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 Home page - Una chiesa al mese - Arcidiocesi di Firenze, chiesa dell'Ascensione di N.S. Gesù Cristo - Scheda completa 

Ascensione di N.S. Gesù Cristo

Firenze, via Giovanni da Empoli
03/07/2012
La parrocchia dell’Ascensione viene istituita dal cardinale Ermenegildo Florit (1901-1985), il 20 maggio 1971, per offrire un’adeguata cura pastorale alla popolazione insediata in un’area a sviluppo urbanistico intensivo, a nord-ovest della città storica. Nei primi anni la parrocchia ha sede in uno scantinato, dove si trovano la chiesa – allestita con arredi storici di recupero – e le sale per il catechismo.
In quattro anni la comunità arriva a formulare con l’architetto Lando Bartoli il progetto per la sua sede definitiva: la prima pietra viene consegnata ai parrocchiani il 6 aprile 1975 nella basilica di San Pietro a Roma, dove la comunità era andata in pellegrinaggio come segno di comunione con la Chiesa universale, ed è benedetta il 12 aprile dal cardinale Florit. I lavori iniziano 16 mesi dopo, conseguita l’autorizzazione edilizia, il 26 agosto 1976. Il cantiere è seguito con passione dalla comunità, guidata dal primo parroco, don Giuseppe Padovese: una chiesa “sentita dal popolo e voluta dalla grande fede della comunità” (don Padovese, nel video del 2009).
Non mancano tuttavia le tensioni con il contesto sociale e politico, segnato da dure contrapposizioni e dalla contestazione: la statua della Madonna posta di fronte al cantiere viene incendiata, e sulla struttura della chiesa in via di completamento viene scritto “di chiese non vogliamo più, questa la butteremo giù”, con la firma di falce e martello. Sul basamento della statua vandalizzata, la comunità risponde “mi avete ferita a morte, ma io sono sempre la vostra mamma. Col mio amore vincerò il vostro odio”
Il 1978-1979 è una sorta di “anno santo” per la comunità: “uscendo dalle catacombe”, con una solenne e suggestiva processione notturna, l’eucaristia viene trasportata dal garage al tabernacolo definitivo, incastonato nel getto di cemento della parete absidale; anche il quadro della Madonna del Rosario secentesca e il crocifisso di Umberto Bartoli trovano posto nella nuova chiesa, che viene consacrata il 5 maggio 1979 dal cardinale Giovanni Benelli, arcivescovo di Firenze succeduto a Florit nel 1977.
03/07/2012
La chiesa è costruita in un contesto edilizio sviluppatosi negli anni Cinquanta e Sessanta, nel cuneo tra il l’alveo rettificato del torrente Mugnone e la linea ferroviaria che immette alla stazione di Santa Maria Novella. Il quartiere sorge in direzione di Novoli, polo industriale della periferia nord-ovest di Firenze, lungo la direttrice di sviluppo urbanistico verso Prato, che il progettista conosce bene fin dalle esperienze di pianificatore e di amministratore negli anni Cinquanta.
Il terreno riservato alla chiesa ha forma e dimensioni assolutamente infelici: è un lotto stretto e allungato, incuneato tra stecche multipiano longitudinali, nel gomito di una strada a ‘L’: si tratta, peraltro, di una situazione non infrequente nell’urbanistica fiorentina, dovuta sia ad atteggiamenti speculativi degli operatori, sia all’indifferenza dei tecnici verso i centri religiosi.La visibilità della chiesa, prima ancora che la sua ‘riconoscibilità’, è il problema principale, associato alla questione della sistemazione dello spazio assembleare in un ritaglio palesemente inidoneo e oppresso dagli edifici circostanti.
 
