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IV CONVEGNO ECCLESIALE NAZIONALE "Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo"
 Il Convegno - Testimoni del 900 - Marcello CANDIA 
Marcello CANDIA   versione testuale




I 16 TESTIMONI
Lombardia: Marcello Candia

La vita. "Non si può condividere il Pane del Cielo, se non si condivide il pane della terra". Questo convincimento, scritto sul muro della propria abitazione, ha guidato Marcello Candia nella missione a fianco dei poveri del Brasile, per i quali ha speso gli ultimi vent'anni di vita. Nato a Portici (Napoli) il 27 luglio 1916, Candia, terzo di cinque fratelli, è figlio di Camillo, un facoltoso industriale di Milano, fondatore della prima "Fabbrica italiana di acido carbonico" e di Luigia (Bice) Mussato. Da questa donna, morta a soli 42 anni nel 1933, il giovane Marcello eredita una fede semplice ma solida e impara il valore della solidarietà verso i più bisognosi. Un insegnamento che metterà in pratica tutta la vita.

Laureatosi, a 23 anni, in Chimica a Pavia, consegue anche la laurea in Farmacia e, successivamente, quella in Biologia, prima di aderire alla Resistenza, dopo l'8 settembre 1943. A guerra finita, con i Cappuccini del convento di viale Piave, organizza a Milano l'assistenza ai soldati rimpatriati, mentre a Palazzo Soriani fonda il "Villaggio della madre e del fanciullo", per l'accoglienza di un centinaio di ragazze madri. Il Brasile lo incontra nel 1950, attraverso due missionari: padre Alberto Beretta, impegnato a fondare un ospedale nel Nord Est del Paese e padre Aristide Pirovano, futuro vescovo, che chiede aiuti per una missione a Macapà, uno sperduto villaggio alla foce del Rio delle Amazzoni. Lo stesso anno, però, muore papà Camillo e, quindi, tutto il peso della conduzione dell'azienda di famiglia passa sulle spalle di Marcello, che è così costretto a rimandare il proprio sogno missionario.

Un progetto che si avvera soltanto nel 1965, quando, dopo aver venduta la fabbrica, tra l'incredulità e l'incomprensione generale, si trasferisce definitivamente a Macapà. I buoni propositi si devono però scontrare con la fragilità del fisico. Nel 1967 subisce il primo dei cinque infarti che il suo cuore, generoso ma debole, dovrà sopportare e che lo porteranno in sala operatoria per il delicato intervento di inserimento di ben tre by-pass. A chi gli raccomandava di riposarsi, ecco che cosa rispondeva: "Siccome bisogna sempre restare giovani, io penso che il modo migliore sia quello di rispondere sempre alle chiamate del Signore: perciò in tutto ciò che il Signore mi fa incontrare sul mio cammino e mi ispira ad attuare, io mi ci butto dentro".

Il pensiero. Abituato a ripetere "chi ha molto ricevuto deve dare molto", Marcello Candia si dedica anima e corpo ai diseredati del Brasile, avviando numerose opere, oggi gestire dalla Fondazione che porta il suo nome e che lui stesso ha voluto, poco prima di morire, per un tumore devastante della pelle, il 31 agosto 1983, a Milano. Tra queste realizzazioni, la più "famosa" è il lebbrosario di Marituba, visitato nel 1980 da Giovanni Paolo II che, per l'occasione chiese espressamente di incontrare "Marcello dei lebbrosi".

Ecco, in una lettera agli amici del 21 maggio 1977, come Candia descrive questo luogo di sofferenza: "Trovandomi (...) immerso in una realtà estremamente dolorosa e disumana, spesse volte, pregando il Signore per i miei fratelli, mi vien fatto di aggiungere subito: 'Signore, fa che io sia sincero quando li chiamo fratelli'. Sul piano umano sarei certamente molto demoralizzato e non saprei come continuare l'opera. Solamente la fiducia in Dio mi dà la forza di non abbandonare il posto. Per poter far questo, insieme con tutte le altre persone che con me a Macapà e a Marituba sono impegnate e mi sono tanto d'esempio, abbiamo proprio bisogno del vostro appoggio ideale, della vostra convinzione e della vostra preghiera".

Hanno detto di lui. Proprio la preghiera è stato l'alimento quotidiano che ha dato a Candia la forza di superare la malattia e proseguire nella sua opera di carità. Questo aspetto è stato sottolineato anche dal cardinale Carlo Maria Martini, nel 2003, in occasione delle celebrazioni per il ventesimo della morte. "Egli – scriveva ai responsabili della Fondazione Candia, l'arcivescovo emerito di Milano, che il 12 gennaio 1991 aprì il processo diocesano per la causa di canonizzazione, solennemente concluso l'8 febbraio 1994 – aveva grande fiducia nella grazia di Dio e nella preghiera e in tutti coloro che pregavano per lui e le sue opere".

Vedendo in lui i tratti del "cristiano autentico" e dello "spirito libero", il cardinale così continuava: "Nella sua vita non tutto era facile o veniva come da sé. Aveva anch'egli bisogno, come tutti noi, di conforto, di incoraggiamento, di consiglio, ma sapeva chiederlo e riceverlo con umiltà. Per questo la sua figura, se da una parte suscita in noi sorpresa e meraviglia, dall'altra la sentiamo molto vicina alle nostre fatiche e alle nostre debolezze". Dal 6 aprile 2006, il Servo di Dio Marcello Candia, inizialmente sepolto nel cimitero di Chiaravalle, riposa nella chiesa degli Angeli Custodi di Milano, parrocchia che tanto amava e frequentava con assiduità.




 
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