La piccolezza amata da Dio
Betlemme è ricordata dal profeta come “piccola”, nel senso negativo di “poco significativa”. La parola divina della IV domenica di Avvento si apre con la menzione di una realtà considerata umanamente poco significativa. Eppure proprio dalla piccola Betlemme viene colui che “sarà grande”: il profeta invita a constatare, con sorpresa, che le classificazioni umane non coincidono con i progetti divini. Serve uno sguardo di fede per andare oltre ciò che appare scontato e immutabile. La fede nel Dio che sceglie i piccoli e ridimensiona le pretese dei grandi.
La fede necessaria
La nostra cornice culturale, basata su una razionalità dei risultati e del calcolo, fa fatica ad entrare nella prospettiva di Dio. La razionalità moderna – che non va confusa con la facoltà della ragione – acquisisce un controllo su determinati settori di competenza, frantumando i dati e controllandoli mediante l’intelligenza artificiale. Ma ciò che funziona nel processo economico e tecnologico, non ha pieno possesso della storia umana: lì abbiamo una unità irriducibile, non frantumabile nei suoi processi, la persona, e la razionalità tecnica cede il passo alla completezza della ragione, che a sua volta non può pretendere un dominio assoluto: la ragione si apre alla fede. Ciò che non può essere calcolato è esattamente ciò per cui vale la pena di vivere, di amare, che dona vera gioia. Abbiamo bisogno di ritrovare la fede fondamentale: la fede di Maria.
La fede condivisa
Abbiamo già contemplato nella solennità dell’Immacolata il dono totale di Maria, provocato dalla sua fede: ora la stessa fede diventa principio di azione nei confronti di Elisabetta. Una persona incontra, nella carità, un’altra persona. Una donna che attende un figlio si incontra con un’altra futura madre. Una donna credente incontra una sorella nella stessa fede. Nell’incontro Dio stesso parla e si manifesta, con l’azione del suo Spirito. Ciascuna porta il suo dono: Maria porta il Salvatore, e lo annuncia a Elisabetta, facendo come rimbalzare quel saluto benedicente che l’angelo le aveva portato; Elisabetta nello Spirito è resa capace di riconoscere l’azione di Dio e di manifestarla a Maria, con parole di benedizione. Nel seguito del brano Maria eleva la sua lode, con il canto del Magnificat. È come se Maria comprendesse pienamente ciò che le sta accadendo soltanto nell’incontro con la cugina; è come se avvenisse una evangelizzazione reciproca. Maria porta Gesù; Elisabetta lo disvela pienamente alla madre, confermando e incoraggiando la sua fede, che peraltro sembrerebbe già perfetta e colma di beatitudine: “beata colei che ha creduto”.
La fede consapevole e comune
Per quanto piena e totale, la fede di Maria ha ancora un lungo cammino da compiere. Scoprirà il Figlio come segno di contraddizione; diverrà lei stessa, in un certo senso, sua discepola, sulle strade di Galilea, fino alla croce e alla gioia della risurrezione, fino ad una nuova maternità, in senso spirituale, nei confronti di tutta la Chiesa. Il passaggio che si compie nell’incontro con Elisabetta è un aumento di consapevolezza: la comunione profonda sperimentata con Elisabetta rende possibile un intenso scambio nella fede, un passo avanti verso la pienezza. Esso si può verificare solamente con i fratelli e sorelle di fede: se anche si testimoniasse l’adesione a Cristo fino al martirio, se anche si amasse il nemico fino al dono della vita, si resterebbe un gradino sotto al miracolo silenzioso del dialogo tra chi crede ed è ricambiato, tra chi comunica la lode in Dio, e ne è confermato da chi crede con lui e insieme a lui.
Il miracolo silenzioso
«Io credo»: dice Maria; «Credo anch’io», risponde Elisabetta; «Sia benedetto il Signore»: aggiunge Elisabetta, «Anche l’anima mia magnifica il Signore…» prosegue Maria. Siamo forse troppo abituati al dialogo amichevole con il dubbio, o allo scontro ostinato con l’incredulità, per dare importanza al semplice, sorprendente prodigio della fede condivisa. Esso si ripete ad ogni celebrazione eucaristica, trova attuazione nei dialoghi liturgici: “Il Signore sia con voi”: “E con il tuo Spirito”; “Rendiamo grazie”: “È cosa buona e giusta”. Ma forse si è troppo abituati nella liturgia a ricercare un nutrimento per la vita personale, per apprezzare il semplice fatto che tanti o pochi (Maria ed Elisabetta erano in due: in realtà il pochi non importa) fratelli e sorelle di fede sono riuniti dallo Spirito per riscoprire la bellezza della lode comune.