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Questione antropologica e nuove tecnologieintervista al prof. Giuseppe Mazza“Questione antropologica e nuove tecnologie” è il titolo della relazione che il professore Giuseppe Mazza, docente di Teologia fondamentale e comunicazioni sociali della Pontificia università gregoriana, terrà al prossimo convegno “Chiesa in rete 2.0” promosso dall’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali e dal Servizio informatico della CEI il 19 e 20 gennaio prossimo.
Per la comunità cristiana l’avvento del villaggio globale e delle nuove tecnologie può essere assunto come “un segno dei tempi”. E’ un evento che ci impone di reinventare il nostro modo di vivere insieme e di ripensare le nostre strutture di socialità e i nostri stessi paradigmi culturali? La risposta deve tener conto di alcune ambiguità di fondo legate alle dinamiche della virtualità e alla nozione stessa di villaggio globale. In genere, potremmo dire che se da un lato è vero che la “sfida” della globalità comunicativa apra nuovi orizzonti culturali e invochi nuove formule di socialità, dall’altro l’uomo sembra riscoprire – proprio in seno ad essa – dimensioni della relazionalità che gli sono da sempre proprie. Esse non “aumentano” la sua ricchezza antropologica, ma la chiamano in causa, la evocano. È davvero la “nuova” tecnologia a inventare “nuove” socialità? Probabilmente no. In un certo senso, infatti, essa si limita ad amplificare l’esperienza dell’uomo nel suo mondo, esaltando entrambi i termini in gioco l’uomo e il mondo, appunto – ed enfatizzandone le occasioni d’incontro. Con internet in genere, ma con il Web 2.0 siamo di fronte a un nuovo quadro antropologico che non può non interpellare chi si occupa di comunicazioni sociali. Quale rapporto tra “questione antropologica” e nuove tecnologie anche alla luce del prossimo tema per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali? Negli ultimi anni è divenuto sempre più chiaro che lo sviluppo di internet interpelli, prima ancora di una (pur legittima) istanza morale, l’epistemologia stessa dell’io umano, il suo lasciarsi dire come processo che assorbe progressivamente il proprio contesto, lo informa di sé, si umanizza umanizzando il mondo. È ciò che il tema per la prossima Giornata delle comunicazioni individua come “relazione”, a monte del rapporto tra antropologia e tecnologie dei new media. Internet diventa uno spazio dell’uomo, uno spazio umano in quanto popolato da uomini; non più un terreno vergine, un contesto inerte o un asettico luogo di scambio, bensì l’ambito – brulicante di vita – dell’umanità dell’uomo: un ambiente antropologicamente qualificato, nel senso più stretto. In questo quadro di cambiamento e in una situazione esistenziale che il sociologo Bauman ha definito come “solitudine del cittadino globale”, c’è il pericolo che l’uomo si perda nei meandri del virtuale sganciandosi dalla realtà? Il rischio è senza dubbio tangibile. Pur essendo il virtuale una dinamica dell’uomo, l’uomo stesso può decidere di isolarvisi, relegando se stesso in una “parte di sé”. E ancora: nonostante la fenomenologia dei nuovi media lasci spesso ipotizzare il sostrato di una socialità effervescente, la capacità di progettare e accogliere relazioni autentiche rischia sovente di risultarvi assai ridotta, in proporzione diretta alla povertà comunicativa (solitudine) dei legami. Anomia, indebite equalizzazioni delle differenze di status, instabilità, interazioni scarse (se non distorte) tra identità fittizie lasciano intendere che virtualità e legame umano autentico non si implicano necessariamente a vicenda: una loro sintesi matura va guadagnata progressivamente, attraverso una cultura del dialogo, della condivisione rispettosa e dell’amicizia. a cura di Vincenzo Grienti
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