«Quante volte noi incontriamo un povero che ci viene incontro! Possiamo essere anche generosi, possiamo avere compassione, però di solito non lo tocchiamo. Gli offriamo la moneta, la buttiamo lì, ma evitiamo di toccare la mano. E dimentichiamo che quello è il corpo di Cristo! Gesù ci insegna a non avere timore di toccare il povero e l’escluso, perché Lui è in essi. Toccare il povero può purificarci dall’ipocrisia e renderci inquieti per la sua condizione» (Francesco, Udienza generale, 22 giugno 2016).
I poveri sono stati il primo pensiero di Jorge Mario Bergoglio appena eletto, il pensiero che lo ha condotto anche alla scelta del nome, appunto Francesco. E il Papa non smette mai di richiamare tutti all’incontro con l’altro, a “toccare” veramente il prossimo, soprattutto se escluso o ridotto in povertà. Su questo tema è la quinta proposta cinematografica dell’Ufficio Nazionale per le Comunicazioni Sociali e della Commissione Nazionale Valutazione Film CEI, per approfondire il tema della 51a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. Il film indicato è Gli invisibili (Time Out of Mind, 2014) di Oren Moverman.
Raccontare la povertà dalle periferie
Passato alla IX edizione della Festa del Cinema di Roma (2014) e proposto in sala nell’estate 2016, durante il Giubileo straordinario della misericordia – con una proiezione speciale con i senzatetto con il coinvolgimento della Comunità di Sant’Egidio e al Taormina Film Festival –, il film Gli invisibili (Time Out of Mind, 2014) di Oren Moverman affronta il dramma di un uomo caduto in povertà.
Protagonista è George (Richard Gere), che si aggira tra le strade di New York, trovando riparo in luoghi di fortuna. Di George non si sa molto: è un uomo sui cinquant’anni che ha perduto famiglia e lavoro. In realtà, George ha una figlia, Maggie (Jena Malone), che lavora in un bar; il rapporto tra di loro è irrisolto, segnato da distanze e fratture, ma si percepisce ancora la tenerezza di un legame. E sarà proprio Maggie, seppure giovane e graffiata dalla vita, a superare le resistenze e a tendere la mano al padre, per un abbraccio riconciliante. È l’inizio di una seconda possibilità.
Film asciutto e diretto, calato nelle periferie della città di New York. Vediamo sì i grattacieli, ma la prospettiva è quella dei vicoli in ombra della metropoli; lì vivono gli homeless, persone appunto “invisibili” agli occhi dei più, che passano la giornata cercando il minimo indispensabile per il sostentamento e spesso anche il conforto di una bottiglia, laddove non esistono altri legami a dare forza e tenerezza.
Da segnalare l’interpretazione riuscita di Richard Gere – brava anche Jena Malone –, attento e misurato nel ruolo di George, senza scivolare in pietismi o soluzioni mielose nel rapporto con la figlia. Gere veste George con rispetto e credibilità.
Moverman offre pertanto uno sguardo interessante sulla condizione dei senzatetto. Nonostante il film non sia pienamente riuscito, per alcune incertezze narrative – che lo portano a non approfondire adeguatamente situazioni e personaggi –, il risultato ha comunque una forza espressiva notevole. Gli invisibili funziona infatti bene perché cala la macchina da presa nelle zone d’ombra abitate dagli homeless, che vengono descritti attraverso differenti tonalità.
Uno sguardo dunque che si fa inclusivo, capace di trasportare lo spettatore accanto agli ultimi, dandogli modo di condividere sofferenze, privazioni ma anche il desiderio-speranza sempre possibile per un riscatto. George l’immagine di una rinascita, è la prova che la vita può ricominciare. Una possibilità di ritrovare il giusto posto nella società grazie al tessuto degli affetti, grazie al ruolo esercitato dalla famiglia. È lì, dalla famiglia, che tutto ha inizio e dove tutto torna.
Valutazione Pastorale Commissione Nazionale Valutazione Film
Il film è uscito in Italia in modo anomalo e inusuale. Trattandosi di una produzione targata 2014 (presentata in anteprima alla festa di Roma di quell'anno), si è reso necessario un lancio robusto e di forte attrazione. Così il 9 giugno 2016 il film è stato presentato nella mensa della Comunità di Sant'Egidio a una platea di homeless e alla presenza del protagonista stesso. Per cui la riflessione indotta era: Richard Gere, divo americano, uno di quelli che maggiormente impersonano lo star system hollywoodiano, è qui davanti a voi nel ruolo di uno di voi. L'attore, da parte sua, ha fatto di tutto per apparire nel film un senza tetto credibile, un reietto, un solitario uno degli ultimi della scala sociale, aiutato dalla regia di Overmann che ne accentuava l'isolamento e il realismo di fondo. Il copione però non è sempre nitido e impeccabile. E anche qui procede per paradossi e 'opposti'. Perché al cinema Gere ricorda lo spietato, brillante e generoso capitalista di Pretty Woman, mentre il film di oggi apre invece una finestra seria e profonda su un'America che è ben altro, il Paese della sofferenza, delle privazioni, della solitudine, una povertà diffusa e autentica. Ed è un richiamo che il film lancia e che non va sottovalutato. Un appello a ritrovare coesione, solidarietà, apertura verso l'altro. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come consigliabile, problematico e da affidare a dibattiti.
Le altre tappe del percorso