L’Avvento riserva di passione educativa
Si ritrovano sempre più spesso educatori insoddisfatti e delusi, non solo nella Chiesa, ma anche nella società civile. Il segno è indicativo di un clima diffuso, di una situazione che risulta inquinata per chi cerca di formare le giovani generazioni. L’annuncio profetico che risuona nella liturgia ci rimanda ad epoche ancora più difficili: tempi in cui il nemico non era la mollezza indotta dal benessere, ma la fame, la carestia, la guerra, la schiavitù. Se in quelle condizioni un messaggio di speranza è risuonato, e non per i giovani, ma per adulti ancora più induriti e delusi, e ha ottenuto il suo effetto, allora forse dovremmo renderci conto che ci sono possibilità ancora aperte. L’Avvento ha come primo effetto la scoperta che educare è ancora possibile.
Avvento: La riscoperta dell’identità, al di là del ruolo
I profeti annunciarono un futuro splendido, di cui videro una minima parte. Solo oggi noi possiamo rendercene conto: “Molti profeti e re desiderarono vedere ciò che voi vedete…”. Anche Giovanni Battista, figura chiave dell’Avvento, vede solo un pallido inizio della redenzione operata da Cristo. Gesù stesso, nella sua vita terrena, conosce l’estremo dell’insuccesso.
Come è possibile educare, annunciare, predicare, senza vedere nessun risultato? L’interrogativo è di grande attualità, in un mondo che arriva a conteggiare e digitalizzare ogni fenomeno. Il genitore, il sacerdote, il catechista si ritrovano spiazzati: in un mondo che pretende risultati, di fronte a giovani generazioni abituate al riscontro immediato, essi si ritrovano ad assolvere ad un compito che resta difficile e imprevedibile. Per l’educatore cristiano è facile cadere nella trappola del ruolo: proprio perché avverte l’importanza del suo compito, la constatazione dell’apparente fallimento è devastante, anche per il proprio percorso di fede.
Ma Dio non ci ha ingabbiati in un ruolo: ci ha affidato un mandato, ci ha consegnato un’identità, ci dona continuamente il suo Spirito di sapienza e dolcezza. Il segreto dei profeti e dei santi è di aver assimilato nel profondo del loro essere il mandato ricevuto da Dio. Così è possibile restare saldi anche nel rifiuto e nello scontro.
Giovanni Battista, il “testimone della luce”, è particolarmente esemplare: egli si identifica con la “voce” di Dio, ma resta cosciente del suo limite. Egli rimanda, consapevolmente, oltre a sé, indica un percorso che lo sorpassa. Perciò la sua azione non dipende dal successo che riscuote, né si blocca quando viene arrestato. Resta saldo nella sua relazione con Dio fino al martirio.
Avvento: L’accoglienza dell’altro, al di là delle aspettative e pretese
Ovviamente, all’educatore cristiano non è richiesto di essere un martire nel senso cruento del termine; né forse di avere un’identità talmente granitica da non lasciarsi mai mettere in discussione. Però è richiesta una buona dose di saldezza, di convinzione in ciò che di buono egli porta, accanto a un sano senso del proprio limite, che non è insicurezza, ma convinzione teologica: per quanto sia coerente, nessun genitore, nessun prete, nessun catechista, nessun altro educatore cristiano potrà esaurire il modello di Cristo; e potrà sempre sperare di essere superato da coloro che ha formato. “Un discepolo non è più grande del maestro” (Mt 10, 24): ma questo vale per l’unico Maestro, il Cristo; ma lo Spirito può condurre i giovani che vengono formati anche oltre la misura della fede dei loro educatori.
Dalla consapevolezza di sé nasce il giusto modo di attendere l’altro. L’Avvento, tempo di attesa, insegna ad aspettare, fa vivere il valore della pazienza: vale a dire, porsi in attesa dell’altro, finché si manifesti quella potenzialità e quel dono che Dio stesso ha immesso in lui. Ciò può comportare una rinuncia ad imporre i tempi e i modi della crescita. Spesso l’educatore troppo compreso nel proprio ruolo tende ad incasellare anche i suoi discepoli come in una maschera, che corrisponde alla sua visione ideale, e non alla reale situazione degli educandi. Per cui si possono determinare percorsi caratterizzati da un certo grado di finzione, in cui chi è educato si conforma superficialmente ai modelli degli educatori, senza assimilarli pienamente. Avviene così che le false aspettative, la pretesa che i figli seguano le orme dei padri, che i giovani si adeguino alle esigenze della parrocchia o dell’associazione, il più delle volte siano deleterie: non perché in sé errate, ma perché non tengono conto dei tempi di crescita. L’Avvento può essere un momento di conversione, per far riscoprire agli educatori il loro valore, al di là del ruolo e dei risultati, e per far riscoprire l’attesa educativa, il rispetto dei tempi, l’attenzione all’azione dello Spirito che conferisce una identità nuova, non sempre equivalente alle attese e alle esigenze del catechista, del prete, della parrocchia.
Può essere utile al riguardo riscoprire la pratica della confessione, dell’accompagnamento spirituale, del dialogo educativo. In un mondo pieno ormai di comunicazione tecnologica, moltissimi hanno nostalgia di un contatto autentico, di una relazione vissuta al di fuori del mondo virtuale. Potrebbe essere una reale occasione di accoglienza della loro identità con le sue possibilità e i suoi limiti.