Osservando il contesto ecclesiale, si deve rilevare come la chiesa fiorentina nel Dopoguerra fosse stata fortemente impegnata dal punto di vista edilizio, dovendo far fronte sia alla ricostruzione post-bellica, sia alle esigenze poste dall’inurbamento e dalla pressione demografica negli anni del boom economico. Il contesto progettuale delle chiese fiorentine manifestava allora una dialettica tra i temi tradizionali (con i richiami romanici, francescani o rinascimentali, applicati da progettisti quali il padre francescano Raffaello Franci, Guido Morozzi o Primo Saccardi) e i riferimenti all’architettura del movimento Moderno (Raffaello Fagnoni, preside della facoltà di architettura fiorentina, Alfonso Stocchetti o il bolognese Glauco Gresleri); l’evento mediatico della cosiddetta ‘chiesa dell’Autostrada’ di Michelucci a Campi Bisenzio (1961-1964) aveva poi aperto le strade a manifestazioni liriche, manifestatesi con toni diversi anche nei decenni successivi.
In tale quadro, la ricerca progettuale di Bartoli cerca un equilibrio tra la tradizione fiorentina e una nuova espressività, formata anche sulla conoscenza del dibattito ecclesiale e su una spiccata sensibilità sociale e religiosa. Il tema della chiesa è affrontato da Bartoli fin dalla Ricostruzione, sia con l’attività professionale, sia con la riflessione teorica. Nel 1948, reagendo alle “sterili realizzazioni” dell’ultimo secolo, Bartoli aveva invitato i progettisti di chiese ad “essere gli interpreti del nostro tempo e fare proprie le esperienze del passato” (Bartoli 1962, p. 26). È interessante la proposta del metodo progettuale: inserire nell’architettura della chiesa alcuni elementi della vita quotidiana, dell’architettura civile e dei mezzi di lavoro: “questo renderà più umana l’architettura delle chiese e darà un senso più religioso alle cose che ora non l’hanno”, quasi anticipando la tensione conciliare alla santificazione delle realtà secolari. Si noti anche il tentativo teorico di non disgiungere restauro, adattamento alle mutate esigenze di culto (che non sono ancora le riforme post-conciliari, ma il continuo processo di adattamento della liturgia) e la progettazione di nuove chiese: i tre problemi “devono essere affrontati in assoluta interdipendenza e non all’insaputa uno dell’altro” (p. 28).
03/07/2012
Il nodo progettuale è dato dalla ricerca sulla forma dell’assemblea: come inserire una comunità celebrante coesa, ispirata al messaggio conciliare, in uno spazio stretto e lungo? Come mediare tra centralità avvolgente e longitudinalità direzionata? Come differenziare e gerarchizzare lo spazio liturgico in una forma così costretta? Bartoli sceglie la soluzione a ‘pianta trasversale’ [3], ossia con l’altare posto sull’asse minore di uno spazio rettangolare, o sulla diagonale minore di uno spazio romboidale. L’obiettivo – su cui non erano mancate le sperimentazioni fin dai primi anni Sessanta, anche da parte di Bartoli stesso – è l’avvicinamento dei fedeli al sacerdote e all’altare, con un esito che costituisce una “rivoluzione della composizione spaziale […]: ciò che dovrebbe essere longitudinale diventa trasversale, il transetto si fa navata, o la navata transetto, e traspare l’ambiguità sorniona del progettista nello smontare e rimontare i pezzi di uno spazio sempre da ridiscutere” (Degl’Innocenti 2009, p. 34). Se la prima idea di tale assetto è riconoscibile già nella chiesa di Pagnana (1946-1948) e nei progetti non realizzati per Prato (1949), è nella chiesa dell’Ascensione che il tema arriva a una formulazione completa e matura, rielaborando le ipotesi formulate per la ricostruzione del San Francesco a Firenze (1970).
 
