11 dicembre
III domenica di Avvento   versione testuale

Letture
Isaia 35,1-6a.8a.10  Ecco il vostro Dio, egli viene a salvarvi.
Salmo 145 Vieni, Signore, a salvarci.
Giacomo 5,7-10 Rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina.
Canto al Vangelo (Is 61,1) Lo Spirito del Signore è sopra di me, mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annunzio.
Vangelo Matteo 11,2-11 Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?
 
In breve: Vedere il bene che tutti ignorano
- La profezia apre lo sguardo a vedere il bene che tutti ignorano
- La profezia educa alla pazienza, all’ascesi dei tempi lunghi e lunghissimi
- il profeta vede tutto il movimento della storia
- il profeta, come con lo sguardo di Dio, vede i singoli passi dei singoli individui dispersi
- il profeta vede, per azione dello Spirito, gli inizi minimi
- il profeta vede, sempre grazie allo Spirito, i faticosi progressi
- Il punto di vista privilegiato è quello dei poveri
- Gesù non guarda dal punto di vista dei ricchi, dei potenti, dei dominatori del mondo
- perciò non guarda il successo immediato
- perciò non cerca l’annientamento del nemico, per conquistarne il potere
- guarda invece ai poveri, e al Regno che comincia da loro e in loro
 

A partire dai poveri


I primi passi
Quali sono i primi passi del Regno che viene? Dove possiamo riconoscere l’inizio? La domanda del Battista esprime bene la difficoltà del riconoscimento iniziale: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?» (Mt 11,2-3). L’agire di Gesù non sembra corrispondere alle attese che Giovanni aveva suscitate nel popolo: l’atteso sarebbe venuto “con la scure” per tagliare gli alberi infruttuosi, con la “pala” per ripulire dalle scorie, con il “fuoco” per bruciarle (Mt 3,10-12).
Ma il segno forte del Regno di Dio è davvero in qualcuno che fa piazza pulita? I primi passi devono essere necessariamente una grande purificazione, intesa come distruzione?

L’accoglienza degli scarti
La risposta di Gesù rovescia le attese, quelle di Giovanni come le nostre. Gesù non ha “fatto pulizia”, ma si è preso cura dei poveri. O meglio: il suo modo di riordinare le cose non è la punizione dei malvagi, ma la promozione di coloro che altrimenti sarebbero gli scarti della società. Non avviene un sanguinoso colpo di stato, ma la guarigione da ogni condizione inabilitante per gli esclusi della società del tempo. Invece di fare tabula rasa dei potenti, Gesù semplicemente li ignora: c’è qualcuno più importante di loro; per questi ultimi è venuto il Regno. La prima lettura, dal libro di Isaia, entra in corrispondenza con l’agire di Gesù: il tema della “vendetta” resta appena accennato (Is 35,4), in primo piano sta l’attenzione alle “mani fiacche” e “ginocchia vacillanti” (Is 35,3) e ai “ciechi” e “sordi”, insieme con lo “zoppo” e il “muto” (Is 35,5-6). La novità del vangelo non consiste nell’enunciare temi nuovi, ma in una nuova scala di valori, che non viene solo proclamata, ma anche attuata nei fatti: nella realtà del suo agire Gesù privilegia gli scarti rispetto ai ricchi e ai potenti. E quando si accosta ai “ricchi”, lo fa in ragione della loro fragilità.

Di fronte alle crisi attuali
La proposta di Gesù è di estrema attualità, e costituisce una grande provocazione anche per il nostro tempo. Quando pensiamo ai problemi del mondo, alle grandi crisi internazionali, l’approccio istintivo, quello che cavalcano anche i mezzi di comunicazione, è quello che parte da chi ha ricchezza e potere: perciò diciamo che devono essere i potenti a cambiare idea; che ci vogliono più fondi, più risorse; si dice che lo Stato deve intervenire, dare di più in un senso o in un altro. Ci si aspetta un cambiamento da chi possiede le leve del potere: dimenticando che inevitabilmente chi le detiene mette in atto ciò che è necessario a mantenerle saldamente in mano; se non lo facesse, sarebbe subito scalzato. Perciò Gesù non va in cerca di un potere personale e rovescia radicalmente il punto di partenza.

