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 Home page - Una chiesa al mese - Diocesi di Oppido-Palmi, Chiesa della Santa Famiglia - Scheda completa 

Santa Famiglia

Via Statale 18 Tirrena inferiore, Palmi (Reggio Calabria)

30/01/2013

A partire dagli anni Sessanta, la struttura insediativa calabrese ha subito un sostanziale ridisegno, che ha spostato il baricentro delle attività economiche e sociali dall’entroterra montuoso alla fascia costiera, interessata da significativi processi di urbanizzazione e industrializzazione. La Chiesa di Calabria ha dovuto, conseguentemente, affrontare la riconfigurazione della propria struttura ecclesiastica, tradizionalmente legata alle sedi di origine medievale. In tale contesto si situa il ripensamento della piccola diocesi di Oppido Mamertina (che contava otto comuni e circa 20mila abitanti) e il ‘riposizionamento istituzionale’ di Palmi, che – con altri 24 comuni per totali 160mila abitanti – viene scorporata dalla diocesi di Mileto e aggregata alla nuova diocesi bipolare di Oppido-Palmi (decreto della Congregazione dei Vescovi del 10 giugno 1979, De finium ac nominis dioecesis Oppidensis mutatione, Oppidensis-Palmarum cognominanda).

La Chiesa di Palmi fin dagli anni Trenta del secolo scorso aveva affrontato l’aggiornamento del proprio patrimonio edilizio, ma l’espansione dell’abitato suggerisce anche un potenziamento della rete parrocchiale nelle aree più periferiche, a nord-est del centro storico (area già dipendente dalla parrocchia del Rosario): il 29 maggio 1994 – per volere dell'allora vescovo di Oppido-Palmi Mons. Domenico Crusco – viene quindi istituita la quinta parrocchia cittadina, intitolata alla Santa Famiglia, dedicazione scelta per ricordare l'Anno internazionale della famiglia voluto da Papa Giovanni Paolo II, affidata al parroco don Pasquale Pentimalli. Le prime funzioni sono celebrate nel piano seminterrato di un edificio di una cooperativa edilizia; nel 1995 viene installata una tensostruttura provvisoria, che resterà attiva anche durante gli anni del cantiere della chiesa definitiva.
30/01/2013
La diocesi intende offrire non solo un nuovo luogo di culto, ma un punto di riferimento identitario per un settore urbano ampio e marginale, coinvolto da profonde trasformazioni edilizie e sociali, soprattutto negli anni Ottanta.
La committenza diocesana, per ricercare l’auspicata qualità architettonica, sceglie di selezionare una prima terna di possibili progettisti, affidando poi l’incarico sulla base di un approfondito testo di riflessione sul contesto in cui la chiesa si dovrà inserire. Il pro-memoria su cui i progettisti sono chiamati a riflettere sottolinea che il complesso parrocchiale dovrà essere il “cuore” del paese, il “polo” di aggregazione dell’assemblea, un luogo di rifugio, preghiera e pace per l’intera comunità; la committenza richiede che i progetti tengano conto delle caratteristiche ambientali del contesto “sia in senso urbanistico che sociologico”. La nuova parrocchia è infatti pensata per un quartiere che è destinato a salire da 5 mila a 10 mila nuovi abitanti, e “l’architetto deve cogliere il volto, le attese, le speranze, i dolori, l’umiliazione della nostra gente, che chiede al genio dell’artista un dono di una porta aperta sul cielo: domus Dei ut porta coeli”.
Il progetto vincitore – di Aimaro Isola e Roberto Gabetti con Flavio Bruna – prende le mosse dal rapporto con il quadro ambientale e sociale, declinando una specifica ‘visione’ di Chiesa con una possibile ‘visione’ di un paesaggio periurbano riqualificato: adattandosi alla morfologia del suolo e alla vegetazione dell’uliveto che copre il pendio, i progettisti propongono un unico ampio manto di copertura, che protegge una comunità raccolta e coesa, mentre la torre campanaria e la casa per il clero, con i loro volumi autonomi, si propongono come nuovi punti di riferimento sia per gli abitanti dei tessuti edilizi prossimi, sia per chi percorre la trafficata strada statale 18, che ritaglia i margini del lotto.
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Il pro-memoria stilato dalla diocesi committente ha un orientamento chiaro: “la chiesa è nello stesso tempo la casa di Dio e la casa dei suoi figli”, e per ottenere questo si chiede che lo spazio-santuario formi una “sintesi vivente con lo spazio-navata, in modo che la comunità partecipi attivamente a tutto ciò che avviene sull’altare”.

