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| Intervista a Sr Maria Gloria Riva*
a proposito del libro “Lo spirituale nell'arte. Saggi sull'arte in Italia nei primi decenni del Novecento” a cura di Luciano Caramel (2011)
*Sr Maria Gloria Riva dopo gli studi artistici entra in Monastero e studia Sacra Scrittura, ebraico biblico e tradizione rabbinica, dedicandosi in modo particolare all’ermeneutica dell’arte. Fonda nel 2007 con alcune compagne un Monastero nella Diocesi di San Marino – Montefeltro che a partire dall’adorazione Eucaristica Perpetua vuole introdurre l’uomo alla via pulchritudinis. Dal 1996 propone catechesi su arte, bibbia e spiritualità pubblicando al riguardo numerosi libri. Collabora con diverse testate giornalistiche fra cui il quotidiano Avvenire, curando una rubrica dal titolo: dentro la Bellezza. Le monache dell’Adorazione Eucaristica da lei fondate propongono riflessioni e commenti su opere d’arte e musica nel loro sito: www.adoratrici.it.
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24/10/2017 ... due polarità: da un lato l'arte come strumento di dialogo (che consente di rivolgersi anche "ai lontani"), dall'altro lato il problema, dove stia il proprium dell'arte cristiana...
L'arte, se vera arte, è sempre ispirata, nasce da un profondo senso religioso e si muove alla ricerca del senso del vivere. Spesso svolgo incontri di carattere religioso e per focalizzare l'argomento parlo dell'Urlo di Much: è un dipinto in cui si tocca con mano il problema esistenziale.
Da lì si giunge a comprendere che l'essere umano è vocato e votato all'eternità. L’arte cristiana, non “arte sacra” che, stando al pensiero della chiesa ortodossa – ad esempio Evdokimov – è solo quella delle icone, è, per citare Hans Urs von Balthasar e la sua Estetica teologica, “teologia in atto”. Qui è il proprium dell’arte cristiana, il linguaggio proprio dell'estetica: comunicare quel kèrigma che apre alla vita teologale. Vi sono artisti sensibili e consapevoli dell'annuncio, capaci di esprimersi con linguaggi affinati a un'autentica partecipazione nella fede: ho in mente diversi nomi (potrei citare Americo Mazzotta per esempio e i suoi encausti, o Paola Ceccarelli con le sue sculture, e altri) peraltro non necessariamente molto conosciuti. Nell'ambito dell'arte cristiana tra chi ha acquisito maggiore notorietà v'è p. Marko Ivan Rupnik anche se questi, investito dal vortice delle molteplici commissioni, temo si stia cedendo alla trappola della ripetitività.
Certo l'arte è sempre strumento di dialogo. Penso che nella Chiesa essa dovrebbe tornare a ricoprire il ruolo della biblia pauperum. Il nostro mondo secolarizzato, incapace di conoscere la pienezza dell'annuncio cristiano, ha bisogno di un'estetica capace di fargli riscoprire un orizzonte di senso.
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24/10/2017
... quanto a evoluzione del rapporto tra artista e committente: implica una maggiore libertà del primo rispetto al secondo, comporta una più radicata coscienza del ruolo di intellettuale inteso come guida e ispiratore, o altro?
Non amo parlare delle correnti pittoriche in modo astratto, preferisco guardare ai singoli artisti e alla loro storia personale. Ogni artista, infatti, aderisce a una specifica corrente per i motivi più diversi, con ragioni che pescano direttamente entro la propria esistenza e che spesso poco hanno a che vedere con le premesse da cui parte tale tendenza. Laddove si aderisce a una corrente artistica per motivi ideologici, si decreta la morte dell’arte. Questa, infatti, perde la sua ragion d'essere ove si limiti a esercitare una funzione propagandistica. Lo stesso futurismo, in cui dominava la ricerca dell'accelerazione, come in Boccioni per esempio, ha prodotto un movimento contrapposto dove era manifesta la fissità della paralisi a conseguenza della paura, si pensi ad esempio a Felice Casorati.
