Con l’intervento di Carlo Marroni prende slancio la riflessione a più voci avviata dal Copercom sul Messaggio di Papa Francesco per la 51esima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali. E' disponibile il commento di apertura del presidente Domenico Delle Foglie.
Sono principi talmente naturali che neppure dovrebbero essere messi a corollario della professione. Eppure il Papa li elenca all’inizio del suo messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, e tanto basta per fare luce ancora una volta sugli scalini dove la comunicazione (in Italia) spesso inciampa. Dice Bergoglio: “…Vorrei esortare tutti ad una comunicazione costruttiva che, nel rifiutare i pregiudizi verso l’altro, favorisca una cultura dell’incontro…”. Incontro non vuole dire certo commistione di interessi o peggio ancora complicità, ma confronto sui fatti e sulle opinioni.
Fare informazione – come fa un giornalista – implica onestà di pensiero e di comportamento, senza tuttavia trasformare il nobile mestiere in un’arma d’offesa, anche senza che questo produca necessariamente un vantaggio personale. Ecco perché la nostra non è una missione ma una professione, che si esercita con propri strumenti, a tutti accessibili. Naturalmente esistono le nostre convinzioni che ci guidano, ma non vanno lasciate tracimare sopra il livello di guardia dell’onestà, là dove i pregiudizi prevalgono sopra i giudizi, dove l’occhio del cronista viene offuscato da quello del censore. La penna è uno strumento formidabile e insostituibile nell’umano consorzio, ma trasformarla in spada – in un contesto come il nostro dove non si lotta contro regimi liberticidi, ma ognuno è perlopiù libero di esprimersi liberamente – è tradire la penna stessa, nata per comunicare, anche con grande rigore, ma non per trafiggere in modo indiscriminato e tantomeno per accarezzare e blandire.
Solo su questi binari, io credo, non ci sarà distinzione tra buone e cattive notizie, ma tra notizie interessati e altre meno, scritte bene o confuse, ma sempre profondamente oneste. Raccontare una guerra è un dovere, così come il salvataggio di un senzatetto del freddo invernale sotto i portici della stazione: questo è il mondo in cui viviamo, e anche se risiediamo in comodi appartamenti va ricordato che siamo tutti noi sotto quelle bombe o avvolti in quelle coperte, e questa consapevolezza ci rende una società e non un insieme informe di esseri umani affamati di beni di consumo.
“Vorrei offrire un contributo alla ricerca di uno stile comunicativo aperto e creativo, che non sia mai disposto a concedere al male un ruolo da protagonista, ma cerchi di mettere in luce le possibili soluzioni, ispirando un approccio propositivo e responsabile nelle persone a cui si comunica la notizia” scrive il Papa nel messaggio. È quello cui noi giornalisti siamo chiamati a fare nel nostro lavoro quotidiano? Basta rileggere queste poche righe e risalta subito davanti agli occhi che questi sono i motivi profondi per cui la gran parte di noi ha iniziato a fare questa professione che non rende ricchi e molto raramente famosi, l’ansia di comunicare e allo stesso tempo di cercare di lasciare una traccia, pure impercettibile, nella coscienza di chi ci legge o ci ascolta.
Tutto cambia di continuo, i punti di riferimento si spostano, ma la notizia sarà sempre quella, magari offerta con strumenti nuovi, ma la sua essenza non muterà finché ci sarà una società organizzata sulla convivenza tra essere umani liberi. Una notizia data con questi principi, io credo, è sempre una “buona notizia”, anche se tragicamente riferisce di conflitti e sofferenze, perché non trasforma il male in protagonista dello spettacolo, ma racconta delle persone che devono affrontare prove terribili della loro esistenza, ci trasporta tutti dentro luoghi che vediamo solo da lontano, tra le comodità delle nostre redazioni.
Il Papa parla a tutti, e tutti comprendono la forza del suo messaggio. La buona notizia quindi può diventare “buona novella” quando anche le storie di sofferenza e di malaffare – le cattive notizie che fanno notizia – possono essere scritte o trasmesse con uno sguardo in avanti, con un animo positivo e non distruttivo. Come dice il Papa, bisognerebbe che “cercassimo di oltrepassare quel sentimento di malumore e di rassegnazione che spesso ci afferra, gettandoci nell’apatia, ingenerando paure o l’impressione che al male non si possa porre limite”.