Da un altro punto di vista
La Chiesa “ha la responsabilità di narrare in parole e opere, in atteggiamenti e forme di vita, il volto misericordioso di Dio in Cristo”. Lo ha ribadito monsignor Dario Edoardo Viganò, Prefetto della Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede, per il quale occorre “apprendere da Gesù a declinare la misericordia in parole di speranza e di vita e in gesti coinvolgenti, lasciandosi toccare dalle vicende dell’umano e sapendo, come più volte ricorda Papa Francesco, toccare la carne degli ultimi”. Intervenendo alla conferenza stampa di presentazione del Messaggio per la 50ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, monsignor Viganò ha ricordato che “la Chiesa che siamo chiamati a essere non può che vivere secondo le parole di Gesù, che annunciano una misericordia che soprassa ogni legge, e non può che specchiarsi nella prassi di Gesù per assumere i suoi sentimenti, atteggiamenti e comportamenti”.
Del resto, ha aggiunto da parte sua Marinella Perroni, docente al Pontificio Ateneo Sant’Anselmo, solo “quando la comunicazione passa attraverso il ‘cuore’, quando è impastata a sapienza del vivere e sapienza della vita, diviene ministero della misericordia”.
Ed ecco allora che “il nostro compito, a proposito di comunicazione con le immagini, è quello di capovolgere la visione, il modo stesso di vedere le cose”, ha osservato Paolo Ruffini, direttore di TV2000. “La sfida di una comunicazione televisiva fondata sulla misericordia – ha spiegato - sta nella capacità di vedere al di là dell’apparenza, che è cosa diversa dal mostrare; sta in un modo diverso di guardare alle cose, e ancora di più alle persone: capirle”. Si tratta di “cambiare totalmente la prospettiva”, cioè di “reagire al dualismo feroce del web (mi piace, non piace- amico-nemico, ti scrivo-ti cancello), che riduce la vita ad un gioco (game on game over), grazie alla comprensione di uno sguardo, all’inclusione di uno sguardo, alla creazione di una insiemità, di una rete di sguardi”. Ma anche di “passare da una tv dello scontro, che brandisce le identità come corpi contundenti, ad una tv dell’incontro, del dialogo”, da una tv “che si esalta nel brivido della violenza, anche solo verbale, costruita in arene sempre meno virtuali, ad una tv fondata sulla carezza di uno sguardo misericordioso, capace di farsi carico dell’altro”.