L’ispirazione artistica rimane laddove l’adesione a una corrente è mossa dalle domande che l’artista ha in sé, mentre se l’appartenenza a una corrente è dovuta al tentativo di esprimere un'idea politica o di manifestare una denuncia scevra di contenuto autenticamente spirituale, allora l'arte diventa semplice tecnicismo e si abbassa a livello di propaganda.
La crisi dell’arte contemporanea trova la sua radice proprio nel rapporto tra artista e committenza, che oggi, quando esiste, è molto sottile. Il rapporto artista e committente ha sostenuto e fecondato tutta l’ispirazione artistica cristiana nei secoli, dando luogo a infiniti capolavori. Quando, dopo il secolo XVII iniziarono a venire meno le grandi committenze degli ordini religiosi, si aprì per gli artisti la grande pagina della ritrattistica che perdurò per tutto il XVIII secolo. Ma sarà la scoperta della macchina fotografica (tra le altre cose) a mettere definitivamente in crisi il rapporto con la committenza. Quello che un pittore elaborava faticosamente, dopo settimane e settimane di sedute (cioè il ritratto), veniva realizzato dalla fotografia in pochi minuti. Questo decretò la crisi del mercato dell’arte, ma d’altro canto la fotografia affascinò gli artisti al punto tale che nacque una corrente pittorica e una stagione artistica totalmente nuova: l’impressionismo. Quello che l’apparecchio fotografico non era in grado di offrire era l’impressione che un paesaggio o un volto suggerivano allo sguardo dell’artista; il rapporto cioè delle cose con la luce e il sentimento stesso dell’artista. Al punto che due impressionisti davanti al medesimo soggetto potevano dipingere opere totalmente diverse. Nacque così l’impressionismo che, se da un lato salvò l’arte, dall’altro la consegnò all’individualismo. L’artista prese a desiderare di esprimere la sua personale intuizione componendo un’opera che solo in un secondo momento poteva trovare l’acquirente interessato. Si cadde, cioè in un progressivo narcisismo che il più delle volte decretò la perdita dell’originalità. La missione dell’arte è, in realtà, quella di dire le verità di sempre in modo nuovo, ma questo «nuovo» non va prodotto entro una ricerca formale inesplorata, bensì entro una conoscenza intelligente e profonda del passato e di una tradizione artistica che, proprio perché posseduta, è possibile superare.
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24/10/2017
Ho ben presenti diversi casi in cui l'arte diviene il mezzo per il quale una persona è portata a un ripensamento talmente profondo e autentico da incontrare la fede. Ho appreso da Roberto Filippetti, una delle migliori guide per scoprire i segreti della Cappella degli Scrovegni, il caso, accaduto una ventina d’anni fa e passato in sordina, di un visitatore cinese che affascinato dagli affreschi di Giotto comprese che una religione capace di produrre una tale bellezza doveva avere in sé qualcosa di grande. L'arte è espressione di libertà e lo studioso proveniente da quel paese totalitario, in cui l'arte – tanto più in epoca maoista – era oppressa, nei dipinti giotteschi ha trovato una tale forza evocativa da essere spinto alla lettura dei Vangeli.
Noto è poi il caso del giapponese Etsuro Sotoo, artista ateo che, lavorando alla Sagrada Familia ha trovato nell'opera gaudiniana una tale pregnanza di fede da essere spinto a chiedere il battesimo.
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24/10/2017 ... Ma considerando quanto emerge riguardo ai primi decenni del '900 e il modo in cui il rapporto tra arte e fede s'è andato evolvendo in seguito, si direbbe che molto difficilmente si tornerà mai al tipo di rapporto che sussisteva secoli addietro (e che si direbbe oggi sia ancor visto da alcuni con senso nostalgico). Come possiamo supporre si possa incanalare questo rapporto nel futuro?
