A utilità dei responsabili dell’animazione liturgica, le seguenti considerazioni che, per paragrafi successivi, passano in rassegna gli aspetti fondamentali della celebrazione eucaristica, hanno il carattere di suggerimenti di tipo pratico.
Ogni paragrafo intende offrire qualche richiamo a premesse o a principi, ripresi dai Praenotanda dei libri liturgici, che motivano il da farsi, perché lo si attui con attenzione, nello spirito giusto e tenendo conto delle lezioni dell’esperienza.
Ogni animatore potrà trarre conferma o motivi di rinnovamento della sua prassi a servizio dell’assemblea riunita per la celebrazione.
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DOVE L’architettura accoglie e disegna il corpo dell’assemblea
L’architettura di una chiesa, nella sua impostazione generale, è anzitutto qualcosa che si impone e che non è modificabile se non a certe condizioni. Nella misura in cui fosse possibile, e opportuno, intervenire in modo significativo, occorre tener presenti gli
orientamenti elaborati dalla C. E. I. ( 1 ) . In ogni caso, le forme architettoniche sono un primo aspetto dell’accoglienza: l’edificio si apre sia ai visitatori, sia ai fedeli che vengono per pregare o celebrare e, come avviene nell’incontro fra persone, esso mostra inevitabilmente un volto, che può risultare, in ogni senso, più o meno accogliente.
Nella misura del possibile, è augurabile che gli aspetti che normalmente rimangono disponibili (illuminazione, sonorizzazione, climatizzazione, percorsi interni, ecc.) siano resi ottimali: l’accoglienza è fatta anche di questo.
Non solo: la maniera in cui l’edificio, come struttura e come disposizione degli arredi, fa sì che un’assemblea si collochi nello spazio interno, ha un grande impatto sui presenti. Non è privo di significato il modo in cui i singoli, e tanto più l’assemblea riunita, si dispongono e pregano / celebrano.
Anche nell’arredo interno vi sono aspetti non modificabili, ma ve ne sono altri in cui è possibile intervenire (banchi, sedie, luogo del coro e/o strumenti, quadri e statue, punti devozionali), in modo tale da disegnare una presenza significativa.
Più impegnativo (cfr le norme già richiamate) è qualsiasi eventuale adattamento di luoghi canonici: altare, ambone, sede, riserva eucaristica, battistero, confessionali … Non è bene perdere di vista l’importanza di questi aspetti, che sono le premesse del ben celebrare.
L
’ Ordinamento Generale del Messale Romano [
O.G.M.R.] dedica tutto il cap. V (nn. 288 - 318) a orientare e determinare concretamente la “
disposizione e arredamento delle Chiese per la celebrazione dell’Eucaristia”: è un testo prezioso, che va rivisitato.
(
1 ) C.E.I.,
La progettazione di nuove chiese, 18.02.1993 e
L’adeguamento delle chiese secondo la riforma liturgica, 27.05.1996
COME CELEBRARE “Per ritus et preces”
La risposta alla domanda: “Come celebrare?” si compendia nella nota e densa espressione conciliare: “per ritus et preces” : nei riti e nelle preghiere. Partecipando al rito della Chiesa e facendo nostre le preghiere liturgiche, siamo messi in grado di celebrare “in spirito e verità” (Gv 4, 23). La Costituzione sulla liturgia (n. 48) afferma: “La Chiesa si preoccupa vivamente che i fedeli non assistano come estranei o muti spettatori a questo mistero della fede [il mistero pasquale], ma che, comprendendolo bene nei suoi riti e nella sue preghiere, partecipino all’azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente (..)”.
La partecipazione all’azione liturgica (“mens concordet voci”) è autentica quando è completa, ossia esterna e interiore, e non si limita perciò a una sola delle due componenti. La stessa animazione della celebrazione può essere opportuna ed efficace se viene svolta, nelle sue diverse forme, entro questa prospettiva, in modo pertinente e senza forzature.
Le rubriche contenute nel Messale e negli altri libri liturgici, come pure l’Ordinamento Generale del Messale romano, per quanto riguarda il rito della Messa, e le introduzioni agli altri riti, sono una guida sicura per orientare i modi e lo stile del celebrare. E’ importante assimilarne anzitutto lo spirito, per essere capaci di una fedeltà creativa nell’attuazione concreta, attenta alle caratteristiche di ogni singola assemblea.
• Radunarsi e fare assemblea
Congedarsi e vivere la missione
Il primo gesto di partecipazione al rito è il rendersi presenti e contribuire a “fare assemblea”. Fin da questo momento, l’intenzione e l’azione devono congiungersi. Il modo in cui ciascuno si colloca nello spazio della chiesa e si rapporta con gli altri è sempre molto significativo: occorre un giusto equilibrio fra gli estremi di una distanza individualistica e un agglomerarsi poco ordinato. L’assemblea liturgica non è un raduno casuale, ma un segno, gli uni per gli altri, del Corpo di Cristo che è la Chiesa (cfr Lumen gentium, 7).
