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Home page - Una chiesa al mese - Arcidiocesi di Udine, chiesa di San Lorenzo Martire - Scheda completa | | Cividale del Friuli (UD), frazione Rualis, Piazzetta Santo Stefano 1
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04/08/2014
Fin dagli anni Sessanta la realizzazione di una nuova chiesa, dimensionalmente adeguata alla comunità, è un’esigenza fortemente sentita dai parroci della borgata Rualis, don Mario Donato prima e don Gino Paolini poi. Dopo aver valutato l’ipotesi sia di ampliare la parrocchiale esistente di Santo Stefano, sia di condividere una nuova aula liturgica con la vicina casa di riposo, la decisione finale della comunità ha previsto di non alterare la fisionomia della chiesa storica della borgata, segno del radicamento della Chiesa sul territorio, e di inserire nell’area libera dietro l’abside di Santo Stefano, già usata come orto, un’aula liturgica più capiente e un salone parrocchiale. Per don Guido Genero (2008, p. 18) “si trattava di interpretare in maniera più radicale la domanda di spazio, non per una mera espansione materiale, ma per una decisiva qualità spirituale”.
Si è dunque lavorato per riconfigurare il nucleo storico e religioso della borgata, anche con il sostegno dell’amministrazione comunale, interessata a portare a compimento il disegno urbanistico prefigurato negli anni Settanta, che prevedeva di affermare un nuovo centro per la borgata Rualis.
L’operazione, promossa dall’allora arcivescovo mons. Alfredo Battisti (1973-2000), si è avvalsa del finanziamento alla Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, del contributo dei fondi 8 per mille della Cei e di benefattori locali. Si tratta, di fatto, dell’unica nuova costruzione di aula parrocchiale intrapresa nel nuovo millennio in Friuli (Della Longa 2012).
A sancire la rilevanza della scelta effettuata, la nuova aula liturgica ha ricevuto una propria esaugurazione, san Lorenzo, accomunato dal martirio a santo Stefano, titolare della parrocchia.
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04/08/2014
L’organizzazione della presenza ecclesiastica sul territorio riflette la più che bimillenaria storia di Forum Iulii/Cividale (Mattaloni 2008): nel territorio di Rualis, a sud del Natisone, sono state rinvenute testimonianze di necropoli preromane e di insediamenti romani, mentre nel corso dell’altomedioevo l’area risulta aver avuto popolamento di tipo rurale. Il centro religioso più antico è l’attuale chiesa di San Pantaleone, attestata dal 1216, ma che potrebbe insistere su luoghi di culto precristiani: si tratta probabilmente della chiesa matrice della borgata Rualis (toponimo attestato dall’VIII secolo). Dalla seconda metà del XV secolo è attestato nelle fonti scritte il nuovo toponimo di Santo Stefano, connesso a una chiesa dalla medesima dedicazione (documentata dal 1483).
L’ attuale Santo Stefano è l’esito delle campagne costruttive sviluppatesi nei decenni di metà Settecento, coronati dal totale rinnovamento degli altari nel 1780; in quell’epoca Rualis contava quasi 600 abitanti. Il fonte battesimale (ora ricollocato nella nuova aula) è invece posto nella chiesa solo nel 1826. La casa canonica è stata ricostruita nel 1847, pochi anni dopo l’allontanamento del cimitero dal centro abitato.
In età moderna la chiesa diventa polo aggregatore di un addensamento di edilizia rurale. Tra Otto e Novecento la borgata, tuttavia, non raggiunge mai i mille abitanti; solo dal secondo Dopoguerra la popolazione raddoppia, con ritmi serrati, per arrivare a circa 2500 persone nel 1981. Il fattore di espansione decisivo è il Piano regolatore comunale approvato nel 1977 (successivo quindi al sisma del 1976), redatto da Gian Carlo Bettini ed Enzo Pascolo, che orienta verso sud lo sviluppo urbanistico di Cividale. È interessante la realizzazione nella borgata di Rualis di un Piano di Edilizia Economica Popolare ex lege 865/1971, mediante l’inserimento in un’area già insediata – seppur con trame rade – di edifici in linea su tre piani, che vanno a completare e saturare gli interstizi tra l’edilizia storica minuta, le villette più recenti e le infrastrutture viarie (Pittini 2008, pp. 90-91). Il tentativo è di trasformare l’area di Rualis da periferia suburbana di Cividale a un nucleo dotato di una propria identità, ipotesi cui la riconfigurazione del complesso parrocchiale dà il proprio sostanziale contributo. L’ edificio in linea costruito dietro la chiesa è stato tra le prime realizzazioni del Piano: la sua sagoma trapezoidale aperta avvolge quasi il nucleo storico di case aggregato attorno alla chiesa di Santo Stefano, pur restando aperto al piano terreno ai percorsi innervati nel territorio circostante.
