Un nuovo contributo sulla riflessione promossa dal Copercom per la 51esima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali. Armando Fumagalli, ordinario di Semiotica alla Cattolica di Milano e consulente per la sceneggiatura di Lux Vide, interviene sul Messaggio del Papa per la prossima Giornata delle comunicazioni sociali. Sul Messaggio di Papa Francesco sono già intervenuti Domenico Delle Foglie, Carlo Marroni, Tonino Cantelmi, Piero Chinellato, Vania De Luca, Massimiliano Padula, Fabio Zavattaro, don Fortunato Di Noto, Marco Testi e Piero Damosso.
Il messaggio di Papa Francesco per la Giornata delle comunicazioni sociali, e il dibattito che ne è seguito, toccano molti temi importanti, sia per chi fa giornalismo sia per chi è impegnato nel più ampio mondo della comunicazione.
Mi limiterò qui a toccare tre punti, fra i molti che si potrebbero commentare.
Il primo è che le ricerche sull’influenza che hanno i media sulla percezione del mondo sono concordi nell’affermare che la quantità di “cattive notizie”, di messa in scena (a volte anche ripetuta e ossessiva) di delitti e di azioni violente, portano a una percezione della realtà fortemente più violenta e pericolosa di quanto essa non sia nei fatti.
Abbiamo, per esempio, la sensazione che i delitti gravi (omicidi o per es. i cosiddetti “femminicidi”) siano in crescita, mentre invece anno per anno calano… Il confronto fra il dato percepito e il dato reale credo che sia uno spunto interessante che dovrebbe interrogare non solo chi dà le notizie in mezzi direttamente ed esclusivamente informativi (quotidiani, radio, notiziari televisivi), ma anche in chi lavora in quel mondo assai vasto che è l’
infotainment (magazine generalisti, trasmissioni televisive, ecc.).
Un secondo punto, che qui posso solo accennare, ma che meriterebbe ben altro spazio, è che non credo che sia vero che – secondo un detto tramandato a lungo e considerato una verità “sacra” – siano “notiziabili” solo le cattive notizie.
È ovvio che se “non succede niente” non c’è notizia… Ma, per esempio nello sport, è notizia anche la buona notizia; idem in tutto quel vasto campo del giornalismo che è la cultura, l’economia, la cronaca cittadina, la cronaca sociale, ecc. Ma più in generale, occorrerebbe, credo, anzitutto uno sforzo creativo maggiore e un po’ più fiducioso nella capacità delle “buone notizie” di essere interessanti e poi anche un maggiore impegno per – come chiede il Papa – inquadrare anche le notizie che sull’immediato sono cattive in una luce che possa dare speranza e non disperazione, voglia di lottare e non rassegnazione, fiducia nella possibilità di incidere sulla storia e non fatalismo.
Chi lavora sulle storie di finzione sa che l’elemento cruciale perché ci sia storia è che ci sia un conflitto: ma il conflitto non è solo uno scontro violento… è anche, per esempio, il desiderio di Billy Elliott nel film omonimo di fare il ballerino, che si scontra con il mondo di minatori poveri in cui vive la sua famiglia, o il desiderio di Erin Brockovic di ottenere giustizia per i malati a causa dell’inquinamento generato da un gigante dell’energia… In altre parole, la notizia “buona” può essere interessante se non diamo per scontato il percorso con cui si arriva all’esito positivo, se raccontiamo anche gli ostacoli, lo sforzo, l’impegno – il conflitto, anche se non necessariamente violento – per arrivare al risultato positivo…
Se si sa raccontare bene – se anche il cronista sa raccontare bene –, e se sa cercare le notizie nel modo giusto, ci sarebbero più notizie positive interessanti per i nostri media. E alla fine una rappresentazione del mondo più equilibrata.
Terzo punto: istintivamente il Messaggio del Papa viene interpretato come rivolto soprattutto al mondo dell’informazione, ma credo sia interessante allargare l’orizzonte e pensare anche a tutto il mondo della comunicazione sociale inteso in senso più vasto: intrattenimento, fiction, cinema.
Che cosa significa lì, raccontare anche le buone notizie, dare ad esse uno spazio legittimamente maggiore, saper ispirare speranza?
Come il lettore intuisce, anche qui si aprirebbero campi molto vasti… anche per il nostro cinema, che tende ad essere più un cinema di denuncia che di proposta… E anche per una certa piega, che sulla scia di una tradizione di racconto non italiana – ma che scimmiotta una specifica tradizione televisiva americana cinica e disincantata – sta prendendo la nostra serialità televisiva, in particolare quella che aspira ad essere maggiormente internazionale…