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Rivoltella: come abitare il digitale'   versione testuale







La formazione al tempo dei social network. Su questo parlerà Pier Cesare Rivoltella, docente e direttore del Centro di ricerca per l’educazione ai media, all’informazione e alla tecnologia (Cremit) dell’Università Cattolica, al convegno “Abitanti digitali”, che si terrà a Macerata dal 19 al 21 maggio per iniziativa dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali e del Servizio informatico della Cei. Al SIR anticipa alcune riflessioni.
 
 
I social network hanno un ruolo educativo o diseducativo oppure – come dicono alcuni – sono meri strumenti, neutri dal punto di vista valoriale?
“Credo poco alla tesi weberiana della neutralità dello strumento rispetto al valore: strumenti neutri, a mio parere, non esistono. Come tutti i media, seppur a livello informale, svolgono una funzione educativa, di formazione dei comportamenti e dei valori. Non è però detto che questi siano sempre pedagogicamente corretti o condivisibili”.
 
In una società in cui si parla dei giovani come “nativi digitali” a differenza degli adulti, in che modo educare gli “abitanti digitali”?
“Non pensiamo ai giovani come a una generazione ‘mutante’: sono assolutamente normali. Sì, all’interno della loro vita la tecnologia della comunicazione mediata ha un posto che prima non aveva, ma questo non altera l’identità. È evidente che nella misura in cui i media sociali occupano una parte preponderante della vita individuale e sociale dei soggetti, l’adulto ha il compito d’intervenire, conscio però che lui stesso è coinvolto in questa dinamica. Se si prestano queste due attenzioni – considerare i ragazzi normali ed essere consapevoli di condividere i problemi rispetto a questi media – l’adulto può farsi compagno di strada del più giovane, aprendo tavoli dialogici, discutendo insieme dei problemi per essere incisivo sul piano educativo”.
 
Bisogna, prima di tutto, educare gli adulti a queste nuove tecnologie?
“Non c’è dubbio, ma non si può generalizzare per fasce d’età. Ci sono ragazzini che non hanno mai toccato un videogioco e adulti che hanno avuto il loro primo pc nel 1986. Premesso ciò, occorrono interventi mirati sui singoli segmenti. Ci sono consumatori – siano essi ragazzi o adulti – eccessivi perché le tecnologie tolgono spazio e tempo ad altre attività? Occorre suscitare in loro una riflessione su come utilizzano questi strumenti, su come liberare spazi e tempi per diventare consumatori più liberi e consapevoli. Se invece stiamo parlando di soggetti con scarsa dimestichezza, o con una conoscenza solo tecnica e non culturale, allora serve un lavoro di training, di formazione per sviluppare comportamenti di consumo culturalmente più attenti. Infine c’è un segmento più basso: coloro che non sono ancora alfabetizzati a queste tecnologie. In tal caso si tratta di favorire la loro conoscenza e la prima frequentazione”.
 
Come educare a un uso corretto dei social network?
“Servono alcune attenzioni specifiche. Ad esempio, distinguere tra spazio pubblico e privato. Il ragazzino, ma anche l’adulto con scarsa dimestichezza, scrive sulla bacheca di Facebook pensando di rivolgersi ai suoi amici, mentre pubblica un messaggio che non sarà più in grado di controllare. Poi, costruire la propria identità all’interno del social network, anche attraverso l’interazione sociale con gli altri soggetti in rete. Pensiamo al contenuto dell’amicizia: cosa significa avere 1.400 amici? Che differenza c’è tra contatto e amico? C’è un galateo, un codice di comportamento sociale nuovo sul quale interrogarsi e rispetto al quale essere presenti dal punto di vista educativo, poiché questi spazi d’interazione mediata fanno parte integrante delle nostre relazioni sociali”.
 
Questo convegno si colloca in una serie di appuntamenti della Chiesa italiana per interrogarsi su come trasmettere un messaggio, che è anche annuncio di fede, nell’epoca delle nuove tecnologie. È una questione di linguaggio o non solo?
“Il linguaggio è un mediatore culturale potentissimo: nella misura in cui il linguaggio dei media digitali è diventato importante, la Chiesa fa sicuramente bene a interrogarsi su di esso in termini pastorali. A maggior ragione dal momento in cui i media digitali non sono soltanto un linguaggio, ma ambienti, spazi, contesti d’interazione, luoghi all’interno dei quali le persone entrano in relazione. Non si tratta solo di nuovi linguaggi, ma nuovi spazi all’interno dei quali il sacerdote, il catechista, l’operatore pastorale devono imparare a stare, perché lì s’incontrano le persone, lì si costruiscono significati e il tema religioso non può essere estraneo”.
 
Il Vaticano organizzerà prossimamente un incontro di bloggers. Che ne pensa?
“La blogosfera è lo spazio più anarchicamente stimolante che esista nella rete: lì si muovono le idee che coinvolgono le persone. È interessante che la Chiesa si affacci su questo versante, con tutte le sfide che ciò comporta, perché è una prospettiva molto diversa da quella della Chiesa pensata come Magistero: teologicamente ed ecclesialmente parlando si prospetta una bella dialettica, un dibattito interessantissimo e delicatissimo da affrontare”.