L'opera umana sta sempre di fronte a grandi sfide, e oggi il problema è educare la coscienza. Questo non può avvenire se non assimilando le lezioni del passato. Certo: nel ripercorrere la tradizione c'è il rischio di rimanere intrappolati in atteggiamenti decontestualizzati e da questo può nascere quel che si chiama integralismo. È sempre necessario vivere il presente mentre si attualizza il passato, ma partire semplicemente dal presente per creare, volgendosi a tecniche e riferimenti moderni solo per una ricerca della modernità in sé, è ugualmente improduttivo. Anche in questo la lezione di Gaudí è rilevante: attingendo all’esperienza artistica che lo ha preceduto e osservando il grande libro della natura, egli ha saputo rivolgersi all'epoca contemporanea con un linguaggio innovativo eppure fedele alla tradizione.
Oggi il soggettivismo porta a un'arte intellettuale che è divenuta un cliché. E il continuo tentativo di ri-interpretare la realtà porta a un ricercato scollamento tra forma e contenuto, al punto che la dissociazione stessa diviene un'aspirazione.
Nel '500, momento di tensione tra mondo antico e ricerca del nuovo, troviamo due grandi che esprimono tendenze opposte: Leonardo e Michelangelo. L’attenzione del primo, che incarna l'immagine del “laico”, dello spirito libero portato alla ricerca scientifica, è rivolta alla luce. Lo sfumato leonardesco è l’interesse della luce che accarezza i piani e li determina. Il secondo è concentrato sulla forma. Per Michelangelo solo la scultura è arte per eccellenza e nella differenza formale tra la Pietà Vaticana e la Pietà Rondanini vediamo schiudersi la problematica del rapporto tra forma e contenuto.
Così l’attenzione leonardesca per la luce trova il suo culmine alle soglie del '900 con gli impressionisti, per i quali l’importanza del soggetto impallidisce rispetto all’interesse per la luce. La ricerca pittorica si esaspera a tal punto da produrre un orientamento scientifico (ancora simile a Leonardo) nella pittura di Seurat. D’altro canto la passione michelangiolesca per la forma conclude la sua parabola in un Picasso, il quale, ponendosi quasi come creatore assoluto, giunge a scomporre il dato formale (il corpo umano ad esempio) per decidere autonomamente dove disporre le varie membra. Si afferma qui il distacco tra forma e contenuto.
E se gli impressionisti, Picasso e molti altri hanno saputo tenere alto il livello della loro arte a causa della genialità, in seguito l’allontanamento dalla ricerca del dato oggettivo ha portato a un incalzare concettualistico, spesso acritico e scollegato con la storia.
Accade così che persino persone qualificate, nella lettura di opere d’arte del medioevo o della rinascenza travisino l’interpretazione di alcuni simboli perché valutati in modo intellettualistico e non contestualizzato. Il contatto con l’artista visto nel suo ambiente culturale e vitale si affievolisce al punto tale che agli storici dell’arte si insegna a guardare più alla tecnica che al contenuto dell'opera.
Come immaginare il futuro? Chissà! Oggi tutto pare spinto da un'accelerazione travolgente e le moderne tecniche permettono realizzazioni, un tempo difficilissime all’uomo. Facile in un simile contesto cadere nell’illusorio e nel virtuale. Ritrovare il contatto con la materia, tuttavia, ci salverà. La crisi d’identità, la necessità per l’essere umano di guardare alla propria storia, di ritrovare punti fermi, conduce a un recupero della tradizione, ripeto non nostalgico, quanto piuttosto intelligente e creativo. A un’attenta osservazione si comprende, del resto, come anche nell'atteggiamento nostalgico si nasconda il desiderio di una più profonda comprensione del presente. Il successo che stanno riscontrando tecniche antiche, come il mosaico, o la scrittura delle icone, dimostra questa tendenza in atto, cioè il desiderio di un recupero della tradizione. Così ritrovare un rapporto diretto con la materia non potrà che giovare all’arte e alla vita.
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