Il presbiterio è molto ampio, e si dispone parallelamente al lato lungo del lotto. Al centro si collocano i poli eucaristici, ossia un altare monumentale (un trilite in calcestruzzo) avanzato verso l’assemblea e, sulla parete absidale, il tabernacolo. Secondo la tradizione, al momento della consacrazione sotto l’altare sono murate le reliquie di alcuni santi (Giovanni Gualberto, Maddalena dei Pazzi, Sant’Antonino vescovo di Firenze, Filippo Neri, Luigi Gonzaga e Giovanni Bosco), a ribadire la continuità tra il corpo eucaristico di Cristo e il corpo della Chiesa nella comunione dei santi. Il tabernacolo è incassato nella parete di fondo, al centro di una raggiera di fiamme luminose sagomate nel getto in opera del calcestruzzo e animate da vetri colorati. Per l’analoga soluzione già realizzata in San Jacopino, così si era espresso Bartoli: il tabernacolo è “tema fondamentale per forma, colore e luminosità: è concepito come una gemma (una scatola argentata e sfaccettata) al centro di una rosa a fiamme in vetro-cemento realizzato con cristalli (in dalles) ed illuminata dall’esterno dalla luce naturale di giorno e da luce artificiale di notte” (Bartoli 1974, p. 270). Al di sopra dei poli eucaristici pende il crocifisso, illuminato dal tiburio absidale.
La pedana presbiteriale interpreta in modo originale il tema del doppio ‘affaccio’ tradizionale, rifunzionalizzando la forma storicizzata dell’ambone doppio, ancora diffusa nei primi anni Settanta: nel cornu evangelii viene collocato il luogo per la proclamazione delle Scritture, ossia l’ambone vero e proprio affiancato dal cero pasquale, mentre nel cornu epistolae trovano posto i seggi del sacerdote che presiede la celebrazione e dei ministranti. La soluzione con la sede e l’ambone avanzati verso l’assemblea trasversale era già stata sperimentata in San Jacopino alla fine degli anni Sessanta (Bartoli 1974, p. 270) e proposta nel progetto per San Francesco in piazza Savonarola (Bartoli 1970).
L’ingresso all’aula avviene dal lato corto, ossia con un orientamento ruotato di 90° rispetto all’asse del presbiterio. L’area battesimale è collocata in un nartece interno, di fronte a una vetrata che ritrae il battesimo di Cristo: il fonte è a pozzo, con profilo di pentagono irregolare, coperto da una cuspide a sette lati, su cui sono richiamati i simboli battesimali. Nella parete è incastonato il tabernacolo per gli olii. Sempre nell’ampia area di ingresso e di filtro trovano spazio le devozioni ai santi e alla Vergine e, inizialmente, i vani per le confessioni.
Dalla parte opposta rispetto all’ingresso, oltre l’assemblea, è ricavata la cappella feriale , separata dall’aula grazie a una vetrata a tutta parete che garantisce la percezione unitaria dei due ambienti.
L’assemblea può articolarsi anche a un livello superiore , in occasione delle grandi celebrazioni: l’accesso alla balconata avviene da due scale poste a fianco del presbiterio, quasi a garantire la coesione e il collegamento delle due parti di assemblea . Nella parte di galleria al di sopra della cappella feriale è sistemata la corale; dalla parte opposta, sopra l’atrio di ingresso e prospettante in facciata, è disponibile un ulteriore spazio per la preghiera in piccoli gruppi. Altre due scale affiancano la nicchia absidale, conducendo a una cantoria e alla torre del tiburio.
03/07/2012