Fin dalla prima ipotesi, i progettisti segnalano la preminenza dell’ “aula destinata alle celebrazioni eucaristiche, casa del popolo di Dio. […] Il concetto di base per lo spazio interno è dato dal segno dell’ospitalità, aperta al popolo di Dio” (Relazione di progetto, novembre 1998).
La centralità eucaristica è sottolineata dalla struttura stessa dell’edificio: l’ampio manto di protezione e di copertura (“una grande tenda”) si articola in quattro falde, che si incrociano sopra l’area presbiteriale, e l’altare “è posto là dove è più intensa l’attenzione e la presenza dei fedeli”, al termine dell’asse che conduce dal sagrato, alla porta, al presbiterio, al crocifisso.
Nelle prime idee progettuali , la pedana assume forma compatta e protesa verso l’assemblea, con i poli liturgici concentrati pur senza essere sovrapposti, come in tutte le ultime chiese di Gabetti&Isola (Roccabruna, Desio, San Giuliano). La versione definitiva  e realizzata propone un presbiterio ampio , con fronte rettilineo verso l’assemblea, in forte continuità con il resto dell’aula. Dalla pedana presbiteriale si protende, a sinistra, l’ambone.
La posizione della sede è stata oggetto di diversi approfondimenti: progettata dapprima a destra dell’altare, contro la parete destra del presbiterio (luglio 2000), viene realizzata in fondo all’asse longitudinale dell’aula.
Il tabernacolo viene collocato nella cappella dell’adorazione e delle celebrazioni feriali, prossima al presbiterio ma dotata anche di accesso autonomo dal porticato perimetrale esterno. Battistero e spazio penitenziale  si trovano, affrontati, in prossimità dell’ingresso, a sottolineare come entrambi i sacramenti costituiscano la rinascita alla vita del cristiano.
In sintesi, sebbene l’assemblea abbia un assetto frontale e una disposizione rigorosamente longitudinale, l’unitarietà dello spazio liturgico è data dalla nitida riconoscibilità dei poli celebrativi, posti all’interno di un ambiente fortemente coeso e costruito ‘attorno’ alla comunità. Nonostante i circa 600 posti a sedere (su banchi appositamente progettati e realizzati per la chiesa in legno d’ulivo), secondo il parroco la prossimità dei fedeli all’altare è fortemente percepita, ed è garanzia di un’attenta partecipazione.
30/01/2013
Le scelte relative ai poli liturgici sono considerate come un programma unitario, coerente e strettamente correlato all’architettura del complesso. Per i progettisti i poli liturgici sono "elementi attivi e partecipi della scena liturgica", e non manufatti sacri per le loro qualità materiali: "il loro divenir santi avviene attraverso la liturgia, che è parola, canto, ma anche movimento che continua e ripercorre il cammino del Messia, verso la mensa, verso il libro, che accoglie le offerte e si dirige verso la croce" (Isola 2006, p. 37). La forma dei singoli poli liturgici riflette quindi la loro natura: seguendo la poetica e la teologia di Roberto Gabetti, ciò che li rende appropriati alla celebrazione non è una loro “diversità sostanziale” rispetto agli oggetti ordinari, ma una “intrinseca differenza” dovuta all’uso liturgico di manufatti, nati per un uso comune e trasfigurati dalla loro funzione cultuale (Gabetti 1998, p. 39).
Gli arredi liturgici e il programma iconografico completo sono stati ideati e realizzati da Hilario Isola e Matteo Norzi (entrambi Torino 1976) con Saverio Todaro (Berna 1970).
L’altare traduce in forme semplici la duplice teologia di fondo che ne informa la natura: ara del Sacrificio e tavola del Banchetto. “Tavola su cui viene celebrata l’Eucaristia e su cui il Signore rende presente il suo sacrificio della Croce e si offre come cibo al popolo dei credenti. Pietra poiché rappresenta Cristo stesso, rimanda a Cristo pietra angolare. La mensa lignea, fatta sacra, si eleva: nella stilizzazione appare sollevata da terra, ascesa sopra un candido volume di luce” (dalla relazione degli artisti).

