1 gennaio
Maria SS. Madre di Dio   versione testuale

Letture
Numeri 6,22-27 Essi invocheranno il mio Nome, e io li benedirò.
Salmo 66 Dio abbia pietà di noi e ci benedica.
Galati 4,4-7 Dio mandò il suo Figlio, nato da donna.
Canto al Vangelo (cfr. Eb 1,1-2) Molte volte e in diversi modi nei tempi antichi Dio ha parlato ai padri per mezzo dei profeti; ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio.
Luca 2,16-21 I pastori trovarono Maria, Giuseppe e il bambino. Dopo otto giorni gli fu messo nome Gesù.
 
In breve: L’allargamento della benedizione
- Nelle letture, un movimento di progressivo allargamento:
- Una benedizione “in nome di Dio” riservata ai soli Israeliti
- La missione di benedire che passa da Mosè ad Aronne e ai suoi figli
- Israele continua ad esistere come il popolo della benedizione
- Custodire la benedizione, per poterla donare
- La benedizione speciale conferita a Maria, madre di Dio
- Il figlio di Maria diviene benedizione per tutti: segreto e rivelazione
- Anche i pagani sono chiamati ad essere figli ed eredi
- Ma noi stiamo proseguendo questo movimento? Accettiamo di poter avere altri, nuovi fratelli, che condividono con noi la stessa benedizione?
 

L’esplosione progressiva della pace


La benedizione per gli Israeliti
La benedizione che troviamo nel libro dei Numeri è riservata agli Israeliti. Deriva infatti dall’imposizione del nome di Dio sul popolo. Incaricati di essa sono Aronne e i suoi figli. La frase iniziale, con cui Mosè conferisce il compito, è molto importante dal punto di vista teologico. Mosè, il profeta di Dio, il massimo dei profeti, non resta solo con il suo privilegio, ma condivide la sua missione di beneficare con altri intermediari. La benedizione è vista come un fatto talmente importante per la vita del popolo che non può essere privilegio di un singolo personaggio.

Il movimento di allargamento
Consideriamo la bellezza e la perenne attualità del dinamismo dell’estensione e dell’allargamento. Chi riceve un dono da Dio non può tenerlo per sé, ma è invitato, secondo le sue possibilità, a condividerlo con altri. Si tratta di un processo di condivisione generosa, in cui si regala ciò che gratuitamente si è ricevuto. Chi è beneficato dalla misericordia di Dio, diventa a sua volta misericordioso e disponibile al dono. Ci si potrebbe chiedere pertanto perché nel brano dei Numeri la prerogativa del conferire la benedizione venga limitata ai soli discendenti di Aronne. Si tratta di un secondo movimento, complementare al primo. Si tratta infatti di divulgare il dono senza disperderlo, senza che venga svilito.

La conservazione del dono
Non sarebbe infatti rispettoso del dono di Dio disperderlo con indifferenza, senza riguardo al destinatario, senza alcuna attenzione alla sua comprensione. In effetti, restando sul tema della benedizione, appare chiaro che nella prospettiva biblica essa è di per sé destinata a tutta l’umanità e a tutto il creato. Perché restringerla al solo Israele? Uno sguardo globale ci consente di verificare che non si tratta di restringimento, ma di custodia: custodire ciò che è stato rovinato, perché un giorno possa essere di nuovo accessibile a tutti. La benedizione che riguardava tutta l’umanità è stata calpestata: non solo con il peccato di Adamo prima e di Caino poi; anche l’oppressione del popolo in Egitto mostra lo stesso rovesciamento. Israele, attraverso cui l’Egitto è stato benedetto, da popolo ospite diventa popolo oppresso. Il peccato dunque si configura anche come appropriazione della benedizione, ma ha come esito la devastazione e il disordine nel cosmo, nonché la fatica e l’incertezza in ogni lavoro e attività: ciò che appunto, secondo le categorie culturali antiche, rientra nella nozione di “maledizione”. Nell’ottica del Pentateuco quindi è chiaro che è già stata concessa una benedizione ad ampio raggio, un dono assolutamente gratuito e universale, ed è stato già rifiutato e rovinato. Per questo non può essere ridonato senza riguardi, senza attenzioni: ha bisogno di essere custodito, per poter essere ridonato.

