Torna alla home
Cerca
 Home GMCS2017 - Per agire - Ho amici in Paradiso 
Ho amici in Paradiso   versione testuale

«Vorrei esortare tutti ad una comunicazione costruttiva che, nel rifiutare i pregiudizi verso l’altro, favorisca una cultura dell’incontro, grazie alla quale si possa imparare a guardare la realtà con consapevole fiducia». È quanto sottolinea papa Francesco nel Messaggio per la 51a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. L’Ufficio Nazionale per le Comunicazioni Sociali e la Commissione Nazionale Valutazione Film CEI hanno scelto come prima proposta cinematografica, nel ciclo di film pensato per approfondire il Messaggio del Papa, Ho amici in Paradiso (2016) di Fabrizio Maria Cortese (al cinema dal 2 febbraio), commedia delicata sulla malattia e la disabilità, che trova la sua ambientazione nel Centro Don Guanella di Roma.
 
Film su malattia e speranza
Ho amici in Paradiso presenta la storia di Felice Castriota (Fabrizio Ferracane), un pregiudicato costretto ai servizi sociali al Centro Don Guanella di Roma. Lì, sotto la guida di don Pino (Antonio Catania), Felice si occupa senza entusiasmo di persone con disabilità fisica e mentale. L’impatto è molto duro e nell’uomo non c’è alcuna volontà di aiutare il prossimo, tanto meno di iniziare un percorso di cambiamento. Ma sarà l’incontro con i disabili a spingerlo a osservare la realtà, la sua esistenza, in maniera diversa. Oltre all’influenza positiva di don Pino, poi, si aggiungerà anche la complicità con la psicologa Giulia (Valentina Cervi).
Il regista Fabrizio Maria Cortese ha trascorso un lungo periodo nel Centro Don Guanella di Roma, insieme al vero don Pino Venerito, direttore del Centro di riabilitazione, per individuare l’approccio giusto per un racconto sui disabili misurato e positivo, declinato con il registro della commedia. Cortese ha saputo coinvolgere i disabili nel progetto senza utilizzare la loro condizione in maniera ricattatoria; si è tenuto lontano dai toni mielosi o patetici.
Altro elemento valido della storia è il percorso compiuto da Felice. Il personaggio, che ha smarrito il senso del proprio vivere, conducendo una vita di facili espedienti nel solco dell’illegalità, si rimette nuovamente in gioco, tentando di riscattarsi dai propri errori; un riscatto che passa attraverso l’aiuto dell’altro, del prossimo.
Ho amici in Paradiso è quindi una storia che viaggia su due livelli: anzitutto mette a fuoco la disabilità fisica, quella dei malati, raccontandola nella sua complessità e offrendo anche sguardi positivi, fiduciosi; dall’altro lato, il film presenta la disabilità esistenziale, quella di Felice, un uomo in cerca di un posto nel mondo. Storie, dunque, che si tingono di una luce di speranza e fiducia, grazie anche a un sorriso.
 
Per approfondire
Sulla stessa linea di Ho amici in Paradiso sono da ricordare anche la commedia francese Quasi amici (Intouchables, 2011) di Eric Toledano e Olivier Nakache, gli statunitensi Il lato positivo (Silver Linings Playbook, 2012) di David O. Russell, dal romanzo di Matthew Quick, e Teneramente folle (Infinitely Polar Bear, 2015) della regista Maya Forbes. Ancora, le storie di taglio più adolescenziale: da Hollywood Colpa delle stelle (The Fault in Our Stars, 2014) di Josh Boone, dal libro di John Green, mentre dall’Italia Bianca come il latte, rossa come il sangue (2013) di Giacomo Campiotti, ispirato al best-seller di Alessandro D'Avenia, e la serie di Rai Uno Braccialetti rossi (2014-2016), tratta dal libro-esperienza dello spagnolo Albert Espinosa.
 
Valutazione Pastorale Commissione Nazionale Valutazione Film
«Personalmente – dice Fabrizio Maria Cortese – spero che questo film possa regalare un approccio positivo alla vita, partendo semplicemente dal lavorare con passione, con semplicità e professionalità. Questa è la storia del cambiamento di un uomo, di un percorso che si snoda attraverso l'amore, l'amicizia, il dialogo, la comprensione». Su queste premesse il regista ha costruito una storia che mette di fronte due situazioni del tutto antitetiche per farle prima scontrare, poi dialogare, infine per aprire la breccia di una reciproca comprensione. Va ricordato che Cortese frequenta da oltre due anni il Centro Don Guanella di Roma, ha imparato a confrontarsi con l'handicap e a trattarlo in modo da evitare toni consolatori e segnati da facili pietismi. Anzi, al contrario la chiave narrativa scelta è quella che fonde la realtà cruda e ostica del contesto con le suggestioni della fiaba, alla quale rimanda la scelta del teatro come forma immediata di socializzazione e di condivisione dei problemi: una sorta di 'teatro terapeutico' che magari non è un'idea nuovissima (in molte strutture ecclesiali – l'oratorio – si fa da tempo ricorso alla messa in scena per incoraggiare ragazzi e ragazze a superare paure, timidezze, forme di chiusura personali) ma qui appare coerente e motivata dalla caparbietà e dalla volontà dei protagonisti che ci mettono impegno, caparbietà, voglia di progredire. In tale ottica risultano particolarmente azzeccati sia il ritratto di Felice Castriota, il commercialista chiamato a 'redimersi', sia quello dei pazienti del Centro, quando decidono di recarsi in Puglia per raggiungere l'amico rapito. Si respira qui un'aria di favola bella e profonda, e piace che il racconto proceda verso un finale di cordiale vivacità all'insegna di sorriso e soddisfazione. Un lieto fine, si potrebbe dire, perché è giusto che un film animato da tanti buoni propositi corra lungo una conclusione che lascia la mente aperta e il cuore gonfio di belle attese e speranze. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti.
 

Le altre tappe del percorso