«Questa buona notizia che è Gesù stesso non è buona perché priva di sofferenza, ma perché anche la sofferenza è vissuta in un quadro più ampio, parte integrante del suo amore per il Padre e per l’umanità». È il richiamo alla “buona notizia” che papa Francesco compie nel Messaggio per la 51a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. Parole adatte alla terza proposta cinematografica La pazza gioia (2016) di Paolo Virzì, ritratto di esistenze afflitte da malattia che cercano di riacquistare serenità e comprensione nel mondo, desiderando di essere incluse e non emarginate. Il film è consigliato nell’ambito della proposta sviluppata dall’Ufficio Nazionale per le Comunicazioni Sociali e la Commissione Nazionale Valutazione Film CEI per approfondire il Messaggio del Papa.
La pazza gioia, vite in cerca di riscatto
Come Ho amici in Paradiso, film che ha inaugurato il ciclo della “buona notizia”, La pazza gioia di Paolo Virzì rientra a pieno titolo nell’approccio cinematografico alla malattia in chiave ironica. Il regista livornese porta lo spettatore a esplorare la malattia mentale con la chiave della leggerezza, senza rinunciare però a uno sguardo più profondo sulle condizioni dei malati e delle loro famiglie.
Toscana oggi, in una casa di cura per malati di mente due pazienti fanno immediatamente amicizia. Beatrice Morandini Valdirana (Valeria Bruni Tedeschi) è una donna estroversa e ciarliera, che ripete continuamente a tutti di essere una contessa, amante di uomini facoltosi; una donna del tutto insofferente alle regole del ricovero. Donatella Morelli (Micaela Ramazzotti) è l’esatto opposto, una persona semplice e fragile, segnata da un’esistenza irrequieta. L’occasione di una gita con il personale medico si rivelerà l’opportunità per lanciarsi in un’avventura, una fuga per riappropriarsi della vita, del mondo fuori. È l’incipit di un road movie frizzante, tra le cui righe emerge anche tutto il doloroso vissuto delle due. Un viaggio che si rivelerà di fatto rivelatore e riconciliante.
È un film riuscito La pazza gioia di Paolo Virzì, passato con successo alla 48ma Quinzaine des réalisateurs al 69mo Festival di Cannes e vincitore di 5 Nastri d’argento nel 2016. Un’opera che accosta con rispetto la malattia, ma sovverte la prospettiva di osservazione. Anzitutto si ride, e molto, insieme alle due protagoniste e al resto delle pazienti del ricovero. Non siamo però nello sberleffo o nel grottesco, bensì il regista con l’aiuto per la sceneggiatura di Francesca Archibugi si serve dell’ironia per andare a cogliere il vissuto problematico, le cicatrici che le donne portano nell’animo. Siamo davanti a esistenze rifiutate, messa da parte, perché ingombranti e difficili da gestire. Il film, dunque, ci permette di entrare in empatia con loro, di comprendere la loro condizione, il loro sguardo altro, senza esprimere giudizio ma provando solamente tenerezza e misericordia.
Lo stile di Paolo Virzì migliora con il tempo. Un autore importante nel panorama della commedia italiana contemporanea, che recupera anche le caratteristiche storiche del genere sulla scorta della lezione di Mario Monicelli e Dino Risi. "Volevamo – dice Virzì – che fosse una commedia, divertente ed umana, che ad un certo punto non avesse paura di tingersi di fiaba. Cercavamo tracce di allegria, di eccitazione vitale anche nel momento della costrizione e dell’internamento". Una risata densa di senso.
Valutazione Pastorale Commissione Nazionale Valutazione Film
La pazza gioia, un bel titolo, capace di coniugare i due momenti centrali della vicenda: lo stato di salute delle due protagoniste, e la loro coraggiosa voglia di venirne fuori, di migliorare, di essere positive. Le due donne, così diverse per carattere e indole, diventano imprevedibilmente amiche e, a poco a poco, provano a condividere speranze e aspettative. Fino ad approfittare di alcune situazioni favorevoli per organizzare una fuga dalla struttura. La fuga diventa la loro arma di difesa, il grimaldello per reagire alle avversità e mettere in scacco l'istituzione. Tra le due, Beatrice è quella più espansiva e aggressiva verso gli altri, ritrova persone del passato e tratta con loro con energia e vigore, quasi fregandosene delle conseguenze. Donatella è più introversa, la detenzione le ha fatto togliere il figlio che ama tantissimo e cerca di rivedere in tutti i modi. Piange spesso Donatella, di quel pianto che significa mancanza di affetti e di sentimenti sottratti a forza. È un film estremamente stratificato La pazza gioia. Lo sguardo del regista verso le due donne è schietto e vigoroso. La follia tinge le loro (dis)avventure con una partecipazione profonda. Si sta dalla parte di Beatrice per il suo essere indifesa di fronte alle sguaiate reazioni alla sua provocatoria frenesia. Si sta dalla parte di Donatella per il suo piegarsi alle circostanze avverse, per il sincero dolore dell'assenza del figlio, per il dolente incontro con un padre sfortunato ma generoso. Virzì (esordiente nel 1994 con La bella vita, titolo che si riallaccia curiosamente a questo nelle sfumature di senso), compone un'opera di notevole spessore narrativo che respira l'aria di una drammaturgia profonda e guarda alla follia come ostacolo arduo da superare eppure da accogliere e da aiutare. Mai da respingere. Film intenso e coraggioso, supportato da due intense protagoniste e che, dal punto di vista pastorale, è da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti.
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