I riti di inizio, nelle loro varie articolazioni (processione di entrata, canti, saluti, introduzioni) intendono aiutare l’assemblea, che va così formandosi, a entrare nel senso di ciò che sta celebrando.
L’essere congedati al termine della celebrazione è più che un momento di saluto e di arrivederci: in realtà, chi ha partecipato ha ora il compito di testimoniare nella vita corrente il dono ricevuto. L’ “Ite: missa est !” corrisponde a un vero e proprio invio in missione.
Le stesse diverse forme di processione pubblica, liturgicamente qualificate e non folcloriche, richiedono grande attenzione per rimanere gesti significativi della fede celebrata.
• Proclamare e ascoltare
Il primo tempo fondamentale dell’azione eucaristica consiste nel prestare ascolto alla Parola di Dio, proclamata nell’assemblea. L’ascolto del Signore che parla non è facoltativo, ma fondativo. Perciò tutto va messo in atto perché la Parola sia annunciata con chiarezza e vigore, e venga ascoltata con tutta l’attenzione e con un cuore aperto: “Quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura, Dio stesso parla al suo popolo e Cristo, presente nella sua parola, annunzia il Vangelo” (O.G.M.R., 29).
• Acclamare, rendere grazie, supplicare
Sono i tre atteggiamenti che costituiscono la trama della risposta celebrativa.
Alla Parola rispondono anzitutto varie forme di acclamazione (Alleluia, brevi versetti, responsori, inni e canti corali), che esprimono con vigore la riconoscenza festosa per il messaggio ascoltato, e che si prolungano nei diversi momenti della celebrazione dell’Eucaristia.
Rendere grazie: ripetutamente orazioni e canti (Gloria in excelsis, Sanctus…) danno voce alla gratitudine dei credenti per tutti i doni continuamente ricevuti. Il culmine della lode è tutto nella grande Preghiera Eucaristica, che raccoglie in sé e specifica (cfr Prefazio) i motivi del rendere grazie. Essa si compendia nel dare gloria al Padre, per Cristo, nello Spirito. (cfr Dossologia).
La supplica è continuamente intrecciata al rendimento di grazie: la comunità, radunata in assemblea, si riconosce sempre bisognosa della misericordia divina e, con l’animo colmo di riconoscenza ma anche consapevole delle proprie debolezze, chiede con fiducia a Dio di essere ancora largo dei suoi doni, per se stessa, per tutta la Chiesa e per il mondo intero. La supplica ricorre costantemente nelle preghiere e nei canti.
Questi tre atteggiamenti vengono espressi in forme diverse, che hanno ciascuna un proprio ‘genere letterario’, da identificare e di cui tener conto quando si celebra.
• Parola/canto: solo - tutti
Non “estranei o muti spettatori”, ma attivi partecipanti, i membri dell’assemblea rendono concreta la loro presenza, aderendo al rito con la parola e con il canto: sono i due modi primordiali di esprimere la propria consapevole compartecipazione, e insieme di coinvolgere pienamente la persona credente, spirito e corpo, fede e sensi. Il silenzio immotivato dovrebbe venir superato da tutti con buona volontà, anche se certi condizionamenti culturali frenano e quasi inibiscono.
L’assemblea che celebra lo fa con parole e canti che non sono un puro atto collettivo, o di massa, ma vengono sensatamente articolati tra voci singole, interventi corali e momenti unanimi, secondo i diversi ministeri e i diversi gesti rituali. L’alternanza responsoriale è una caratteristica della celebrazione e viene più volte ripresa, in varie forme (dialoghi, litanie, orazioni…). Nella nostra cultura odierna, parola e canto possono ambedue esprimere bene la preghiera, ma non sono del tutto intercambiabili: hanno ciascuno un loro significato proprio, che va valorizzato.
L’adesione precisa di ogni canto ai singoli gesti del rito eviterà che un qualsiasi canto (parole e melodia) dirotti l’assemblea su temi non pertinenti, anche se devoti: “Il canto e la musica svolgono la loro funzione di segni in una maniera tanto più significativa quanto più sono strettamente uniti all’azione liturgica” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1157; cfr Sacrosanctum Concilium, 112).
I nn, 29-41 dell’O.G.M.R. presentano molte e opportune indicazioni pratiche su ‘parola’ e ‘canto’.
• Sacrum silentium
La celebrazione prevede anche il silenzio: non quello che risulta da un rifiuto, ma da un’esigenza di interiorizzazione, di meditazione o di adorazione. Nella Messa, due sono in particolare i tempi in cui questo silenzio va custodito: il dopo-omelia e il dopo-comunione. Parola e canto vengono sospesi, ma il rimanere raccolti consente di assimilare e approfondire, di interiorizzare e di adorare. Non garantire questi preziosi momenti è segno di superficialità e di noncuranza irresponsabile. Rileggere il n. 45 dell’O.G.M.R.
Sono opportuni anche brevi respiri, o stacchi, che possono costellare l’andamento dell’azione rituale, senza appesantirla, ma non cedendo alla fretta e a un fare tutto esteriore.