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04/08/2014
La proposta di una chiesa parrocchiale articolata su due aule, assai prossime tra di loro, pur facendo parte della tradizione cristiana – e specificamente con esempi ben noti proprio nell’Alto Adriatico (Genero 2008, p. 18) – pone evidentemente alcuni problemi di fondo, relativi alla necessità di non duplicare o sovrapporre i poli liturgici principali.
La nuova aula liturgica di San Lorenzo ha la funzione di chiesa festiva comunitaria, in cui è fondamentale la dimensione assembleare e celebrativa; la chiesa storica di Santo Stefano conserva invece funzione liturgica feriale, ed è usata per la preghiera personale, l’adorazione e la devozione ai santi. Nella nuova aula è stato ricollocato il fonte storico; la penitenzieria è collocata in uno spazio annesso, ricavato in un volume preesistente, collegato a entrambe le aule dal portico del sagrato interno. Per sottolineare il legame profondo tra le due aule, le due aree presbiteriali sono state disposte in modo da evocare una tensione unitiva tra i propri spazi, che vanno a convergere e che condividono la stessa sagrestia storica. Il progetto liturgico definitivo è l’esito del dialogo tra il progettista, la parrocchia (guidata dal parroco don Mario Di Centa) e le istituzioni diocesane (in particolare don Guido Genero, allora anche parroco di Cividale), e di una accurata fase di studio.
L’aspetto più importante dell’aula di San Lorenzo è certamente la capacità di costruire uno spazio fortemente unitario: il tema progettuale principale è infatti l’ “interezza riconquistata” dell’assemblea liturgica nella sua globalità, “senza sezionamenti, esclusioni o frammentazioni” (Genero 2008, p. 18). L’unitarietà dello spazio “compensa, almeno in parte, la rigida frontalità tra i banchi per i fedeli e il presbiterio omnicomprensivo” (Valdinoci 2008, p. 22; cfr anche Della Longa 2012, che parla di “composta” e “manifesta” frontalità). La forma dell’invaso è ovale, figura che consente – nel solco della storia dei tipi (Leoni 2008, p. 25) – la declinazione di spazio centrale e assetto longitudinale.
L’ assemblea, raccolta in un guscio ligneo, è dunque orientata verso un presbiterio sostanzialmente plenario, che occupa circa un terzo della superficie dell’aula. Sulla pedana, rialzata di tre gradini, hanno grande evidenza i poli liturgici, grazie al nitore del materiale (blocchi e lastre in pietra di Vicenza) e al disegno pavimentale, che ne evidenzia l’autonomia rispetto al “tappeto d’argilla” che si solleva dall’aula per diventare presbiterio (Pittini 2008, p. 94).
La parte centrale della pedana avanza verso l’assemblea, ponendo in grande evidenza la massa isolata dell’ altare, ma in particolare viene protesa nell’ aula la tribuna dell’ ambone, posta sul medesimo lato del battistero; dalla parte opposta del presbiterio, ossia verso l’ingresso ordinario, è collocata una grande croce lapidea. Il fondo del presbiterio è definito da una quinta piana, anteposta alla curva absidale dell’ovale; ai due lati estremi di tale quinta – che scherma anche la connessione diretta con la sacrestia e la chiesa storica – trovano spazio la sede del presidente e la custodia eucaristica (prevista dunque anche nell’aula liturgica nuova, sebbene lo spazio più adatto all’adorazione e al raccoglimento personale resti l’antica chiesa di Santo Stefano, con il suo tabernacolo storico). La soluzione realizzata, che presenta il problema di una forse eccessiva prossimità di custodia e mensa, è il frutto di un lungo processo di elaborazione e di condivisione di ipotesi, il cui esito è il disallineamento di tutti gli elementi liturgici del presbiterio, in modo da non avere sovrapposizione di segni e da garantire la massima riconoscibilità ad ogni polo, sia durante la sua attivazione rituale, sia ‘a riposo’.