Il popolo custode della benedizione
Ogni popolo oppressore ha compromesso la sua partecipazione alla benedizione divina. Così avviene di ogni popolo che ama la violenza. Da parte sua Israele, popolo schiavo, ma liberato da Dio, per sua grazia ripartito da zero, diviene il popolo che mostra al mondo la benevolenza divina. Egli è chiamato a custodire la benedizione, a rendersene consapevole, e nel tempo a mostrare anche agli altri popoli la via di Dio. Così possiamo comprendere il senso di un rito di benedizione esercitato unicamente dal personale qualificato del Tempio: perché non si disprezzi ciò che potrebbe apparire scontato e banale. Se rileggiamo attentamente il testo della benedizione, noteremo la sua assoluta semplicità. Non si promette né lusso, né abbondanza, né vittoria sui nemici, né progresso a dismisura. “Il Signore ti conceda pace”: una pace in cui è certamente compresa la pienezza dei doni di Dio; ma anche una pace in cui non c’è spazio per l’eccesso a discapito di altri. Mentre ancora oggi venti di guerra soffiano nel mondo, ci possiamo ben rendere conto della profonda bellezza di queste parole.

Gesù, ultima parola di benedizione
Maria, la “benedetta fra le donne” (Lc 1,42), custodisce in sé il Figlio, segno definitivo di benedizione per il mondo. Perché il Figlio possa essere mostrato al mondo, deve attendere lunghi mesi nel grembo materno. L’incarnazione rispetta i tempi dell’umanità, che non sono solo quelli della gestazione. Ogni fatto umano bello e rilevante ha i suoi tempi di gestazione (e probabilmente è un’illusione pensare di poterli accorciare mediante la tecnologia: anche la fretta potrebbe essere stretta parente di quella violenza che è frutto del peccato). Il Vangelo ci mostra la prima manifestazione pubblica del bimbo che è nato: i pastori lo vedono, e subito ne parlano. L’annuncio dei pastori provoca stupore e meraviglia. Ma poco dopo si ritorna nel segreto del nascondimento: Maria “custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”.

Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce
La dialettica tra segretezza e manifestazione è ben riscontrabile in tutta la vicenda di Gesù. Da un lato egli si mostra, annuncia, percorre le città, rende pubblico il messaggio del regno di Dio. Dall’altra parte si ritira in luoghi deserti a pregare, chiede il silenzio agli ammalati guariti, raccomanda ai discepoli di non parlare di lui. È un equilibrio delicato, che richiede tempi giusti e modi adatti. In Mt 10,27 troviamo un detto significativo: “Quello che vi dico nelle tenebre, predicatelo nella luce”. C’è un tempo di ascoltare sommessamente “all’orecchio”, e un tempo di “annunciare dalle terrazze” (Mt 10,27). Esiste un criterio per poter discernere? Qual è il tempo della manifestazione, e qual è il tempo del segreto? Potremmo rispondere che il punto discriminante è il corpo stesso del Verbo incarnato. Esso è nello stesso tempo limite e porta, punto di accesso, ma anche porta stretta che per alcuni è cruna dell’ago. Si tratta peraltro di un corpo in crescita, una crescita nella storia tuttora ininterrotta. Il bambino è visibile a pochi, Gesù adulto si manifesta come maestro e profeta a tutto Israele, il Risorto apre la missione al mondo; i discepoli stessi divengono “Corpo di Cristo, e, ognuno per la sua parte, sue membra” (1Cor 12,27).

Trasfigurati per trasfigurare
Il corpo di Cristo, che siamo anche noi, continua a crescere nella storia, secondo i ritmi del tempo. Nel nostro stesso essere corpo di Cristo, uniti al tutto come membra vive, diventiamo segno di benedizione e di pace per il mondo. Occorre custodire questa identità, con la stessa cura con cui una madre protegge un neonato, per poterla annunciare e condividere. Ricordiamo gli orientamenti del convegno di Firenze: «È il Signore che trasfigura, non siamo noi! Bisogna allora lasciarsi trasfigurare e non ostacolare l’opera di Dio in noi e intorno a noi, ma saperla piuttosto riconoscere e aderirvi» (G. Boselli, Sintesi finale del gruppo “Trasfigurare”, dagli Atti del Convegno nazionale di Firenze). In un mondo segnato da guerra e violenza, Maria accolse la Parola divina, generando il Figlio come segno di pace. Anche oggi noi, in un mondo ugualmente segnato da nuove forme di guerra e violenza, non demoralizziamoci, e non stanchiamoci di accogliere la Parola per diventare corpo di Cristo, ed essere segno di pace nel mondo.