Il punto di vista dei poveri
Gesù, povero tra i poveri, non attira l’attenzione dei potenti. Non chiede fondi, non invoca risorse. Si limita a percorrere la Galilea, incontrando i poveri e risollevando la loro sorte: sia degli ammalati, sia dei peccatori, sia di chi è immerso nella miseria della disperazione. Egli non solo rivela, ma vive per primo in uno stile di vita che non ha bisogno di preoccuparsi per “il mangiare, il bere, il vestire” (Mt 6,25-34), le cose di cui “vanno in cerca i pagani”, nella loro avida idolatria del denaro. In tal modo egli corrode il potere del denaro.
Il Regno di Dio comincia già in Gesù, senza aspettare la conversione dei potenti: anzi, senza neppure il bisogno di combatterli. Soprattutto, senza il bisogno di scendere a compromessi con loro. Con ciò non si esclude la possibilità di un incontro: nei suoi percorsi di predicazione, Gesù incontra anche persone gravemente compromesse con il peccato e con l’oppressione: come il centurione che chiede la guarigione del servo (Mt 8,5), i pubblicani che si fermano a mangiare con lui. Essi però non vengono incontrati sul terreno del potere, ma su quello della fragilità: la malattia e il peccato li accostano ai poveri, destinati privilegiati dell’attenzione di Gesù.

Il punto di vista dei carcerati
Giovanni Battista è in carcere. La sua attesa ha una risposta, ma non il suo imprigionamento. Dal vangelo sappiamo che la venuta del Regno di Dio non ha comportato la sua liberazione (così come peraltro non ha comportato l’esclusione della croce di Gesù). Sullo sfondo dell’annuncio meraviglioso di un Regno che comincia dai poveri, si profila l’ombra dell’apparente vittoria delle forze malvagie. Lo stesso mistero di iniquità è all’opera anche nel mondo di oggi; il mistero del male, per cui il Battista è imprigionato e poi decapitato, per cui Gesù è stato crocifisso, per il quale i suoi discepoli sono sempre stati perseguitati, è in azione anche ai giorni nostri: ci saranno oppressi, imprigionati, morti tra chi è entrato a far parte del Regno.
Anche per noi dunque il punto di vista degli oppressi, la domanda di chi è perseguitato per la fede resta un pungolo permanente: siamo davvero dalla parte del Regno? O siamo slittati, quasi inconsapevolmente, dalla parte dell’iniquità?

La pazienza dello sguardo
La comunità profetica che si costituisce a partire da Gesù, incarnato, crocifisso, risorto, vive certamente nell’attesa trepidante dello Sposo, e prega che si affretti la sua venuta; ma nello stesso tempo è paziente nella sua attesa: una pazienza profetica, una pazienza caritatevole.
Lo sguardo illuminato dalla presenza del Regno, allenandosi, fortificandosi, lasciandosi sempre più accendere dalla luce dello Spirito, si allarga sempre di più. Oltrepassa le singole situazioni, per accedere a un colpo d’occhio globale. Si ridimensiona la fretta di distruggere, di punire, di vendicarsi. Si accetta la limitatezza delle prospettive: per quanto allenato, per quanto esercitato, il nostro sguardo non riuscirà mai a comprendere, ad avvolgere la totalità. Ci saranno sempre zone d’ombra che sfuggiranno alla nostra percezione. Perciò ci rallegriamo di vedere che il Regno comincia dai poveri e possiamo attendere con pazienza che a poco a poco sia illuminato anche ciò che sta nella tenebra: con la stessa lentezza dell’alba che cresce. Ma anche con la stessa inesorabile certezza.

La pazienza della crescita
Lo sguardo profetico, comunicato da Gesù, vede gli inizi; vede il sorgere anche minimo dei primi germogli; vede la fatica che affrontano per arrivare a fiorire e portare frutto. Possiamo ripensare alla parabola del seminatore (Mt 13,1-13): tra la semina e il raccolto passano mesi e mesi; tra la semina e il raccolto della storia possono passare anche anni e anni; nel tempo della crescita il seme è fragile, esposto, la piantina è vulnerabile: tuttavia chi è reso esperto dallo Spirito vede già il raccolto, incluso nella semina, nei primi germogli; così può annunciarlo nella sua abbondanza finale.