6 marzo
IV domenica di Quaresima   versione testuale

Attendere con pazienza, accogliere in fretta

Parola di Dio
Gs 5,9a.10-12: “Il giorno dopo la Pasqua mangiarono i prodotti della terra”: tutto ciò che è di Dio, è anche nostro.
Salmo 33: “Guardate a lui e sarete raggianti”.
2Cor 5,17-21: “Siamo ambasciatori. lasciatevi riconciliare con Dio”: accogliere l’abbraccio del Padre, nel momento favorevole.
Lc 15,1-3.11-32: “Costui accoglie i peccatori e mangia con loro”. Gesù va in cerca di chi era perduto.

In breve
Assenza di misericordia: la fretta di condannare; la lentezza nell’accogliere. La misericordia del padre: saper aspettare con pazienza, saper accogliere con urgenza, cogliere il momento per rivelarsi. I due figli non accettano di essere figli: più o meno a malincuore, si adattano ad essere salariati… quando impareremo ad accettare di essere figli?

Commento
Pochi giorni: la fretta del peccato
Il peccato ha fretta. Pochi giorni dopo aver ricevuto tutti i beni che gli spettavano, il fratello giovane parte e si allontana dalla casa paterna. Notiamo che curiosamente l’impazienza accomuna sia il peccatore, sia il severo giudice. Quando il fratello giovane ritorna, il maggiore non perde molto tempo ad accertare che cosa sia successo, e le ragioni del padre. La condanna scocca immediatamente: sia per il padre, sia per quel figlio che egli non considera più fratello.

La fretta di un mondo senza misericordia
Vediamo molte persone intorno a noi piene di una simile impazienza. Probabilmente anche dentro il nostro cuore troveremmo lo stesso atteggiamento di fondo. Bisogna guadagnare, e guadagnare in fretta. Essere felici, ed esserlo subito. Essere alla moda, non appena le mode escono. Le “leggi del mercato” non perdonano chi resta indietro. Ma può esserci felicità dove c’è affanno? Eppure l’affanno, il lavoro turbinoso, è una componente essenziale della nostra economia e dei nostri stili di vita, anche se compensato da periodici momenti di distrazione e vacanza: tensione feroce e rilassamento che inebetisce si alternano, senza poter dare pienezza e felicità. Ma che sia possibile fermarsi e riflettere e tirarsi fuori da tutto ciò, è tanto difficile, quanto era difficile far desistere il figlio giovane dall’allontanarsi dalla casa paterna. Troppa è l’illusione e il desiderio che trascinano verso la dispersione.

Ti servo da tanti anni: la pazienza del Padre
Per quanto tempo il giovane sta lontano da casa? La parabola non lo comunica subito: ed è un fatto estremamente espressivo. Chi vive nella dispersione, vive una sospensione del tempo. La sua vita è marcata da pochi fatti che segnano discontinuità. La vita priva di libertà - ma vissuta nell’illusione della libertà - perde la cognizione del tempo: solo la dura realtà richiama ad un passaggio che si compie. Nel nostro caso, è “quando ebbe speso tutto”; e quando “avrebbe voluto saziarsi con le carrube”: “allora ritornò in sé”. Colui che invece conta il tempo è il fratello maggiore: da lui sappiamo che sono passati “tanti anni”, da quando ha cominciato a “servire” il padre. Il fatto merita attenzione: solitamente infatti si sottolinea la sollecitudine ad andare incontro al figlio che ritorna, e ugualmente la sollecitudine ad andare incontro al figlio che non vuole partecipare alla festa. Viene spontaneo chiedersi perché, se era tanto preoccupato dei suoi figli, non sia intervenuto prima. Perché non abbia fatto nulla per trattenere il figlio minore. Perché non abbia fatto nulla per richiamare il figlio maggiore a comprendere la sua carità e il dono di stare nella sua casa.

