Abitanti Digitali Convegno nazionale
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22 maggio 2011
«Abitanti digitali», la rotta è verso un salto di qualità   versione testuale
di Giacomo Gambassi
L’invito del vescovo Giuliodori ai partecipanti del convegno Cei: essere presenti nella Rete come cristiani
Vivere la Rete da cri­stiani significa «of­frire un filo di Arian­na nei labirinti digitali». Si affida a un richiamo mito­logico il vescovo di Mace­rata- Tolentino-Recanati­Cingoli-Treia, Claudio Giu­liodori, per indicare il com­pito che attende i direttori degli Uffici diocesani per le comunicazioni sociali, gli operatori dei media e i webmaster che coordina­no i siti cattolici. In 280 hanno partecipato al Con­vegno «Abitanti digitali», promosso dall’Ufficio na­zionale per le comunica­zioni sociali e dal Servizio informatico della Cei, che si è chiuso ieri a Macerata. Nella doppia veste di pa­drone di casa e di presi­dente della Commissione episcopale per la cultura e le comunicazioni sociali, Giuliodori spiega che «ci sono le condizioni per un salto di qualità» della pre­senza ecclesiale sul web e che nell’ambiente digitale occorre starci «fino in fon­do, secondo il principio dell’incarnazione» senza, però, lasciarsi «risucchia­re ». Come modello indica padre Matteo Ricci, il mis­sionario maceratese che si è spinto fino alla Cina (di cui nel 2010 sono stati ce­lebrati i 400 anni dalla mor­te). «Se padre Ricci ha mes­so in gioco la sua vita sen­za confini, ha imparato la lingua della terra dove è giunto e si è affidato alla creatività dello Spirito – af­ferma Giuliodori – i testi­moni digitali sono chiama­ti a esplorare la Rete che non ha frontiere, a parlare i linguaggi contemporanei e a puntare sull’inventiva». Di fatto sono come «cam­pane » nel web capaci di «far risuonare il Vangelo» in modo che ciò «produca contagio», sottolinea mon­signor Domenico Pompili, sottosegretario della Cei e direttore dell’Ufficio na­zionale per le comunica­zioni sociali, riprendendo la suggestiva metafora con cui giovedì ha aperto il Convegno. Nelle sue con­clusioni indica anche i prossimi passi: «fitto dialo­go » con i direttori degli Uf­fici diocesani, incontri sul territorio, collaborazione con le associazioni, valo­rizzazione degli animatori della comunicazione e del­la cultura che definisce «un drappello competente che ha molto da dare».

La parola-chiave dell’ap­puntamento è stata il ver­bo «abitare». Che può es­sere declinato anche come «risposta da cui emerge l’'aver cura'», afferma don Ivan Maffeis, vice direttore dell’Ufficio nazionale, in­troducendo i lavori dell’ul­tima giornata. È l’impegno che anima i media eccle­siali italiani alle prese con la convergenza digitale. «Serve che sia riconoscibi­le la nostra identità profon­da che poi è uno sguardo sull’uomo educato alla lu­ce del Vangelo», suggerisce Francesco Ognibene, ca­poredattore di Avvenire.

Perché «molti hanno no­stalgia di una comunica­zione diversa» e «chi in­contra i nostri strumenti deve sentire il profumo della Chiesa». Della sfida di educare le persone a «ri­scoprire il volto dell’altro» parla Saverio Simonelli, re­sponsabile dei programmi culturali di Tv2000, quando invita ad arginare la «deri­va verso il tribalismo che oggi numerosi media pro­pongono ». Essenziale resta il giornali­smo che, chiarisce Paolo Bustaffa, direttore dell’a­genzia Sir, «può uscire dal­l’autoreferenzialità grazie al confronto con le nuove tecnologie». Certo, aggiun­ge Bustaffa rivolgendosi ai partecipanti, c’è bisogno anche di «un laicato pre­parato » in quanto «la co­municazione è l’altro no­me della missione». Lo sanno bene le testate loca­li d’ispirazione cristiana che, spiega Francesco Za­notti, presidente della Fe­derazione italiana settima­nali cattolici, «sono per la loro storia vicine alla gen­te ». E Internet può essere un’ulteriore opportunità per «essere prossimi al ter­ritorio anche sulle auto­strade telematiche».