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 Home GMCS2016 - Per agire - Sulla Passione, uno sguardo "altro" 
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Sulla Passione, uno sguardo "altro"   versione testuale

Vincere l’indifferenza con l’amore
«La Misericordia “esprime il comportamento di Dio verso il peccatore, offrendogli un’ulteriore possibilità per ravvedersi, convertirsi e credere” (Misericordiae Vultus, 21), ristabilendo proprio così la relazione con Lui. E in Gesù crocifisso Dio arriva fino a voler raggiungere il peccatore nella sua più estrema lontananza, proprio là dove egli si è perduto ed allontanato da Lui». Nel Messaggio per la Quaresima 2016 papa Francesco ricorda alla comunità tutta l’atto d’amore più grande che il Signore ha fatto per l’uomo, donare suo figlio per riscattarlo dal male, dalla prigionia del peccato. «La misericordia di Dio trasforma il cuore dell’uomo e gli fa sperimentare un amore fedele e così lo rende a sua volta capace di misericordia. È un miracolo sempre nuovo che la misericordia divina si possa irradiare nella vita di ciascuno di noi, motivandoci all’amore del prossimo».
Nell’ambito del ciclo di proposte dedicate al Cinema e Giubileo straordinario della misericordia, la Commissione Nazionale Valutazione Film della CEI - Fondazione Ente dello Spettacolo, in accordo con l’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali della CEI, propone per la Settimana Santa il film Su Re (2013) di Giovanni Columbu.
 
Su Re, nuova attualizzazione della Passione di Cristo
Ispirato ai Vangeli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni, Su Re (2013) di Giovanni Columbu è una rappresentazione della Passione di Cristo messa in scena in Sardegna, negli spazi brulli dell’entroterra sardo, tutto girato in dialetto. Una povertà voluta, ricercata, nei luoghi così come nei volti degli interpreti. «Un film francescano» – sottolinea il regista – «nel solco della nuova stagione annunciata da papa Francesco, sobrietà, spiritualità vera profonda, povertà, non ostentazione della ricchezza».
Colpisce soprattutto la decisa umanizzazione della figura di Cristo (interpretato da Fiorenzo Mattu), ritratto di un’umanità comune, distante dai canoni classici cui il cinema ci ha abituato, in primis Franco Zeffirelli con il suo Gesù di Nazareth (1977). Qui Gesù è scuro di carnagione, persino non esile, ha i capelli corti e i lineamenti non perfetti. Appare come un uomo come tanti. È il richiamo a Isaia: «Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per potercene compiacere» (Is 53, 2-3). Gesù, dunque, uomo come tanti che viene schernito, ferito e insultato dalla folla, sino alla morte di stenti sulla croce. Un calvario raccontato con straordinaria intensità, in maniera poetica, senza ricorrere a una facile (furba) esibizione della violenza.
Columbu gioca in sottrazione, come Pier Paolo Pasolini nel film Il Vangelo secondo Matteo (1964). Non si vede il Cristo che viene percosso e umiliato, ma si sente solamente il suo respiro affannato, il suo lamento sotto i colpi dei carnefici; la macchina da presa è rivolta ai volti di chi lo ha condannato a morte.
Se dunque negli anni Duemila a Hollywood torna in auge il genere religioso in chiave kolossal (The Passion of the Christ, Noah, Exodus), in Italia diversi autori sentono la necessità di ritornare a raccontare la figura di Gesù con uno sguardo “altro”, in linea con la tradizione europea (da Robert Bresson a Pier Paolo Pasolini), orientata verso un racconto povero, privo di inutili abbellimenti, con un linguaggio essenziale dove lo sguardo domina sulla parola. È il caso quindi di Su Re di Columbu, così come di Io sono con te (2010) di Guido Chiesa, inedito ritratto della figura di Maria.
 
Per approfondire con la Cnvf e Cinematografo.it
Commissione Nazionale Valutazione Film CEI: «L’ambiente è una Sardegna aspra e pietrosa, la lingua è un dialetto sardo quasi incomprensibile eppure supportato da vocalità nascoste, le parole sono ridotte al minimo, la musica si fa spesso opportuno silenzio. Parlano gli occhi, i volti, la pelle rugosa e sofferta, le lacrime di un dolore inafferrabile, i gesti disperati e insieme misurati, composti, trattenuti. Parla la capacità di dire che un innocente si sta sacrificando per le colpe di tutti, che la sua morte non sarà invano. Nelle immagini del regista, il racconto si fa scabra e scarnificata rappresentazione di un dramma universale, è resoconto di un’umanità che diventa divina nella sopportazione del dolore, nella certezza di un ritorno dopo la morte. La Resurrezione, appena accennata, è di grande intensità e offre la misura migliore di una regia che rifrange e riverbera la figura di Cristo nelle mille figurae Christi che si muovono tra le rocce e i boschi. L’approccio ai testi evangelici è del tutto rispettoso, la cornice fatta di elementi naturali veri e realistici (vento, luce, alberi) affianca una fotografia che costeggia esempi del seicento spagnolo e suggestioni caravaggesche. Parole e sguardo creano un humus profondamente spirituale, dicono che un cinema religioso oggi esiste, affidato a coraggio, lucidità, capacità di uscire dal convenzionale. Magari tra provocazioni sul piano espressivo e rischi su quello commerciale. Ma altrimenti che Vangelo sarebbe? Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come raccomandabile, problematico e adatto per dibattiti» (www.cnvf.it).
 
Rivista del Cinematografo - Cinematografo.it: «[…] Columbu affida Cristo a Fiorenzo Mattu, che non è bello, proprio no, ricorda un Bacchino tumefatto, con occhi e labbra da pesce palla. Basso, scuro e peloso: dimenticate l’iconografia zeffirelliana, il Cristo bello, biondo e agiografico, le fattezze da santino e i lunghi capelli lisci da pubblicità del Pantene. No, qui il girardiano ritorno surrettizio del sacro passa dall’iconoclastia dell’immaginario eletto: cancellazione “violenta” di quel pregresso, cinematografico e non solo, che ha cancellato il sacro e dunque aperto al suo ritorno immanente. Tra le pietre, il vento e la natura brulla dell’isola, Columbu fa implodere le calcificazioni del devozionismo e ritrova il sapere della violenza: Cristo soffre e sanguina, ci mancherebbe, ma la violenza è un’altra. Dotta, informata e letteralmente appassionata, la potente, fascinosa rilettura di Su Re scarnifica la parafrasi omogeneizzata delle Letture e ritrova il Cristo fatto uomo, una nicciana pratica di vita, riportando sullo schermo la kenosis, il salvifico abbassamento di Dio al livello dell’uomo. È qui che riecheggia la recente esperienza mariana di Io sono con te di Guido Chiesa: la temperatura umana è la medesima, la prospettiva “dal basso”, la carne viva, Cristo e la Madonna due come noi. Più di noi» (Federico Pontiggia, Su Re. Il Vangelo sardo di Giovanni Columbu, in «Rivista del Cinematografo», n. 3, marzo 2013, p. 42)