Sebbene l’altare sia posto nel luogo centrale e assiale, l’ambone  è chiamato ad assolvere un ruolo decisivo, coerentemente con le indicazioni della costituzione conciliare Dei Verbum (n. 21), che parla della “mensa” della Parola. Per gli artisti “l’amboneè il monumento della tomba vuota di Gesù”, realizzato “come un elemento in pietra cristallina aperto da un cuneo di legno, alludendo al vuoto che, domenica dopo domenica, è colmato dalla grandezza della Parola”. Come altare e ambone, anche la sede del presidente e il porta-cero pasquale sono in legno di noce e marmo bianco “col fine di fornire un’immagine complessiva di preziosa semplicità”.
Il fonte battesimale, a sinistra dell’ingresso, e le acquasantiere  adottano un linguaggio simbolico diverso: sono sassi levigati e scavati, “pietre di fiume rese lisce nel tempo dalla volontà del Signore: Cristo come acqua viva”. Per il confessionale viene proposta una soluzione radicalmente innovativa: penitente e sacerdote si incontrano in un diedro che richiama la forma del Libro, e “la tradizionale griglia di divisione è ottenuta traforando una lastra di alluminio satinato: ogni foro un carattere tipografico, a comporre una pagina delle Sacre Scritture”, ossia le parole con cui Giovanni narra l’incontro tra Gesù e Maria di Magdala presso il sepolcro vuoto.
L’asse centrale della chiesa, della copertura e della celebrazione è chiuso dal crocifisso, ottenuto sagomando in negativo una croce lignea a sezione cuneiforme, e rivestendo in foglia d’oro la sagoma del Corpo ricavata incavando il legno: “presenza e assenza al tempo stesso, come a evocare l’attimo in cui il volere del Signore è compiuto: il Cristo appare così già asceso, fiamma dorata verso il Cielo”.
Resta da completare il programma iconografico con la via crucis, rimasta finora allo stadio dell’ideazione preliminare.
30/01/2013

Come sopra indicato, il senso della “ospitalità” liturgica viene realizzato con la grande copertura-tenda , completamente realizzata in legno e appoggiata su una superficie perimetrale intonacata bianca. In contrasto con le pareti candide, il pavimento dell’aula è in quadrelle in cotto, a riscaldare cromaticamente e matericamente lo spazio interno.

Il vano dell’aula liturgica è “illuminato, ma non troppo” (relazione di progetto), per garantire un clima raccolto; la luce proviene dalle finestre perimetrali ad arco, ai lati dell’assemblea, ma anche dal portale di ingresso trasparente, decisivo nel consentire una comunicazione visiva diretta tra l’interno dell’aula e il contesto urbano e paesaggistico.
Per Gabetti e Isola, la sacralità domestica dell’aula liturgica si costruisce proprio nel rapporto tra spazio liturgico interno e paesaggio, tra protezione e accoglienza. Lo spazio di ingresso, dunque, si struttura come una sequenza di passaggi costruiti per favorire le relazioni umane e tra l'uomo e Dio: la soglia non è più dunque "linea geometrica dividente sacro e profano, ma apertura, varco, incontro”; il sagrato, curato nel progetto con la medesima attenzione riservata all’aula liturgica, è considerato “spazio etico, della festa e del dolore che sono nella vita: dove si esce sposi, dove si attende il battesimo, dove i giovani possono fare un 'lieto rumore', o dove si riceve e si dà l'ultimo saluto. Luogo dell'attesa e del compimento, della speranza e del dubbio. Segno di ospitalità; per i credenti e no" (Isola 2006, p. 35). Per questo la porta stessa è un varco trasparente: "vorremmo camminare verso l'altare, soglia tra materialità e trascendenza, avendo e sentendo ancora alle spalle i paesaggi del mondo. Dobbiamo proteggere, capire, questo percorso, illuminandolo con la luce del nostro cielo e delle nostre lampade (non numinosa, non pleroma), ma che forse proprio perché nostra sospinge lo sguardo ad un oltre".
30/01/2013
Il pro-memoria stilato dalla committenza sottolineava come il complesso parrocchiale fosse chiamato a essere “polo di aggregazione di tutta l’assemblea sia in senso urbanistico che comunitario”: ne consegue la richiesta di una chiesa dalla forma “commisurata ed elastica; coerente con il luogo in cui è ubicata, perciò raccolta e aperta a tutti”.
L’adesione dei progettisti a tali principi non è meramente funzionale o formale, ma è radicata in un percorso teologico e culturale: per Isola (2006), il riferimento per una corretta progettazione liturgica non è solo la stanza addobbata del Cenacolo, ma anche il percorso che gli apostoli fanno seguendo l'uomo con la brocca (secondo la narrazione di Lc 22, 7-13), dal paesaggio "assorto" esterno alla città, al luogo concreto e ben radicato dell'incontro con l'Eucarestia. Se dunque l’aula per la celebrazione eucaristica ha senz’altro un ruolo preminente, anche il progetto degli spazi, dei percorsi e dei rapporti tra le diverse parti dell’intero complesso parrocchiale deve essere oggetto di accurata riflessione.
I porticati del basamento , le trame del sagrato e le relazioni visive tra le balconate traducono una visione di Chiesa aperta e ospitale, non monolitica o chiusa su se stessa, attrezzata con spazi filtro tra la vita sociale e quella liturgica. L’aula, protetta e coesa, costituisce l’espressione della centralità del momento celebrativo comunitario, aperto tuttavia alla vita esterna. La risposta alle molteplici esigenze della comunità non è dunque uno spazio “polifunzionale”, adatto a tanti usi, ma – al contrario – “una complessa architettura poli-strutturata” (Reinerio 2006, p. 100), in cui non si propongono funzioni religiose in spazi meramente funzionali, ma una “possibile organizzazione religiosa dello spazio e della vita che vi si svolge” (Olmo 2005, p. 52). Nelle parole del parroco, un “tutt’uno tra la zona liturgica e la zona pastorale”.
30/01/2013
L’area si trova in una posizione difficile: l’urbanizzazione a nord-est del centro storico si è sviluppata tra la Statale 18 e l’Autostrada A3, con insediamenti intensivi di case a schiera e di edilizia multipiano (6/7 livelli, e torri fino a 11 piani), intercalati alle modeste preesistenze. Il lotto triangolare è definito a ovest dalla Statale e a est dal pendio naturale della collina; a sud dell’area della chiesa sorgono una caserma dei Vigili del fuoco e un’anonima vasta area commerciale.
Il complesso parrocchiale tenta una ricucitura paesaggistica del contesto, inserendosi cautamente nell’antico uliveto preesistente (parte del vastissimo contesto ambientale dei ‘boschi di ulivi’ della piana di Gioia Tauro-Palmi) e incastrandosi nel pendio della collina, in parte rimodellandolo. Dopo aver lavorato su percorsi di avvicinamento a rampe, la soluzione realizzata colloca un ampio sagrato al livello più alto, in continuità con la statale, mentre un affaccio ‘basso’ porticato (una sorta di ‘semi-chiostro’) distribuisce le aule di catechismo e le altre sale, ospitate nella piattaforma basamentale della chiesa. La piastra dei servizi pastorali è quindi ‘forata’ da alcuni patii, in cui restano inseriti gli ulivi preesistenti, le cui fronde escono in superficie sul sagrato.
Il volume dell’aula è rivestito in tegole di lamiera di rame pre-ossidata, il cui colore ben si inserisce nel paesaggio vegetale, ma emergono i torricini laterizi angolari  a segnalare la specificità del luogo, il cui calore domestico è manifestato dalle pareti, interamente in mattoni. Se la chiesa e la piastra tentano una mediazione con la morfologia naturale, il campanile e la casa per il clero (inizialmente destinata anche alla residenza temporanea del vescovo) si innalzano invece a segnare fortemente il paesaggio costruito, con due volumi autonomi e dialettici (il bando stesso richiedeva una torre campanaria di almeno 30 metri). Ribadendo tuttavia la cifra essenziale dell’ “unità dell’edificio dell’ecclesia, nelle opere di Gabetti e Isola i campanili “sono parte dell’edificio, lo segnalano, ma non se ne distaccano” (Olmo 2005, p. 52).
30/01/2013

