La fede nella quotidianità. Un giorno, essendo vicina l'estate, i colleghi parlavano delle vacanze dicendo: "Quest'anno devo mettere una vela in più sulla barca", "Io invece voglio cambiare località", "Io voglio comprare un motoscafo", Vittorio operava e ascoltava, poi dice: "Ragazzi, domani non vengo in ospedale, non mettetemi malati in lista per operarli". "Vitto'... che devi fare?". "Vado dal giudice". "Dal giudice? A fare che?". "Vado a prendere un altro bambino in affido". In sala operatoria si fa silenzio. Vittorio alza la testa e dice "Io e mia moglie ci divertiamo così, non vi preoccupate ragazzi". Il protagonista di questo episodio è Vittorio Trancanelli, il medico perugino che la diocesi di Perugia–Città della Pieve propone come testimone della fede al convegno ecclesiale di Verona. Vittorio è morto a soli 54 anni il 24 giugno del 1998. Ha vissuto la sua fede nella quotidianità della vita. Nel suo lavoro, nella famiglia, nella sua passione per la Bibbia e per l'ebraismo.
La vita. Vittorio è figlio di Saverio Trancanelli e Caterina Sedeucic, rifugiati a Spello (lì nasce il 26 aprile 1944) a causa della guerra. La famiglia si trasferisce a Petrignano di Assisi, dove Vittorio vive fino al matrimonio con Lia. Si fidanza con lei a 21 anni, si laurea in medicina, si sposano il 18 ottobre 1970 e vanno a vivere a Perugia. "Quando Vittorio e io eravamo fidanzati pensavamo già ad un matrimonio cristiano, volevamo vivere con il Signore e anche fondare la nostra vita su di Lui che è la Roccia. Ci sembrava un sogno ma piano piano con la lettura e la meditazione della Parola di Dio potevamo realizzarlo". Sono le parole di Lia. Con lei Vittorio ha condiviso ogni scelta formando una coppia veramente speciale per la sintonia spirituale e il legame affettivo.
Nel 1976, un mese prima della nascita del primo figlio Vittorio si ammala gravemente. Da una colite ulcerosa trasformatasi in peritonite gravissima uscì vivo per puro miracolo di Dio che ha accolto le suppliche di una moglie in attesa e di tanta gente che pregava per lui. Da quell'operazione rimane segnato per la vita portando una ileostomia fino alla fine, sopportando disagio e dolore che confidava solo alla moglie. "Dopo la nascita di Diego - continua Lia -, decidemmo di mettere in pratica il vangelo (Mt 18,5) Chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio accoglie me".
Arrivarono così i primi due figli adottivi, cui ne seguiranno altri e altri in affido. La loro esperienza di coppia si allarga in un progetto condiviso con altri: accogliere famiglie e persone, in particolare bambini, in stato di bisogno. Nasce l'associazione "Alle querce di Mamre", che prende il nome dal luogo in cui Abramo ospitando nella sua tenda degli stranieri accoglie Dio. Vittorio sceglie quel nome perché esprime esattamente ciò che vuol fare. Accogliere Dio, scrisse con altri cinque amici che condividevano il progetto, "quel Dio che scopriamo proprio nella comunione con gli altri fratelli, nella logica del quotidiano, nella dimensione cristiana del vivere quotidiano, possibile a tutti".
Sul lavoro. Con questo stile del quotidiano Vittorio vive anche il suo lavoro. Diventa specialista di endoscopia digestiva e gastroenterologica e consegue l'idoneità a primario di Chirurgia generale. Lavora al di là delle sue forze trascurando persino la cura del suo corpo. Un giorno, a fine turno, ha un rapido scambio di vedute con il primario anestesista. Vittorio non vuole rimandare in camera una signora che aspettava il suo momento fin dal mattino. Il primario si rifiuta dicendo "il primario sono io e decido io, se non la smetti non addormenterò più i tuoi pazienti e opererai solo le urgenze". Vittorio lo guarda negli occhi e risponde "Io non temo lei, ma temo il Signore Dio mio e Dio tuo", e se ne va'. Il giorno dopo l'anestesista lo cerca per chiedergli scusa, dicendo che era stato un egoista.
Il "rabbino". Prima di operare una paziente di religione ebraica ha recitato con lei lo Shemà Israel. Era, infatti, cultore della fede di Israele, passione che gli era nata da giovane, quando aveva intuito che per conoscere bene Gesù, la sua personalità, il suo modo di essere e di pensare, era importante ricordare che Gesù era un ebreo osservante. Dall'amore a Gesù di Nazareth era nata in lui la sete di conoscere la linguA e le scritture ebraiche, i commenti, la tradizione, le feste.
Al Centro ecumenico San Martino che frequentava regolarmente era diventato "il nostro rabbino". Ai suoi funerali, celebrati dall'arcivescovo di Perugia–Città della Pieve mons. Giuseppe Chiaretti, in cattedrale c'era una città a rendergli omaggio, accanto alla moglie e ai figli: il figlio naturale, Guido, e i suoi fratelli adottati e in affido. Sulla sua bara ricoperta dal Tallit, il manto di preghiera degli ebrei, c'erano la Bibbia e la Croce.
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