Domani ricorre la 51^ Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, e Papa Francesco ha già consegnato alla Chiesa e al Mondo, il 24 gennaio scorso, il suo messaggio universale che, quest’anno, invita tutti a un esame di coscienza per tornare a “Comunicare speranza e fiducia nel nostro tempo”.
È, il messaggio del Papa, un incoraggiante inno alla dignità, alla responsabilità e al riscatto morale e identitario del giornalismo e del più ampio mondo delle comunicazioni sociali, al quale accedono ormai, tramite i social media, tantissimi cittadini che non sono più “consumer”, consumatori passivi di un’informazione professionalmente (?) mediata, ma “prosumer”, produttori e consumatori nello stesso tempo tramite i nuovi canali digitali.
È, il messaggio del Papa, una preziosa meditazione sull’urgenza di un impegno, professionale e civile, contro la cultura della menzogna e delle mezze verità, contro le “fake news” usate ad arte per infangare persone e progetti di cambiamento, contro il gioco al massacro dei buoni sentimenti per disseminare rabbia, paura e odio, con l’illusione di vendere così più copie e condannando a morte la speranza della povera gente e la fiducia come atteggiamento della mente e del cuore che vuole edificare il futuro.
Da direttore dell’Ufficio per le Comunicazioni Sociali della Diocesi di Ragusa mi sono chiesto, leggendo questo prezioso documento, cosa può voler dire “Comunicare speranza e fiducia nel nostro tempo”…a Ragusa, nella Chiesa diocesana e nella Comunità locale.
Ed ho pensato, anzitutto, alla contraddizione fra la crescente importanza “evangelizzatrice” degli attori locali della comunicazione, portatori di informazione e di formazione della coscienza morale e sociale, e la loro crescente umiliazione professionale ed economica in contesti editoriali subalterni alle logiche del potere e del denaro, da cui la Chiesa è chiamata dal Papa a prendere nettamente le distanze esortando nel contempo i “padroni finanziari dei mezzi di produzione editoriale” ad investire nelle persone che comunicano e non solo nei mezzi che, da soli, non comunicano niente.
Ho pensato alla rilevanza strategica per lo sviluppo culturale e sociale, economico e spirituale, dei canali tradizionali di comunicazione sociale ancora “ragusani”, pochi e soli in verità, e di una presenza costruttiva dei cattolici e degli “uomini di buona volontà” anche in quelli digitali, luogo di incontro reale e non virtuale, specie fra i giovani, in un territorio periferico e depresso come il nostro, mettendo al centro l’esigenza di conoscere, orientarsi, valutare criticamente ciò che avviene davvero, con il sostegno “mediatico” di coscienze illuminate poste al servizio del giornalismo locale.
Ho pensato alla necessità, in questo territorio, di formare nuove competenze per “antichi” e “moderni” comunicatori, non più relegate “agli” addetti ai lavori, ma progettate e realizzate “dagli” addetti ai lavori per essere messe a disposizione della comunità e specialmente dei giovani.
Ho pensato all’urgenza di una fiduciosa evoluzione del “linguaggio” e delle “forme di presenza” da parte dei sacerdoti e degli operatori pastorali in un contesto reale profondamente mutato, narrato e interpretato attraverso le comunicazioni sociali come agenzia educativa egemone, fuori dalla quale si rischia di condannarsi all’impotenza, ad un passaggio dall’evangelo all’afasia. A Ragusa urge continuare a portare avanti una iniziativa integrata fra tutte le agenzie educative operanti nel contesto locale delle comunicazioni sociali e digitali (Rete delle C.S.) come “ambiente” ineludibile di vita, di dialogo e di crescita personale, sociale e spirituale, e non come puro “strumento tecnico” di canalizzazione inefficace di contenuti astrattamente educativi.
Ho pensato alla possibilità di un nuovo slancio deontologico, animato dalla lettura attenta del messaggio del Papa, nella pratica professionale dei giornalisti locali (compresi quelli malpagati o volontari!) e alla loro capacità di cogliere e dare ogni giorno la "buona notizia”, che non è solo riservare spazio ai fatti positivi che succedono (e ancora ce ne sono!), ma anche riuscire a interpretare ogni notizia, anche la peggiore, cogliendo un elemento di bene nella realtà negativa.
Ad esempio, nel riferire di un fatto di reato, non fermarsi ad additare il criminale (con foto a meno che non sia membro della buona società), ad evidenziarne più volte la provenienza quando straniera, a descrivere e giustificare la reazione sociale allarmata anche aggressiva e violenta, ma cogliere anche le cause remote dell’atto criminale come patologia sociale, condividere la sofferenza dei familiari della vittima e anche di quelli del delinquente, cogliere – quando c’è - l’umanità nei gesti del poliziotto che lo arresta, ricordare al lettore che esistono operatori sociali che agiscono per il recupero e, a fine pena, la reintegrazione della persona nella comunità, etc.
Ho pensato infine al servizio svolto da una testata di informazione di ispirazione cattolica che vive da 32 anni, INSIEME, per il ruolo che ha nel panorama dell'informazione locale come testata autonoma da condizionamenti interni ed esterni, attenta ai bisogni e alle sensibilità delle comunità urbane ed ecclesiali degli otto comuni del territorio diocesano: una testata che vive per metà di volontariato e di sostegno pubblicitario e per metà con le risorse dell’8 per mille dei cittadini, messe a disposizione dalla Chiesa locale. Pensieri ed esperienze semplici, che aiutano a comunicare speranza e fiducia anche a Ragusa.