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Media, è in gioco la speranza

Sempre di più, di questi tempi, le notizie che ci vengono proposte dai mass media sono confezionate in modo da colpire la nostra attenzione. A tutti i costi.
Annunciate con un titolo a effetto, sono notizie che sembrano riguardarci tutti, coinvolgendo i nostri interessi e la nostra vita, anche se spesso non è vero. Sono notizie che vengono confezionate in forme spettacolari, allo scopo di suscitare la nostra curiosità.
Per la maggior parte si tratta di cattive notizie. Le cattive notizie infatti, più di quelle buone, sembrano raggiungere lo scopo di farci comprare il giornale, di tenerci incollati allo schermo, di costringerci a una ricerca su Google.
Non so, francamente, se tale sistema comunicativo a lungo andare sia davvero efficace.
Possiamo anzi dubitarne, dal momento che - ormai lo sappiamo - non è con queste notizie urlate che si vendono più giornali, o s'incrementa la pubblicità. A un certo punto finiamo per abituarci al peggio, e nulla più ci sorprende. Ma c'è ancora un altro aspetto, più pericoloso. Se infatti questo modo di comunicare non basta ad attirare l'attenzione, esso comunque annienta la nostra fiducia negli altri, colpisce al cuore la speranza che possiamo avere in un futuro, ci persuade che nulla potrà mai cambiare.
Nel suo messaggio per la 51esima Giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali (28 maggio), dedicato a «Comunicare speranza e fiducia nel nostro tempo», il Santo Padre riflette proprio su quest'ultimo aspetto. Parla del bisogno di «spezzare il circolo vizioso dell'angoscia» e di «arginare la spirale della paura, frutto dell'abitudine a fissare l'attenzione sulle cattive notizie». Rispetto a ciò è necessario rovesciare il sistema in cui «vale la logica che una buona notizia non fa presa e dunque non è una notizia». Va fatto non per sostenere un vuoto ottimismo ma per ridare senso al nostro comunicare.
Non c'è infatti vera comunicazione se non a partire da un'apertura di credito e di fiducia nei confronti di chi questa comunicazione la compie. Senza che ci si possa fidare degli altri non si possono prendere sul serio le loro parole. Ma questa fiducia e questo credito, a loro volta, si basano sulla credibilità di coloro che ci stanno dicendo qualcosa. Nel nostro caso, di coloro che danno la notizia, buona o cattiva che sia. E a sua volta la credibilità, che ci fa prendere sul serio ciò che essi dicono, si fonda sul riconoscimento di un'autenticità: l'autenticità delle loro parole, delle loro fonti, dell'impegno per il loro lavoro.
Se manca uno di questi elementi - fiducia, credibilità, autenticità - s'interrompe il circolo della vera comunicazione. Restano solo le parole in libertà di tanti talk show. Resta l'accavallarsi in rete di una serie d' informazioni più o meno valide che si susseguono e ci travolgono senza interessarci davvero. Ma le notizie disincarnate non ci prendono, non possono interessarci: neppure se vengono urlate. Non possono interessarci perché non impegnano l'essere umano. Non lo coinvolgono in ciò che crede, spera, ama.
Adriano Fabris

da Avvenire del 16 maggio 2017, pag. 26


Mercoledì 17 alle ore 18.30, Adriano Fabris sarà il protagonista in diretta online di "La comunicazione autentica", quarto webinar  dei cinque appuntamenti organizzati dai Webmaster Cattolici insieme all'Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali. Il terzo è disponibile in rete, per quanti non abbiano potuto partecipare in diretta all'incontro,