La «necessità di impegnarsi perché lo sport contribuisca a recare un valido e fecondo apporto alla pacifica coesistenza di tutti i popoli, escludendo ogni discriminazione di razza, di lingua, e di religione. […] discriminare può essere sinonimo di disprezzare. La discriminazione è un disprezzo […] “no” a ogni discriminazione» (Francesco, Discorso, 1° settembre 2014). Sono le parole di papa Francesco in occasione di un incontro sportivo interreligioso per la pace. Un invito ad abbattere ogni barriera, ogni forma di esclusione presente nella società di oggi.
La sesta proposta cinematografica dell’Ufficio Nazionale per le Comunicazioni Sociali e della Commissione Nazionale Valutazione Film CEI, per approfondire il tema della 51a Giornata Mondiale delle Comunicazioni, è proprio su questo tema: il film Race. Il colore della vittoria (Race, 2016) di Stephen Hopkins.
Il mito di Jesse Owens rivive sul grande schermo
Rileggere la Storia per trovare vicende capaci di illuminare l’oggi, che aiutino a superare le incertezze di stagioni politiche e sociali. È questa una delle mission del cinema, come arte. Per riflettere sugli smarrimenti dell’uomo, sulle sue buie adesioni a volte verso forme di discriminazione razziale o religiosa, è utile il film Race. I colori della vittoria (Race, 2016) di Stephen Hopkins.
Race si ispira alla vera storia dell’atleta afroamericano Jasse Owens, un campione nella corsa e nel salto in lungo. Negli anni ’30 nello Stato dell’Ohio, negli USA, Jesse (Stephan James) si fa notare in ambito universitario per le sue doti atletiche, in particolare come velocista. Vince una gara dietro l’altra stabilendo continui record. Nel contempo Jesse diventa anche un’immagine positiva per la comunità afroamericana, nel percorso di riscatto sociale. Giunge poi la chiamata per le Olimpiadi di Berlino del 1936, disputate nonostante lo scandalo delle leggi razziali imposte dalla Germania. La delegazione USA alla fine partecipa ai Giochi olimpici e Jesse Owens conquista ben quattro medaglie d’oro – 100m piani, 200m piani, 4×100m e salto in lungo –, diventando un inno alla libertà.
Si tratta di un’opera celebrativa, il ricordo di un’eccellenza nello sport a “stelle e strisce”, cresciuto in un periodo fosco della storia del Paese, dove il colore della pelle era fortemente penalizzare l’avvenire. Come ne Il diritto di contare (Hidden Figures) di Ted Melfi – al cinema dall’8 marzo 2017 –, il film Race offre, con i toni edificanti ma anche un po’ zuccherosi, una bella parabola di riscatto e speranza; un racconto sviluppato in chiave educational.
Il regista Hopkins svolge un buon lavoro, confezionando un prodotto accessibile e avvincente, in grado di rivolgersi a un pubblico ampio, soprattutto familiare. A ben vedere, non imprime troppo realismo alla vicenda, consegnandoci l’immagine di Jesse Owens in maniera abbastanza piana, semplice. Il protagonista, infatti, ha sì delle cadute, compie degli errori, ma sostanzialmente è una figura positiva, pulita, che diviene subito esemplare.
Oltre al buon lavoro fatto dal regista e dal protagonista Stephan James, è da segnalare il contributo di altri bravi interpreti: Jason Sudeikis, Jeremy Irons, Carice van Houten e William Hurt.
Race è dunque un film valido, in grado di narrare una complessa vicenda della storia dell’uomo mantenendo la prospettiva della “buona notizia”, richiamando il Messaggio 2017 di papa Francesco. È un racconto che si fa esempio, che dona il coraggio di cimentarsi contro le barriere del vivere quotidiano, scommettendo su un domani migliore, diverso. Il film, poi, ci permette di ricordare un campione, un uomo, per molto tempo dimenticato dal grande e piccolo schermo, dalla società. Dal punto di vista pastorale, Race è da valutare come consigliabile, semplice, adatto certamente per dibattiti.
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