Troppo spesso l’interpretazione di questo passo rischia di sbilanciarsi verso l’impossibile: certamente, in questo momento io ho da mangiare, e milioni di persone no. Io ho da bere, e milioni di persone no. Si tratta di una situazione scandalosa, di uno squilibrio e di un disordine inaccettabile. Perché nessuno interviene? Perché nessuno pone rimedio? Perché Dio non interviene?
Lo sguardo del dominatore
Proviamo però a pensare a che cosa sarebbe necessario per colmare direttamente tutti gli squilibri e le ingiustizie che rileviamo nel mondo. Per vederle e intervenire istantaneamente sarebbe necessario assumere la posizione del dominatore: occorrerebbe avere un potere illimitato di conoscenza e di supervisione su tutta la terra, e un potere illimitato di intervento. Occorrerebbe essere qualcuno che con la sua vista, la sua intelligenza, il suo potere esecutivo, abbraccia tutto il mondo. In una parola, occorrerebbe essere il dittatore - o i dittatori - del mondo. Oppure che Dio agisse come il gigantesco dittatore del mondo. Ma una simile prospettiva non è possibile per noi, e non è neppure stata scelta da Dio: nel Natale faremo memoria di Dio che si fa piccolo per salvare il mondo…
La carità accessibile
Ascoltiamo dunque ciò che propone il Battista: si tratta di uno sguardo umile, concreto, accessibile nello spazio e nel tempo. Chi ha due tuniche, dia: non all’irraggiungibile, ma al visibile, a chi sta vicino. Non lo sguardo del dominatore, che pretende di risolvere le ingiustizie del mondo, o di mettersi al posto di Dio, ma lo sguardo del fratello, che si accontenta di accorgersi del fratello che ha vicino, e comincia con semplicità a mettere ordine nella sua vita, condividendo il di più con i fratelli. «Accontentatevi» aggiunge il Battista «Non esigete»: ai soldati e agli esattori non è chiesto di rinunciare alla loro posizione, ma di esercitarla con misura, in spirito di onestà.
La domanda battesimale
La domanda delle folle trova una corrispondenza interessante negli Atti degli Apostoli: è la richiesta che perviene a Pietro dopo la Pentecoste. Si tratta della richiesta che precede il Battesimo. Si tratta forse della domanda che ciascuno di noi è invitato a farsi, se vuole riscoprire tutte le potenzialità del Battesimo e del dono ricevuto. La risposta non è in nessun caso un elenco di cose da fare: ma un invito alla conversione, ad una trasformazione della vita, che non deriva solo dalle nostre forze, ma anche dall’azione dello Spirito in noi. Non avremo mai finito di donare a chi ha meno di noi; non avremo mai finito di esplorare i confini dell’onestà e della correttezza; la conversione non si esaurisce in un gesto, ma deriva dall’incontro con la novità di Dio, che tende a trasformare tutta l’esistenza.
In attesa di colui che è più forte di noi
Dobbiamo dunque rinunciare a uno sguardo più ampio? Dobbiamo dare per persa la battaglia contro le ingiustizie a livello mondiale? Certamente no: siamo chiamati invece a rinunciare ad essere dominatori e dittatori utopici, che nascondono l’inazione dietro all’enormità dei problemi, e a cominciare ad essere umili fratelli, concittadini, persone che compiono briciole di giustizia; sapendo che il dominatore della storia è un altro, invocando colui che è “più forte”, e che pure ha scelto di farsi debole, di farsi piccolo, di mettere la sua tenda tra noi.