CARAVAGGIO
Le sette opere di misericordia
(Rubrica a cura di Antonio Genziani)
Michelangelo Merisi da Caravaggio (Milano, 29 settembre 1571 – Porto Ercole, 18 luglio 1610). È impossibile riassumere la sua vita (per la sua biografia rimandiamo a Vocazioni nn. 4-5) in poche righe tanto è inquieta, piena di avventure a causa del suo carattere irascibile e passionale. Caravaggio, nonostante i suoi misfatti e le conseguenze drammatiche , poteva contare quasi sempre sui suoi protettori; gente di Chiesa, cardinali, nobili e potenti. Era consapevole del proprio talento, della fama e del fatto che in molti se lo contendevano. Caravaggio è stato il fautore di un nuovo modo di raffigurare la realtà.
Caravaggio si confronta con la realtà cruda, povera, dei vicoli. Papa Francesco direbbe una “periferia esistenziale” dove l’uomo soffre, si lamenta e le sue grida sono accolte solo da Dio-Padre. A Caravaggio interessa la realtà così com’è, senza fronzoli, tutta la miseria e la povertà di questa città.
Questa grande tela del Caravaggio, unica nel suo genere, esprime in modo autentico e sintetico la sua esperienza a Napoli. Questa nuova stagione pittorica è il risultato del suo coinvolgimento nella realtà della Napoli popolare, è la risposta al disagio, alle povertà incontrate nei vicoli ma anche alla sua relazione con la nobiltà del luogo, il Pio monte, da cui i ricchi hanno commissionato il dipinto.
Caravaggio, intercettando i desideri e le attese dei suoi committenti, mette in evidenza la concretezza delle azioni dei personaggi che testimoniano l’importanza della relazione con gli altri, del coinvolgimento, della condivisione.
Il dipinto ci offre lo spunto per alcune considerazioni e riflessioni che rimandano al Vangelo di Matteo quando Gesù, il figlio dell’uomo, fra lo stupore e la sorpresa dei giusti dice: “tutto quello che avete fatto agli ultimi fratelli più piccoli lo avete fatto a me”.
È vero, è proprio così: incontriamo Gesù nella quotidianità, nei fatti concreti della vita; lui, Dio che si è incarnato, si è fatto uomo, nostro fratello con i nostri stessi bisogni, che si è identificato con ognuno di noi povero, malato, straniero. Noi lo incontriamo, lo riconosciamo nell’altro e comprendiamo che è solo questo il modo di amarlo.
Per me è l’occasione di approfondire l’importanza dell’esperienza nell’ambito della pastorale vocazionale.
L’autenticità di una vocazione riguarda la realizzazione di sé stessi e si verifica nella relazione con gli altri; a volte si avvia un cammino di discernimento vocazionale dopo aver vissuto un’esperienza forte che è in grado di minare tutte le proprie sicurezze e certezze ma, allo stesso tempo, anche di far emergere con forza potenzialità e capacità fino a quel momento inespresse.
Perché è importante l’esperienza più che tante parole?
Dopo un cammino formativo e di studio è opportuno, invitare il giovane a vivere delle esperienze che danno la possibilità di conoscersi.
Mi piace ricordare il significato etimologico della parola esperienza, dal latino experire = passare attraverso, perché è solo passando attraverso esperienze nel rapporto con gli altri che un giovane può comprendere la sua più profonda identità, che cosa desidera nella vita, e così rispondere alla chiamata del Signore, alla sua vocazione.
È allora importante vivere delle occasioni che si trasformino in esperienza, cioè in evento decisivo in quel momento che ha la forza di suggerire una nuova impostazione di vita e nuovi contenuti. Esperienze che siano opportunità concrete di carità, di servizio gratuito, in particolare verso i bisognosi, perché dal solo “fare” si giunga alla comprensione delle motivazioni più profonde e autentiche dell’agire;
Vivere opportunità che si trasformino in esperienze forti, capaci di sollecitare a “salti di qualità” nel proprio cammino spirituale.
Questo quadro mi fa comprendere che ai bisogni dell’uomo io devo rispondere con il dono di me stesso, della mia vita. L’altro che mi interpella e mi “provoca” diventa allora chiamata di Dio alla mia vita; è il suo sguardo, è la mia risposta a “Lui”, è la sua misericordia, dono per tutti.