funzioni a piccoli gruppi, sono collocati l’organo e l’impianto di riscaldamento. Lo studio per l’allestimento definitivo del fonte, dei confessionali e dell’ambone è stato promosso dal parroco, don Sebastiano Mana, in occasione del 50° anniversario dell’apertura al culto della chiesa (incarico allo studio Bezaleel: Leonardo Palladini capogruppo, Carlo Bertotto, Enrico Zanellati), e la progettazione si sviluppa nel rispetto del genius loci e delle intuizioni originarie; si prevede di aprire la porta del battistero (prevista, ma rimasta murata), per affacciare l’area battesimale verso un giardino esterno. Nel 2010 l’edificio ha ricevuto il premio “Architetture rivelate” assegnato dalla Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Torino ai casi più significativi dell’architettura contemporanea torinese.
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