L’invito del vescovo Giuliodori ai partecipanti del convegno Cei: essere presenti nella Rete come cristiani
Vivere la Rete da cristiani significa «offrire un filo di Arianna nei labirinti digitali». Si affida a un richiamo mitologico il vescovo di Macerata- Tolentino-RecanatiCingoli-Treia, Claudio Giuliodori, per indicare il compito che attende i direttori degli Uffici diocesani per le comunicazioni sociali, gli operatori dei media e i webmaster che coordinano i siti cattolici. In 280 hanno partecipato al Convegno «Abitanti digitali», promosso dall’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali e dal Servizio informatico della Cei, che si è chiuso ieri a Macerata. Nella doppia veste di padrone di casa e di presidente della Commissione episcopale per la cultura e le comunicazioni sociali, Giuliodori spiega che «ci sono le condizioni per un salto di qualità» della presenza ecclesiale sul web e che nell’ambiente digitale occorre starci «fino in fondo, secondo il principio dell’incarnazione» senza, però, lasciarsi «risucchiare ». Come modello indica padre Matteo Ricci, il missionario maceratese che si è spinto fino alla Cina (di cui nel 2010 sono stati celebrati i 400 anni dalla morte). «Se padre Ricci ha messo in gioco la sua vita senza confini, ha imparato la lingua della terra dove è giunto e si è affidato alla creatività dello Spirito – afferma Giuliodori – i testimoni digitali sono chiamati a esplorare la Rete che non ha frontiere, a parlare i linguaggi contemporanei e a puntare sull’inventiva». Di fatto sono come «campane » nel web capaci di «far risuonare il Vangelo» in modo che ciò «produca contagio», sottolinea monsignor Domenico Pompili, sottosegretario della Cei e direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali, riprendendo la suggestiva metafora con cui giovedì ha aperto il Convegno. Nelle sue conclusioni indica anche i prossimi passi: «fitto dialogo » con i direttori degli Uffici diocesani, incontri sul territorio, collaborazione con le associazioni, valorizzazione degli animatori della comunicazione e della cultura che definisce «un drappello competente che ha molto da dare».
La parola-chiave dell’appuntamento è stata il verbo «abitare». Che può essere declinato anche come «risposta da cui emerge l’'aver cura'», afferma don Ivan Maffeis, vice direttore dell’Ufficio nazionale, introducendo i lavori dell’ultima giornata. È l’impegno che anima i media ecclesiali italiani alle prese con la convergenza digitale. «Serve che sia riconoscibile la nostra identità profonda che poi è uno sguardo sull’uomo educato alla luce del Vangelo», suggerisce Francesco Ognibene, caporedattore di Avvenire.
Perché «molti hanno nostalgia di una comunicazione diversa» e «chi incontra i nostri strumenti deve sentire il profumo della Chiesa». Della sfida di educare le persone a «riscoprire il volto dell’altro» parla Saverio Simonelli, responsabile dei programmi culturali di Tv2000, quando invita ad arginare la «deriva verso il tribalismo che oggi numerosi media propongono ». Essenziale resta il giornalismo che, chiarisce Paolo Bustaffa, direttore dell’agenzia Sir, «può uscire dall’autoreferenzialità grazie al confronto con le nuove tecnologie». Certo, aggiunge Bustaffa rivolgendosi ai partecipanti, c’è bisogno anche di «un laicato preparato » in quanto «la comunicazione è l’altro nome della missione». Lo sanno bene le testate locali d’ispirazione cristiana che, spiega Francesco Zanotti, presidente della Federazione italiana settimanali cattolici, «sono per la loro storia vicine alla gente ». E Internet può essere un’ulteriore opportunità per «essere prossimi al territorio anche sulle autostrade telematiche».