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20 maggio 2011
Scaglioni: nuovi media capaci di fare comunità   versione testuale






La Chiesa impegnata nella sfida del dialogo
DI PAOLO VIANA

C hiamatelo paradigma di Sohaib. Oppure di Abbotabad, perché la sostanza non cambia. È l’esempio da cui parte Massimo Scaglioni, docente di storia dei media all’Università Cattolica, per spiegare quali siano le opportunità e i rischi della convergenza dei media, ossia di quell’unione sempre più stringente fra mezzi di comunicazione tradizionali e nuovi media. Sohaib Athar è il consulente informatico che, abitando a pochi chilometri dalla casa di Osama Benladen ad Abbotabad, ha acquisito una notorietà planetaria dando la notizia del raid americano. Sohaib ha battuto i grandi media ma non è questo a farne un paradigma della superiorità dei new media. Al contrario, per Scaglioni, intervenuto ieri all’auditorium San Paolo, il caso di Sohaib dimostra che la «visibilità» della comunicazione diffusa, quella dei social network, dipende ancora dall’attenzione che gli riserva la comunicazione istituzionale. Del resto, oggi, l’ambiente massmediale è attraversato da flussi che si intersecano: quello verticale è proprio dei «mezzi istituzionali», come possono essere le grandi tv o i maggiori quotidiani; quello «diffuso» ha come perno lo scambio di informazioni dal basso, sull’esempio di Sohaib. E allora ecco la domanda: come cambia la comunicazione in un ambiente convergente dove tutto è connesso e le notizie rimbalzano come palline? Per comprenderlo Scaglioni fa ricorso ai paradigmi ­questi, veri paradigmi scientifici - di James Carey. Il primo è quello della «trasmissione». Il messaggio è come un pacco postale che va da un punto all’altro. Solo che fra i flussi della cultura digitale «si fa più fatica» perché non sappiamo come arriverà a destinazione e quali percorsi di senso farà. Il secondo paradigma richiama la «comunità».

«E oggi i media – afferma il docente – diventano strumenti di condivisione in modalità inedite: un programma televisivo viene frammentato, caricato su YouTube e condiviso attraverso Twitter e Facebook…».

Inoltre i mezzi di comunicazione offrono occasioni di commento come fossimo in piazza. «Una notizia diffusa dai media tradizionali diventa oggetto di discussione sui siti o sui social network». Di fronte a questo scenario, quali porte si aprono per la comunità cristiana?

Secondo Scaglioni, la Chiesa deve «accettare la sfida del dialogo» con una cultura «densa e diffusa».

Inoltre, se il sistema mediale permette di convergere, i mezzi di comunicazione cattolici in Italia «sono senz’altro un esempio importante di come si possa contribuire a fare comunità». E poi c’è la sfida educativa che si lega strettamente alla cultura digitale. Però l’approccio dovrà essere sereno «senza lasciarci soggiogare – conclude il docente – da ingenui entusiasmi o da ingiustificati allarmismi».