Il fonte battesimale storico è stato collocato in un proprio specifico luogo, definito mediante un’ estrusione rispetto all’ovale del volume della chiesa: lo spazio battesimale è aperto sull’aula, prossimo all’ ambone, ed ha una propria autonomia luministica e formale grazie al completo rivestimento lapideo bianco (unica eccezione rispetto al guscio ligneo dell’aula) e al cannone di luce che ne garantisce una forte illuminazione diretta. Nonostante la prossimità dei banchi e le dimensioni raccolte, si tratta dunque di un luogo liturgico ben riconoscibile e visibile. La base del fonte è posta a un livello ribassato rispetto al pavimento del battistero, per perpetuare la memoria della morte dell’uomo vecchio e della rinascita battesimale del neofita.
La posizione del luogo del battesimo contribuisce anche a dipanare la questione degli accessi; se infatti il portale principale della chiesa – rivolto verso i complessi residenziali più recenti – è posto sull’asse longitudinale ed è orientato verso l’altare, l’accesso ordinario – ossia dal sagrato interno e dal nucleo storico della parrocchia – si apre decentrato sul fianco della nuova aula liturgica, ma trova un proprio orientamento proprio verso il fonte battesimale, inteso come perno simbolico e visivo tra la storia della comunità e il suo assetto rinnovato. La stretta e inconsueta prossimità tra ingresso e presbiterio trova quindi una propria innovativa soluzione spaziale nell’incrocio dei due assi visivi e fruitivi asimmetrici.
Come sopra accennato, la penitenzieria è esterna alla due aule liturgiche, ma è collegata ad entrambe mediante l’ambulacro perimetrale del sagrato interno. Un ampio confessionale è stato ricavato in un edificio rurale già adibito a deposito che, trovandosi allo stato di rudere al momento dell’inizio dei lavori, è stato ricostruito con linee essenziali, quasi astratte: come per il battistero, anche per la penitenzieria un cannone di luce offre un’illuminazione naturale zenitale. A fianco del confessionale sono disponibili altri spazi raccolti per l’incontro. Anche il percorso di passaggio dalla penitenzieria all’aula si colloca sull’asse minore dell’ovale, in relazione con la porta di ingresso ordinaria e con il relativo asse visivo con il battistero, a sottolineare la connessione tra i due sacramenti.
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04/08/2014
Il messaggio simbolico dei poli liturgici (altare, ambone e sede) è affidato alla consistenza e all’eloquenza intrinseca dei poli stessi, realizzati in pietra bianca di Vicenza, tagliando i blocchi in modo da rendere evidente il disegno delle venature, testimonianza della stratificazione geologica e temporale del manufatto (Pittini 2008, p. 94).
Una croce in pietra è conficcata nella pedana presbiteriale; le fa eco la croce ‘spaziale’ e strutturale, disegnata dalle due travi in calcestruzzo armato che attraversano il volume dell’aula all’altezza della linea di imposta della volta, segnando fortemente sia l’ assialità longitudinale rivolta all’altare, sia la soglia trasversale dello spazio presbiteriale, quasi come un’iconostasi virtuale. L’altare è posto esattamente sotto l’incrocio dei bracci, a sottolineare la connessione tra l’azione eucaristica e il sacrificio della croce.
Al di sopra dell’altare, nella parete di fondo, un’apertura schermata da una lastra di onice segna la meta luminosa dell’asse longitudinale della chiesa. In alcune ipotesi preliminari era prevista un’opera scultorea fortemente segnica nella camera di luce oltre il presbiterio, visibile anche dall’esterno, ma si è finora soprasseduto. Una lastra di onice segna anche lo spazio penitenziale, meta visiva soprattutto con l’illuminazione serale.