Tardi di cuore
La parabola del padre e dei due figli si rivela dunque una miniera inesauribile di significati, che ruota sempre attorno al nucleo incandescente della misericordia divina. Dio ci ama di un amore infinito: ma in certi momenti la sua cura appare quasi assente. Sappiamo che entrambi i figli si allontanano dal suo amore: il minore per degradarsi nella dissolutezza, il maggiore per comportarsi come uno schiavo, comportandosi come uno dei suoi salariati, e non come un figlio. Ciò che desidera davvero è il gruppo degli amici, per il quale vorrebbe avere almeno un capretto, che non ha il coraggio di prendere, anche se il padre glielo lascerebbe. Mentre il minore dilapida il patrimonio, il maggiore mira avaramente a conservarlo, sacrificando il suo desiderio e covando rancore nei confronti del padre. Comprendiamo dunque perché il padre taccia e resti inerte, almeno in apparenza: attende il momento di poter rivelare tutto il suo amore, di poterlo fare traboccare tutto intero verso il figlio disperso e verso il figlio autoschiavizzato.

Il tempo della dispersione
Così è anche la misericordia di Dio per noi: ci possono essere lunghi intervalli di dispersione, di allontanamento, o anche di indurimento. Non è colpa di Dio; e non è neppure sua responsabilità se vogliamo prendere le distanze da lui. Ci può essere una lucida consapevolezza in chi finisce per distruggere la sua vita: il termine greco tradotto in italiano con “dissolutamente” evoca una vita “senza salvezza” o “senza speranza di salvezza”. Può accadere di incontrare persone che vivono sbagliando, sapendo di sbagliare, sapendo di andare contro Dio, eppure incapaci di porsi un freno, di intraprendere una direzione differente, o anche solo di chiedere aiuto: emerge la terribile possibilità di chiudere la porta, di non accettare di essere amati, né da Dio, né dai fratelli. Non dobbiamo pensare solo a persone visibilmente in difficoltà (chi sprofonda nella schiavitù del gioco, dell’alcolismo, dei debiti…), si tratta anche di una possibilità che riguarda persone che apparentemente vivono nel pieno successo. Nel contesto occidentale globalizzato, si tratta di un caso molto frequente: l’individualismo impone di badare a se stessi, esalta chi fa da sé, mette in concorrenza e in competizione. Si delinea da un lato la schiera, che progressivamente si assottiglia, degli arrampicatori di successo, di chi si impone al di sopra degli altri; e dall’altro la schiera degli scarti, di chi fallisce, di chi non ce la fa, di chi in realtà non voleva neppure partecipare alla gara. Nei confronti di questi ultimi, nessuna misericordia. Quasi fossero tutti colpevoli. Ma non c’è neppure compassione per gli arrampicatori: ciascuno vuol raggiungere la vetta, a scapito degli altri, fino a quando non sopraggiungeranno quelli destinati a scalzarli. Si ha l’impressione che amicizia, legami di alleanza e solidarietà siano unicamente tattici: se non si riesce a vincere da soli, quantomeno si cerca di far vincere la propria squadra, la propria banda, il proprio “capo”.

Non smantellare la casa
Il padre divide i beni tra i figli, ma non smantella la casa. Essa resta, come un porto sicuro dove ci si può rifugiare e far festa. In attesa di aprire i cuori ad entrambi i figli, il padre costituisce uno spazio di incontro e di sicurezza. La comunità cristiana, se vuole essere misericordiosa, missionaria, aperta, non dovrà necessariamente smantellarsi o sfaldarsi. Non potrà neppure agitarsi istericamente di fronte alle apparenti sconfitte, agli inevitabili allontanamenti e indurimenti. Imitando con sapienza il Padre buono, è chiamata a mantenere uno spazio di accoglienza, di sicurezza, dove anche chi non è completamente convertito può sentirsi invogliato a tornare. Il figlio minore si accontentava di un posto di salariato; il figlio maggiore di un capretto; il padre dà loro molto di più. Molte persone oggi si accontentano di trovare nella Chiesa un luogo di incontro, un conforto tradizionale, un vago alone mistico, un piatto caldo alla mensa dei poveri, un luogo di sfogo dei propri problemi… in realtà abbiamo molto di più: ma sapremo rivelarlo? E al momento giusto?