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Sully

«La speranza è la più umile delle virtù, perché rimane nascosta nelle pieghe della vita, ma è simile al lievito che fa fermentare tutta la pasta. Noi la alimentiamo leggendo sempre di nuovo la Buona Notizia, quel Vangelo che è stato “ristampato” in tantissime edizioni nelle vite dei santi, uomini e donne diventati icone dell’amore di Dio» (Francesco, Messaggio 51. Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2017).
Raccontare la speranza, l’orizzonte che si accende di fiducia, al cinema è possibile.
Nona proposta dell’Ufficio Nazionale per le Comunicazioni Sociali e dalla Commissione Nazionale Valutazione Film CEI per il ciclo dedicato alla 51a Giornata Mondiale delle Comunicazioni è Sully (2016) di Clint Eastwood, quando il coraggio di un uomo che diviene esempio e stimolo per la comunità.
 
Una storia di valore e speranza
Presentato in anteprima al 34. Torino Film Festival nel 2016, il più recente film di Clint Eastwood, Sully (2016), è tratto da una storia vera, prendendo le mosse dalla biografia "Highest Duty: My Search for What Really Matters" di Chesley Sullenberger e Jeffrey Zaslow.
New York 2009, il 15 gennaio il volo US Airways 1549 con 155 passeggeri a bordo lascia l’aeroporto La Guardia in direzione Charlotte (Carolina del Nord). Alla guida del velivolo c’è il capitano Chesley Sullenberger detto Sully. Improvvisamente i motori vanno in panne per lo scontro con uno stormo di uccelli. Il capitano in maniera ferma e lucida opta per un ammaraggio di emergenza nel cuore di New York, nel letto del fiume Hudson. Un vero e proprio miracolo, nessuna vittima e tutti incredibilmente salvi. Dopo la gioia, arriva però un’indagine disciplinare sul comportamento del pilota, sulla discutibile scelta di ammaraggio.
Non smette di stupire Clint Eastwood. Parallelamente a un lunga carriera come interprete di successo, Eastwood si è affermato come uno dei più importanti registi del panorama statunitense, capace di rinnovare continuamente la propria linea narrativa. Certamente le storie che lo attirano, sulle quali lavora con passione e rapidità, sono caratterizzate da figure intense e il più delle volte esemplari, come quelle di “Gran Torino” (2008) o “Invictus. L'invincibile” (2009). È il racconto di un’America che mostra un volto capace di cose belle e grandi nella ricerca della verità; il regista non si sottrae però dal mostrare anche le crepe di un tessuto sociale talvolta sfaldato.
In questo film troviamo il ritratto di un'altra figura edificante, appunto Sully, una persona che abita valorosamente il quotidiano e si prodiga per gli altri. Il film fotografa un momento particolare, in cui il protagonista Sully è chiamato a offrire tutto se stesso a tutela degli altri. Quello di Clint Eastwood è dunque il racconto di un gesto di coraggio, di un mettersi in gioco per il beneficio dell’altro, non volendo passare per un eroe.
Il regista si tiene lontano dal ritratto dell’eroe piatto, senza sfumature dell’umano. Qui Sully è un uomo di carne e di emozioni, che però non arretra dinanzi all’emergenza o alla paura. Non pensa due volte a quali conseguenze potrebbe avere sotto il profilo disciplinare, decidendo per l’ammaraggio senza consultarsi con le autorità competenti. Sully non vede altre soluzioni e sente il dovere, il compito di portare in salvo tutti i suoi passeggeri.
La regia di Eastwood è solida, ben calibrata, capace di muoversi con destrezza su una sceneggiatura ben scritta da Todd Komarnicki. Contribuisce in maniera significativa alla riuscita del film l’interpretazione di Tom Hanks, misurato e convincente. Nel cast, inoltre, troviamo Aaron Eckhart nei panni del copilota Jeff Skiles e Laura Linney nel ruolo di Lorraine Sullenberger, moglie del capitano.
 
Valutazione Pastorale Commissione Nazionale Valutazione Film
Sono in molti a pensare che dopo "Gran Torino" (2008), Clint Eastwood avrebbe potuto chiudere la carriera. Avrebbe lasciato una straordinaria testimonianza di lucidità etica e di concretezza narrativa, ma si sarebbe negato la possibilità di esplorare da vicino alcuni avvenimenti della recente storia americana, come ha fatto in "American Sniper" (2015) e, soprattutto, in questo "Sully", forse il vertice dell'autore nella messa a fuoco della mitologia americana. Eastwood ribadisce la propria fiducia nell'azione dell'individuo, nel suo intervento dettato da decisioni rapide e repentine fatte a favore degli altri e per una loro migliore salvaguardia. Adottando una linea narrativa che parte dalla condivisione di un fatto già avvenuto e concluso, il regista riesce a ribaltare la frase del "so come va a finire" in una proposta che mette in primo piano i due protagonisti e li ricolloca indietro, ricostruisce gli avvenimenti e li riporta alla loro inevitabile, naturale conclusione. Si tratta di una storia che ribadisce, se ancora fosse necessario, il primato della verità, che paga sempre e sempre viene premiata. La verità come valore morale che guida azioni e decisioni dell'uomo e della donna e li affida ad un racconto semplice, pulito, lineare, di invidiabile trasparenza. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come consigliabile e certamente realistico.
 


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