L’unica iconografia prevista nella prima fase attuativa è la via Crucis: la soluzione proposta da Adriana Iaconcig è stata discussa con la committenza e l’architetto durante le fasi di cantiere, risulta quindi pienamente integrata nell’impaginato architettonico del guscio interno e del volume complessivo. Le stazioni sono disposte in modo anulare lungo la parete lignea che avvolge l’aula, nella fascia orizzontale mediana che separa i due ordini del rivestimento. L’opera è realizzata in gesso alabastrino, per integrarsi al meglio nella relazione tra luce, monocromia e materia stabilita dall’architettura: “un lavoro interstiziale che si aggiunge allo spazio architettonico, ma in alcun modo sembrando estraneo all’intento progettuale originario (Caldura 2008, p. 126). Le stazioni sono indicate da richiami testuali e da riquadri figurali di volti o oggetti, citazioni evocative dell’evento ricordato da ogni stazione, in modo da lasciare al fedele la possibilità di elaborare una propria immagine finale (Iaconcig 2008, p. 125): “la fedeltà all’evento narrato dai Vangeli o tramandato dalla pietà popolare e la suggestione propria dell’artista concorrono a far sì che il credente stesso viva la sua via crucis personale e comunitaria, cammino faticoso sulla strada stretta della croce e, al contempo, strada rischiarata dalle prime luci della Pasqua” (Della Pietra 2008).
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04/08/2014
Secondo il progettista, la luce naturale “diviene materia concreta e variamente modellata, che connota e imprime valori allo spazio interno. La nuova aula liturgica è una stanza di luce; orientata a sud per captare la presenza luminosa e mutevole del cielo, essa si adegua al ritmo ciclico del sole” (Pittini 2010, p. 146). Il presbiterio riceve intensa luce zenitale, solo parzialmente filtrata e guidata da uno schermo in doghe lignee formalmente coerente con il rivestimento verticale dell’aule; mentre cannoni di luce sono orientati sul battistero e sulla penitenzieria.
Il guscio ligneo dell’aula è realizzato in modo da riverberare il calore della luce naturale: travicelli in pino di Svezia sbiancato sono affiancati in modo da rivestire il volume interno dell’ovale, generando un gioco mutevole di ombre e riflessi, reso dissimetrico e sempre variato anche dalla vetrata che, dissimulata dallo schermo stesso, si apre verso il prato a nord dell’aula. Il rivestimento prosegue, per materia e cromia, nella casseratura a perdere della volta a calotta, mentre il calore dell’ambiente è garantito, al suolo, dal pavimento in listelli di cotto. Anche i banchi dell’assemblea sono stati realizzati, su disegno originale, per contribuire a un complessivo controllo della luce e della matericità dello spazio.
Evidente il contrasto con l’esterno (con la “dura corteccia” evocata dal progettista), reso coriaceo dalla foderatura in pietra a spacco piacentina, solcata solo dai doccioni di scolo, e dalla copertura della volta in lastre di zinco-titanio (al posto dell’inizialmente prevista copertura in lastre di piombo). Proprio la volta è il punto di raccordo e sintesi tra le due concezioni: il suo profilo tagliato sopra l’altare sottolinea la “concezione unitaria e scultorea della copertura, non attenuata quanto piuttosto accentuata dalla sua incompletezza rispetto all’ovale planimetrico, poiché lo spacco che lascia calare la luce naturale sul presbiterio diventa occasione per mostrarne la massività e denunciarne pienamente la forma anche all’esterno” (Leoni 2008, p. 26).
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04/08/2014
Il tema chiave del progetto è la volontà di mantenere unite le due aule, “nell’intento di non perdere né la funzione continuativa dell’aula antica, né l’offerta creativa dell’aula nuova pensata come integrativa, ma anche giustamente alternativa, alla precedente. Ognuno dei due manufatti conserva e proclama la propria autonomia di struttura, di accessi e di funzionalità. Eppure l’uno dialoga e rimanda all’altro e questo si ricongiunge al primo quasi in un rimbalzo che, pur nell’adiacenza immediata che li unifica, dichiara distinti origini, stili, caratteri e materiali di due secoli, anzi di due millenni ben distinti, ma qui intimamente coniugati e rispettosi l‘uno della condizione e della differenza dell’altro” (Genero 2008, p. 18).
La nuova aula non offre quindi una propria facciata riconoscibile verso il sagrato storico, per non entrare in competizione con la chiesa esistente (Pittini 2008, p. 93), ma l’asse longitudinale principale e la nuova facciata convessa si aprono invece verso le residenze a nord di Santo Stefano, per consentire una totale accessibilità e permeabilità del complesso parrocchiale nel suo insieme.
Il campanile storico resta riferimento paesaggistico visibile e riconoscibile, non solo dall’esterno, ma anche dall’interno: dalla grande apertura vetrata dell’aula nuova si vede infatti il campanile, a stabilire un contatto visivo tra storia e attualità, e a ravvivare un senso di appartenenza radicato sia nel luogo, sia nella contemporaneità.