Il tiburio inonda di luce il crocifisso ligneo scolpito da Umberto Bartoli (Livorno 1888 – Firenze 1977), padre del progettista, intensamente attivo nell’ambito dell’arte liturgica (suoi anche i crocifissi in San Jacopino e Sacro Cuore, ad esempio). Il crocifisso era già stato posto nella prima chiesa provvisoria sotterranea e solennemente traslato nella chiesa nuova a cantiere ancora in corso, come segnale di continuità e di rinnovamento.
Lungo la parete di fondo della navata, le vetrate negli oculi rappresentano Sant’Antonino vescovo di Firenze e San Giuseppe, l’Annunciazione e i patroni d’Italia, San Francesco e Santa Caterina da Siena. Una vetrata stretta e lunga, da pavimento a copertura, sottolinea l’asse longitudinale maggiore della chiesa, unendo la balconata e la cappella feriale in un’unica meta visiva: sono raffigurati alcuni papi e il Sacro Cuore. Le vetrate del tiburio non sono invece figurate, e hanno solo richiami a cieli stellati.
Come sopra accennato, la devozione mariana e per alcuni santi è ospitata nello spazio di ingresso all’aula e nella cappella feriale , dove è riposto il quadro secentesco della Madonna del Rosario, anch’essa già venerata nella chiesa-garage.
La Via Crucis è raffigurata nelle formelle in terracotta poste lungo il parapetto della galleria. A ricordare il tema della dedicazione della chiesa, due recenti immagini del Risorto e dell’Ascensione, di ispirazione bizantineggiante, sono collocate a fianco del presbiterio.
Il programma iconografico della chiesa è quindi basato su un equilibrio tra riuso di opere storiche e inserimento di nuovi manufatti, sia scultorei, sia in forma di vetrata. La vicinanza di Lando Bartoli all’ambiente artistico fiorentino aveva già portato a forme di collaborazione anche più complesse, come nella chiesa del Sacro Cuore (1956-1962), dove erano intervenuti artisti di valore quali Angelo Biancini, Giovanni Haynal e Marcello Avenali, oltre al padre Umberto Bartoli.

 

03/07/2012
Le diverse fonti di luce contribuiscono a unire e differenziare la comunità. Se è evidente la preminenza dell’illuminazione offerta dal tiburio, la scala domestica e accogliente dell’assemblea è sottolineata dalle lame di luce che affiancano i setti strutturali, dagli oculi con le vetrate decorate, dalle aperture al di sopra della galleria e dalla sottile vetrata assiale.
Anche la copertura ha una funzione decisiva nel modulare lo spazio assembleare: le falde gradinate sono orientate lungo l’asse longitudinale maggiore, ma si innalzano decisamente verso la torre luminosa del tiburio.
03/07/2012

L’inserimento nella densa trama edilizia del quartiere è certamente il tema più ostico, in quanto la chiesa e le opere parrocchiali necessariamente paiono destinate a ‘soccombere’ rispetto alle masse del contesto . Alcune soluzioni consentono tuttavia di rendere il luogo accogliente e riconoscibile. Un primo elemento è costituito dalla facciata, posta come fondale prospettico della via: presenta una tradizionale scansione a falde e associa il corpo di ingresso all’aula, protetto da tettoia, con l’accesso alla casa canonica e alle opere parrocchiali. La struttura che però rende più interessante l’inserimento della chiesa nel suo contesto è la torre-tiburio , realizzata con setti paralleli di cemento armato, tra cui si aprono le ampie vetrate absidali e che reggono la cella campanaria .
Attorno all’edificio resta un esiguo spazio per le attività all’aperto e per un’area verde; le opere pastorali sono collocate nel basamento dell’edificio, in continuità con lo spazio aperto circostante.

 
03/07/2012
Le intuizioni principali del progetto hanno conservato la loro validità: il presbiterio ampio e ben illuminato dal tiburio vetrato, la stretta relazione tra l’assemblea e i poli liturgici, la modulazione della luce e l’articolazione dei volumi sono i caratteri che garantiscono la qualità dello spazio celebrativo.
Alcuni aspetti di funzionalità liturgica sono tuttavia segnati dal momento storico in cui la chiesa è stata realizzata, in cui le acquisizioni conciliari non avevano ancora trovato una piena esplicitazione nei nuovi riti e nella rinnovata prassi liturgica: ad esempio, la centralità eucaristica è espressa dall’assialità di altare e tabernacolo, soluzione oggi sconsigliata perché non consente di definire uno spazio per l’adorazione e la preghiera personale; a tale difetto si è rimediato utilizzando come custodia eucaristica e come luogo per l’adorazione la cappella feriale. Un altro limite è costituito forse dall’eccessiva ‘fiducia’ riposta nelle due rampe di accesso al livello superiore, collocate in stretta prossimità del presbiterio, con il rischio di disturbo e distrazione. I due vani a fianco dell’ingresso hanno perso le loro funzioni originarie (nursery e ufficio), mentre per le confessioni vengono utilizzati gli spazi presso gli uffici parrocchiali.
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