Comunico, quindi ascolto
Ma che c’entra la misericordia con la comunicazione? Eppure il Papa nel suo messaggio per la Giornata delle comunicazioni sociali, che si si celebra oggi, indica la via per un loro incontro «fecondo». Se si scorrono i manuali universitari, la maggior parte degli studiosi utilizza un concetto di comunicazione di origine economica, per cui il fine essenziale della comunicazione è la sua 'efficacia' o il suo 'successo', che coincide con il perseguimento degli obiettivi dell’emittente, ovvero di colui che normalmente ha più potere nella relazione comunicativa. Francesco è cosciente che per alcuni (per molti?) una visione delle relazioni sociali, e quindi anche della comunicazione, radicata nella misericordia appaia idealistica o eccessivamente indulgente. Buona insomma per i discorsi edificanti dei preti. Per questo stabilisce un altro punto di vista, un altro paradigma.
Il Papa assume come riferimento fondamentale della comunicazione, di ogni forma della comunicazione, la relazione familiare e la sua specifica forma di comunicazione, ispirata in primo luogo dalla attenzione all’essere dell’altro e non alle sue capacità di prestazione o ai suoi ruoli. «I [nostri] genitori ci hanno amato e apprezzato per quello che siamo più che per le nostre capacità e i nostri successi. I genitori naturalmente vogliono il meglio per i loro figli, ma il loro amore non è mai condizionato dal raggiungimento degli obiettivi. La casa paterna – il riferimento è alla parabola del padre misericordioso – è il luogo dove sei sempre accolto». E ascoltato. Nella visione antropologica del Papa, la famiglia è il modello a cui ispirare tutte le relazioni comunicative, anche quelle con le persona più estranee e diverse da noi.
In ciò in realtà si esprime la sua natura più profonda. Trattando delle funzioni originarie della comunicazione, il grande antropologo Bronislaw Malinowski ha osservato che essa risponde alla «tendenza fondamentale che rende necessaria per l’uomo la presenza altrui », per cui «la rottura del silenzio, la comunione delle parole è il primo atto per stabilire quei vincoli di amicizia che si consolidano durevolmente solo con la rottura del pane e con la comunione del cibo». Nella sua struttura originaria, la comunicazione non è dunque segnata dal problema dell’efficacia, ma dal bisogno di instaurare legami di comprensione e solidarietà con l’altro. La comunicazione, ricorda infatti Francesco, ha «il potere di creare ponti, di favorire l’incontro e l’inclusione». Scegliendo con cura parole e gesti è possibile «superare le incomprensioni, guarire la memoria ferita e costruire pace e armonia».
Finché gli uomini si parlano, essi lasciano aperta la possibilità della comprensione e dell’intesa. È ciò che ha notato anche Walter Ong, gesuita, probabilmente il più grande studioso del ruolo della parola parlata e scritta nel processo di civilizzazione umana: «Per quanto possa essere coinvolta in correnti di ostilità, la parola non potrà mai essere trasformata totalmente in uno strumento di guerra. Fino a quando due persone continuano a parlarsi, queste persone, a dispetto di se stesse, non sono del tutto nemiche». La misericordia – insiste il Papa – è una cifra della relazione comunicativa che vale in tutte le relazioni. Vale dunque per le relazioni faccia a faccia, ma vale anche per le relazioni on line, che sono anch’esse 'reali' poiché dove due uomini si incontrano e mettono in comune anche un solo accento della loro umanità, quello è un luogo umano. Quindi «anche e-mail, sms, reti sociali, chat possono essere forme di comunicazione pienamente umane. Non è la tecnologia che determina se la comunicazione è autentica o meno, ma il cuore dell’uomo e la capacità di usare bene i mezzi a sua disposizione». Lo stesso approccio vale anche nelle relazioni comunicative che caratterizzano il discorso politico e i rapporti tra gli Stati. Anche qui linguaggio e comunicazione dovrebbero lasciarsi «ispirare dalla misericordia, che nulla dà mai per perduto». Nelle piazze politiche e mediatiche bisogna essere «vigilanti sul modo di esprimersi nei riguardi di chi pensa o agisce diversamente, e anche di chi può aver sbagliato», perché «è facile cedere alla tentazione di sfruttare simili situazioni per alimentare le fiamme della sfiducia, della paura, dell’odio». In tutte queste diversissime situazioni comunicative, la logica deve essere quella della pazienza della parola e della pazienza dell’ascolto, che sono le due metà inseparabili della stessa realtà della comunicazione umana. La prima si esprime nell’attenzione a «ciò che diciamo e come lo diciamo», la seconda «nell’essere capaci di condividere domande e dubbi, di percorrere un cammino fianco a fianco».
Se questo richiamo vale per ogni persona, gruppo e istituzione, vale soprattutto per quella realtà sociale sui generis che è il popolo cristiano. Alla Chiesa, con parole accorate, il Papa chiede di vivere la «mite misericordia» di Cristo. E di adottare quella «misura» che è impegno «di annunciare la verità e di condannare l’ingiustizia», ma sempre «con amore» E ciò che dice anche il grande poeta Thomas S. Eliot, quando la descrive come la «straniera», perché ferma sui princìpi, quando si tratta di prendere posizione sul vero e il giusto, ma tenera nel rapportarsi alla fragilità umana. Che è di tutti noi.
Guido Gili