È decisivo poi il ruolo del sagrato interno, il cui ambulacro semiperimetrale vetrato raccorda elementi eterogenei, ma collegati per funzione liturgica ed ecclesiale: l’abside e la sacrestia di Santo Stefano, la nuova aula per la catechesi, l’ aula liturgica festiva e la penitenzieria. Ogni elemento – anche la casa canonica storica, appartata rispetto all’ambulacro – conserva la propria fisionomia, ma lo spazio genera un sistema di relazioni visive e fisiche in cui ognuno può percepire dimensioni, rapporti, percorsi: il claustrum interno diventa quasi un “altro luogo liturgico”, o una “terza aula” ecclesiale (Genero 2008, p. 19), costruita da percorsi, scambi, silenzi e chiamate.
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04/08/2014
Per Mauro Galantino (2008, p. 11), il punto di forza dell’intervento è la capacità di “produrre spazio pubblico” e di “presentarsi come luogo”, e non come oggetto. Fondamentale è l’integrazione non solo con la chiesa storica, ma anche con l’edificato residenziale contemporaneo: la facciata nord si rivolge verso il complesso di edilizia economica costruito dagli anni Settanta, e addirittura l’asse longitudinale della chiesa è orientato sulla bisettrice dell’angolo generatore il complesso stesso (Pittini 2008, p. 91), andando a sottolinearne – in realtà ex post, ossia inventandola – una logica compositiva che gli era certamente inizialmente estranea.
Il “luogo” è costruito come “un insieme di stanze tra loro concatenate, […] come un interno alla scala del paesaggio”: le stanze sono incardinate tra di loro da “cerniere”, punti di passaggio con spessori, dimensioni, modulazioni e illuminazioni diversi. Per il progettista sono riconoscibili due sistemi di soglie. Muovendo dal nucleo storico della borgata, in prima istanza la nuova aula liturgica è l’elemento finale di un percorso che parte dal sagrato esistente, supera il portale del cortile, attraversa lo spazio del nuovo sagrato interno, l’ ambulacro vetrato, fino ad arrivare all’ aula liturgica: “una serie di stanze che respirano seguendo ritmicamente dilatazioni e compressioni, preludio al respiro profondo dello spazio per la liturgia”. Muovendo invece dal complesso abitativo a nord della chiesa, la “stanza” di partenza è costituita dal prato racchiuso tra i corpi avvolgenti degli edifici: il percorso verso l’aula è segnato da pochi elementi, guidati dalla coppia di pilastri con la croce in acciaio, che portano verso il portale in rovere a due ante che, tramite una bussola lignea, si apre verso l’aula (Pittini 2008, pp. 92-93).
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04/08/2014
Se le scelte architettoniche hanno trovato la loro piena e completa realizzazione durante il cantiere, la questione di un eventuale più ampio programma iconografico è stata inizialmente elusa (ad eccezione della via Crucis sopra discussa). Dopo il completamento dell’edificio, è stato valutato opportuno il ricorso a consultazioni e sperimentazioni, concretizzatesi in un concorso ad inviti (quattro temi, sottoposti a tre artisti). Attualmente (estate 2014) sono stati posti in opera alcuni bozzetti e sistemazioni temporanee, realizzati da Gianni di Lena, che tentano di integrare alcuni contenuti figurativi nel nitido disegno monocromo e aniconico dell’aula. Al di sopra della bussola è collocata una tavola che associa il tetramorfo apocalittico (simbolo dei quattro evangeli) al crismon, portato da due angeli: uscendo, il fedele legge l’esortazione: “Andate, sarò con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt 28, 19-20). Il santo cui è dedicata la nuova aula, San Lorenzo, è raffigurato in una tavola posta nella conca absidale, a destra dell’altare, contro la parete. L’immagine mariana è stata posta sperimentalmente sullo stipite del battistero verso l’ambone: la Vergine, che presenta il bimbo, è seduta in un giardino, secondo il tema iconografico dell’ hortus conclusus, ed è affiancata da alcuni santi friulani (Anselmo abate, Benvenuta vergine, Paolino patriarca, Donato martire). È ancora sospeso, in attesa di maturazione, il tema del crocifisso, considerando anche la forza evocativa della croce lapidea a terra e della croce in calcestruzzo incombente sull’aula.
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