La convinta adesione dei progettisti alle richieste della committenza ha consentito di realizzare un’opera rimasta sostanzialmente fedele ai suoi presupposti, e vissuta con partecipazione dalla comunità. Dopo il trasferimento a San Marco Argentano-Scalea di mons. Crusco, vescovo committente, l’opera viene completata durante l’episcopato di mons. Luciano Bux (vescovo di Oppido-Palmi dal 2000 al 2011), inaugurata il 7 maggio 2006 .

Per quanto riguarda la ‘vita’ del complesso, i progettisti stessi avevano previsto la modificabilità di alcune soluzioni e la ‘crescita’ dell’edificio durante il suo utilizzo, per esempio con la disposizione di poli devozionali lungo il perimetro dell’aula; in realtà, l’effige del Sacro Cuore di Gesù è stata invece presto collocata sul presbiterio, contro la parete laterale destra.
Come sopra accennato, durante l’iter progettuale l’unico polo liturgico oggetto di ripensamenti è stato la sede, la cui collocazione ha oscillato tra la posizione laterale, non adottata, e quella assiale (che presenta però una sovrapposizione di segni con l’altare e il crocifisso), sopraelevata su una pedana per consentire una buona visibilità dall’assemblea.
Il posizionamento del fonte battesimale a fianco dell’ingresso ne sottolinea le valenze teologiche e memoriali, ma non ne favorisce l’utilizzo continuativo (peraltro, il bando stesso chiedeva che il battistero fosse “ben visibile alla comunità”); per tale ragione è presto entrato in uso un catino mobile, utilizzato per la celebrazione del rito battesimale durante la messa comunitaria, affiancato all’ambone e al cero.
Nel basamento del complesso sono allestiti un ampio salone polivalente (di circa 300 posti) e 12 aule per il catechismo e le altre attività dell’oratorio e della caritas. Il complesso parrocchiale è diventato effettivo polo di riferimento per un’ampia parte della città, ricco di attività sia pastorali, sia sociali e civili.
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