14 febbraio
I domenica di Quaresima   versione testuale

Ogni itinerario di conversione e, più in generale, ogni via di sequela del Signore, portano sempre le tracce di un incontro, non poche volte drammatico, con l’esperienza della tentazione. Essa è inscritta nello statuto originario dell’esistenza e per il credente costituisce un elemento essenziale attorno al quale è possibile articolare il proprio vissuto di fede. Si può pervenire, infatti, a riconoscere la dimensione provvidenziale di tale esperienza, non tanto per ciò che essa è in sé, quanto piuttosto per ciò che può rappresentare per chi la vive e la attraversa.
La Parola di Dio, proposta per la liturgia eucaristica di questa tappa quaresimale, ce ne fa scorgere alcuni elementi. La pagina evangelica in particolare mostra, accanto alla fatica della lotta, la fruttuosità della prova nella vicenda singolare dell’umanità di Gesù. Egli incarna la dedizione esigente a vivere la vita nella fedeltà alla propria storia personale che è il terreno della più grande corrispondenza alla volontà del Padre. La soluzione del suo incontro con la tentazione consiste per Gesù nel ricondurre tutto alla forza creatrice e ri-creatrice della Parola la cui operosità ed efficacia trova in Lui un’attestazione compiuta e definitiva.
La sua esperienza è, così, paradigmatica per ogni uomo o donna, che desidera assumere fino in fondo quanto caratterizza la propria vicenda umana. A contatto con la tentazione, infatti, il credente è come riportato alla nudità e alla precarietà della propria condizione creaturale, bisognosa di incontrare lo sguardo amorevole del Padre e la promessa della sua Parola misericordiosa, per non cedere alle lusinghe di logiche disumanizzanti e corrispondere, invece, al progetto di vita compiuta che Dio ha per ogni uomo. Sfuggire da questo incontro con l’amore misericordioso del Padre significa al contempo distogliere lo sguardo dalla propria condizione creaturale e il cuore dal dono che arricchisce davvero la vita e che può venire solo da Dio.
Papa Francesco afferma che “davanti a questo amore forte come la morte (cfr. Ct 8,6), il povero più misero si rivela essere colui che non accetta di riconoscersi tale. Crede di essere ricco, ma è in realtà il più povero tra i poveri. Egli è tale perché schiavo del peccato, che lo spinge ad utilizzare ricchezza e potere non per servire Dio e gli altri, ma per soffocare in sé la profonda consapevolezza di essere anch’egli null’altro che un povero mendicante. Tanto maggiore è il potere e la ricchezza a sua disposizione, tanto maggiore può diventare quest’accecamento menzognero. […] E questo accecamento si accompagna ad un superbo delirio di onnipotenza, in cui risuona sinistramente quel demoniaco «sarete come Dio» (Gen 3,5) che è la radice di ogni peccato” (Messaggio Quaresima 2016). Alla sequela del Maestro di Nazaret, invece, anche la tentazione può diventare una possibilità di vita piena.