Maria, Giuseppe e il bambino
I pastori vanno a cercare il bambino, ma esso risulta accessibile solo attraverso Maria e il suo sposo. Non è possibile arrivare a Gesù, se non passando attraverso la madre, almeno finché egli è piccolo: ma quando, una volta cresciuto, egli sembra respingerla, in realtà rimanda a lei: “chi ascolta le mie parole e le mette in pratica, questi è mio fratello, sorella, madre”. E noi sentiamo riecheggiare le parole di Elisabetta: Beata colei che ha creduto: colei che ha saputo ascoltare, e in cui sono divenute realtà le parole di Dio.
Maternità permanente
Non si arriva a Gesù quindi se non avendo la stessa fede di Maria, colei che accoglie la parola, crede, genera nella fede, e poi permanentemente custodisce nel cuore. Con discrezione l’evangelista mette in evidenza un atteggiamento costante della madre di Gesù, che non cessa, per così dire, la sua gravidanza spirituale: la parola divina ha preso dimora in lei, e continua ad abitare in lei anche dopo la nascita del figlio. Il dialogo intrapreso con l’angelo non cessa con la sua partenza, ma prosegue nelle concrete esperienze della vita. Maria continua ad interrogarsi e a lasciarsi interrogare dalle grandi opere di Dio.
Il nuovo senso della benedizione
Prendono dunque un nuovo significato le parole dell’antichissima benedizione che troviamo nel libro dei Numeri (I lettura): per gli antichi essa era presagio di fecondità e successo, di frutti della terra e abbondanza di bestiame, di una vita serena e vissuta nella pace con la propria famiglia; all’inizio dell’anno giustamente riprendiamo le stesse istanze, e ci auguriamo gioia e serenità; ma la maternità di Maria, custode permanente della parola divina, ci indica la via di una ulteriore, differente visione del successo, non appiattita sulla visibilità esteriore. Noi cerchiamo e ci auguriamo anche la capacità di compiere la volontà di Dio, di resistere nelle difficoltà, di restare fedeli anche quando tutto fuori sembra congiurare contro. Perché solo da chi resiste nella fedeltà può dirsi realmente costruttore di pace.
Il dono della pace
Giustamente in questa data si celebra la giornata mondiale della pace: al termine dell’ottava del Natale si ricorda che la possibilità di un nuovo inizio è data a tutta l’umanità. La Chiesa, madre e sposa, generando al mondo costruttori di pace a immagine del Cristo, la rende più accessibile per tutti. Anche i pastori che contempliamo nel vangelo, pur non essendo né ricchi, né potenti, né importanti, diventano testimoni della buona notizia, diffusori del vangelo, a loro modo portatori di pace. Non è la pace dei potenti, costruita sui trattati, incentrata sugli equilibri del terrore, continuamente minacciata dalla menzogna e dalla falsità. È la pace desiderata e costruita da umili famiglie, come quella di Maria e Giuseppe, che trasmettono ai figli i loro valori e invocano da Dio la salvezza.
Il nome di Gesù
Nel vangelo vediamo Gesù circonciso, secondo la legge, e chiamato con il nome stabilito dall’angelo. Lo vediamo dunque in tutto sottomesso alle usanze umane e alla legge divina osservata dal suo popolo. Ma il suo nome, che significa salvatore, indica che il tempo della schiavitù è finito. Nel suo nome a tutta l’umanità è offerta la possibilità di uscire dalla schiavitù, per entrare nella dignità dei figli (II lettura). Una dignità che nessuna oppressione, nessuna persecuzione, nessuna forzatura esterna può togliere. Ma anche una dignità che può essere perduta, se non viene custodita con attenzione, se viene identificata con il potere o con il denaro. Ma noi ci fidiamo davvero di questa parola? La custodiamo nei nostri cuori? Ne proponiamo un’immagine credibile al mondo?