La vita. Nata a Forlì nel 1943, Annalena Tonelli lasciò l'Italia nel 1969, con in tasca una laurea in legge e alle spalle "sei anni di servizio ai poveri in uno dei bassifondi della mia città natale, ai bambini del locale brefotrofio, alle bambine con handicap mentale e vittime di grossi traumi di una casa famiglia, ai poveri del Terzo mondo grazie alle attività del Comitato per la lotta contro la fame nel mondo (nato nel 1963 grazie al suo impegno, ndr)", racconta nel 2001, in una testimonianza nel corso del simposio su "Il volontariato cattolico in sanità", organizzato in Vaticano dal Pontificio consiglio per la pastorale della salute.
Una delle poche occasioni in cui l'opera di Annalena uscì allo scoperto. "Partii decisa a gridare il Vangelo con la vita sulla scia di Charles de Foucauld, che aveva infiammato la mia esistenza. Trentatré anni dopo grido il Vangelo con la mia sola vita e brucio dal desiderio di continuare a gridarlo così fino alla fine". Una vocazione maturata in tenera età: "Scelsi di essere per gli altri: i poveri, i sofferenti, gli abbandonati, i non amati che ero una bambina e così sono stata e continuo ad essere fino alla fine della mia vita. Volevo seguire solo Gesù Cristo. Null'altro m'interessava così fortemente: lui e i poveri in lui".
Missionaria laica. Laica per tutta la vita, senza una famiglia né un'organizzazione alle spalle, Annalena raggiunse il Kenya, dove visse per 17 anni, prima impegnata con disabili motori e psichici, poi, dal 1976, responsabile di un progetto pilota dell'Organizzazione mondiale della sanità per la cura della tubercolosi in mezzo ai nomadi. "Vivo a servizio senza un nome, senza la sicurezza di un ordine religioso, senza appartenere a nessuna organizzazione, senza uno stipendio, senza un salario, senza versamento di contributi volontari per quando sarò vecchia. Sono non sposata, perché così scelsi nella gioia quando ero giovane. Volevo essere tutta per Dio". Non fu facile l'inizio della sua opera in Africa. "Tutto mi era contro allora – ricorda –. Ero giovane (...), bianca (...), cristiana (...). E poi non ero sposata, un assurdo in quel mondo in cui il celibato non esiste e non è un valore per nessuno, anzi è un non valore".
Abbandonarsi a Dio. Dai nomadi del deserto imparò la precarietà, consapevole di poter perdere tutto da un momento all'altro e dover ricominciare daccapo. "Loro mi hanno insegnato la fede, l'abbandono incondizionato, la resa a Dio, una resa che non ha nulla di fatalistico, una resa rocciosa e arroccata in Dio, una resa che è fiducia e amore. I miei nomadi del deserto mi hanno insegnato a tutto fare, tutto incominciare, tutto operare nel nome di Dio". Difatti, nel 1987, lasciato il Kenya, si spostò in Somalia, dove continuò a occuparsi dei malati di tubercolosi, "la gente più abbandonata, più respinta, più rifiutata in quel mondo".
Fu una permanenza travagliata: dovette abbandonare il Paese una prima volta tra il 1990 e il '91; fuggì poi una seconda volta, salvata da un'esecuzione, finché nel 1996 approdò nel Somaliland, a Borama, dove fondò un ospedale con 250 letti per malati di tubercolosi e di Aids, e una scuola per bambini sordi e disabili. La popolazione è totalmente musulmana: "Non c'è nessun cristiano con cui io possa condividere – afferma al simposio –. Due volte l'anno, intorno a Natale e intorno a Pasqua, il vescovo di Djibouti viene a dire la messa per me e con me". La popolazione prega perché Annalena si converta all'islam: "Me ne parlano spesso con delicatezza, ma aggiungono sempre che Dio sa e io andrò in paradiso anche se rimarrò cristiana".
Chiamata all'amore. Il rispetto e l'amore della comunità locale non le risparmiano tuttavia il martirio. Minacciata per la sua testimonianza e la sua opera, il 5 ottobre 2003 due sicari le sparano alla testa mentre sta rientrando. Attorno al suo corpo si forma un cerchio di persone, per proteggerla. La portano in ospedale, ma la ferita è troppo grave e dopo poco Annalena muore. "Sento fortemente che noi tutti siamo chiamati all'amore, dunque alla santità... Certo, dobbiamo liberarci di tanta zavorra. Ma ci sono metodi pratici, sono strade, ci sono indicazioni chiare, c'è Dio nella celletta della nostra anima che ci chiama. Tuttavia la sua è una piccola, silenziosa voce".
Ed è questa voce che la spinge verso i più poveri. "Impazzisco, perdo la testa per i brandelli di umanità ferita: più sono feriti, più sono maltrattati, disprezzati, senza voce, di nessun conto agli occhi del mondo, più io li amo. E questo amore è tenerezza, comprensione, tolleranza, assenza di paura, audacia. Questo non è un merito, è un'esigenza della mia natura. Ma è certo che in loro io vedo Cristo, l'agnello di Dio che patisce nella sua carne i peccati del mondo, che se li carica sulle spalle, che soffre, ma con tanto amore..., nessuno è al di fuori dell'amore di Dio". |