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 Sussidio Avvento-Natale 2011 - III Domenica, 11 dicembre - Introduzione biblico sapienziale 
Introduzione biblico sapienziale   versione testuale
Il Padre è colui che ci dà segni e testimoni per rieducarci alla gioia e alla speranza
La gioia per Sion
 
L’invito alla gioia caratterizza le letture di questa domenica. L’immagine-guida è la santa città di Sion, rinnovata dall’amore di Dio: Egli appare in questa domenica non solo come il Padre, ma anche come lo Sposo. Siamo introdotti, dunque, nel cuore dell’attesa credente: ciò che si attende non è semplicemente un “risultato” (come potrebbe essere la trasformazione del mondo, la felicità, la pace, la serenità…), ma una relazione, un rapporto di amore che giunge alla sua pienezza.
Sion diventa così immagine delle comunità cristiane, chiamate ad essere oasi di gioia in un mondo agitato dalla insoddisfazione, sempre alla ricerca di espedienti per evadere. Sion diventa immagine di una possibile comunità umana, in cui la giustizia possa avere uno spazio sempre più grande.
 
 
A partire dai poveri
 
Nella prima lettura, infatti, il profeta si proclama mandato “a portare il lieto annuncio ai miseri”. Rileggiamo l’elenco dei suoi destinatari: “cuori spezzati, schiavi, prigionieri”. Sappiamo che il profeta parla agli uomini del suo tempo, al popolo di Israele che viveva la durezza dell’esilio (prigionia), che era costretto a prestare la sua intelligenza e il lavoro, altamente qualificato, ai nemici che lo avevano deportato (schiavitù di lusso, se vogliamo, ma pur sempre schiavitù), che viveva la dolorosa spaccatura nella coscienza, la frammentazione dell’identità: credenti nell’unico Dio, dispersi in mezzo ai pagani (cuori spezzati: non si tratta solo di un fatto emotivo, ma di un fatto più profondo, che riguarda il nucleo centrale della persona). Ma lo stesso annuncio poté essere applicato più tardi, dopo il ritorno, per indire una nuova era di giustizia in mezzo al popolo stesso, che tendeva a riprodurre al suo interno quella schiavitù da cui Dio lo aveva liberato; e vediamo che senza troppa fatica il messaggio può essere trasposto agli uomini del nostro tempo, sempre più imprigionati in strutture disumanizzanti, sempre meno apprezzati per le loro qualità, spesso tendenzialmente ridotti a numeri, pedine, o manipolatori di pedine, divisi, nella coscienza, tra i valori che si professano “nel privato” e quelle che appaiono ineludibili esigenze professionali ed economiche. Ogni comunità cristiana è chiamata a interrogarsi su che cosa significhi per essa oggi raccogliere il testimone degli antichi profeti e di Gesù, e quali sono i “poveri” a cui essa è inviata; ma prima ancora del necessario discernimento e attualizzazione, è necessario cogliere la prima urgenza che ci viene dalla parola divina: non ci può essere vera gioia se ad essa non sono chiamati anche gli ultimi, non ci può essere giusto benessere se dalla tavola imbandita il povero Lazzaro resta escluso.
 
 
Il mandato divino
 
Una sottolineatura è importante: Dio è colui che manda il profeta ad evangelizzare i popoli, Dio è colui che manda il Battista, Dio è colui che santifica; si evidenzia fortemente come tutto parta dalla sua iniziativa e dalla sua forza. Nel momento in cui viene ricercata una felicità fine a se stessa, sganciata dal legame con lui, si cade facilmente nella trappola dell’egoismo e della sopraffazione. Diventa quindi importante, nei vari contesti, la presenza di un testimone, che diventa guida e garante della ricerca del popolo: il profeta, il Battista e Paolo sono custodi dell’incarico ricevuto da Dio, e impediscono che qualunque tentazione deviante se ne possa impadronire.
 
 
Testimoni della luce
 
La testimonianza del Battista, riletta dall’evangelista, mostra in che modo ogni credente può diventare a sua volta testimone di luce e costruttore di pace. Giovanni si definisce come uno che presta la voce ad una parola che lo precede, che annuncia un evento che lo supera. Egli non vive in funzione di una posizione da raggiungere, ma in relazione a qualcosa che deve ancora accadere. Si rifiuta di essere identificato con il Messia, con Elia, con il profeta, perché equivarrebbe ad arrogarsi un potere che non ha. Giovanni è totalmente al servizio della Parola di Dio: di questo si accontenta, in questo trova la sua gioia. La lettera ai Tessalonicesi aggiunge alle altre letture la nota comunitaria: Paolo vuol rivelare la volontà di Dio nei confronti della sua comunità, di ogni sua anche piccola comunità che crede.
 
 
Reagire alla tristezza
 
La Chiesa oggi, nelle sue articolazioni, ha da Dio il mandato di reagire alla tristezza, all’abbattimento, allo sconforto; è chiamata ad essere un ambiente sereno, estraneo al clima “sguaiato” dei mezzi di comunicazione di massa, sempre alla ricerca del sensazionalismo e dello scandalo. Nella semplicità della vita familiare e delle occasioni di vita comune, diventa possibile rendersi conto che la realtà non è costituita di omicidi, violenza, azioni ributtanti: lontano dai riflettori, nella semplicità dell’esistenza quotidiana, vivono moltissimi testimoni di gioia, capaci di aiutare i fratelli più deboli. Il paradosso è che spesso quanto più si vive nella semplicità e nell’autenticità, tanto meno si risulta interessanti all’occhio mediatico; ma non è possibile rinunciare al proprio essere in nome della visibilità. Il paradosso va accettato senza rimorsi: prima o poi (la vicenda del Battista lo rivela) i testimoni autentici vengono alla luce.