• Gesti e atteggiamenti del corpo
Conviene ripercorrere i paragrafi 42-44 dell’O.G.M.R., dedicati ai gesti e atteggiamenti del corpo, e le Precisazioni della C.E.I. al Messale Romano (1983), al n. 1, con lo stesso titolo. Le disposizioni pratiche che vengono indicate hanno alla base la coscienza che i singoli gesti e i vari atteggiamenti, assunti dai partecipanti, sono un linguaggio altrettanto espressivo che la parola e il canto.
Anche in questo possono interferire condizionamenti analoghi a quelli sopra citati: la cultura diffusa potrebbe porre delle remore a un manifestare concretamente il senso del vissuto interiore. Occorre agire con pazienza e con costanza per persuadere i partecipanti a muoversi come indicato, e in maniera ordinata, perché sia significativa. Tutta intera la persona è chiamata a partecipare, parlando, cantando, agendo: “L’armonia dei segni (canto, musica, parole e azioni) è qui tanto più significativa e feconda quanto più si esprime nella ricchezza culturale propria del Popolo di Dio che celebra” (Catechismo della Chiesa cattolica, 1158).
CHE COSA Celebrare la Parola --- celebrare l’Eucaristia
“La liturgia della Parola e la liturgia eucaristica sono congiunte tra di loro così strettamente da formare un solo atto di culto” (Sacrosanctum Concilium, 56). “La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della parola di Dio che del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli” (Dei Verbum, 21).
Il nucleo centrale della celebrazione è l’intima unione fra le “due mense”. L’Eucaristia non è mai senza la Parola. Non è escluso che rimanga ancora, nel retroterra religioso di alcune generazioni, il ricordo di epoche in cui la presenza alla Messa era considerata “valida” se, in senso minimalistico, veniva garantita, soprattutto e quasi unicamente, nella parte eucaristica.
Il progetto liturgico e il suo programma di attuazione sono oggi articolati in modo chiaro, perché tutti possano essere fedelmente presenti e partecipanti alla celebrazione dall’inizio alla fine. Il dono che viene così offerto a chi vi è disposto, è di straordinaria ricchezza. L’animazione, grazie ai diversi ministeri, deve assicurare un servizio attento e competente, che metta in valore le caratteristiche di ciascuna delle due “mense”, promovendone l’efficacia e la bellezza.
CHI Assemblea - Ministri e ministeri
Quando la comunità si raduna per celebrare prende il nome di ‘assemblea’. Ne fanno parte tutti coloro che partecipano alla celebrazione. Per un’indebita deformazione, si rischia talvolta di considerare a parte i ministri, a servizio di tutti i presenti, quasi non fossero anch’essi membri dell’assemblea. Il corpo ecclesiale è insieme articolato e unitario. L’assemblea liturgica ne è il segno più visibile ed eloquente: “è tutta la comunità, il Corpo di Cristo unito al suo Capo, che celebra (..). L’assemblea che celebra è la comunità dei battezzati” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1140-1141).
L’assemblea non è un gruppo umano privo di sue caratteristiche, e neppure di limiti.
Le caratteristiche variano da quelle più evidenti (le dimensioni, dalle minime alle massime; le componenti secondo età e culture, presenti in modo omogeneo, oppure con varianti miste ed eterogenee; le motivazioni di diverso tipo, dalle più costanti alle più occasionali; le appartenenze e i riferimenti ecclesiali specifici, oppure le frequenze ‘à la carte’ di tipo individualistico) a quelle più difficili da cogliere (tipo di culture di provenienza, influsso delle tradizioni locali, sensibilità e vissuti propri, impatto di eventi personali e pubblici). Un’animazione responsabile deve sforzarsi di individuare queste complesse realtà, in modo da poterne doverosamente tener conto.
I limiti sono difficili da catalogare e hanno spesso aspetti imprevedibili, che possono sorprendere o che invece pesano costantemente. Qui si mettono in gioco le migliori capacità pastorali, ai diversi livelli, per tentare pazientemente di far fare qualche passo avanti ad assemblee talvolta resistenti, o poco propense a entrare nello spirito e nella pratica della azione liturgica. Il bene della singola assemblea dovrebbe essere la pupilla degli occhi di chiunque, su diversi piani, ne abbia cura.
Vescovi, presbiteri, diaconi, lettori, accoliti e altri collaboratori, sono chiamati a svolgere ciascuno il proprio ministero specifico, dalla presidenza della celebrazione alla proclamazione e al commento della Parola, dal compimento dell’azione propriamente eucaristica all’animazione del canto con il suo sostegno strumentale, fino al servizio pratico al rito e ai suoi dettagli operativi. L’ O.G.M.R. dedica l’intero cap. III a “uffici e ministeri nella Messa” (nn. 91 - 111), e delinea con chiarezza i diversi compiti, primi fra i quali i “compiti del popolo di Dio” (nn. 95 - 97).
La qualità spirituale e le capacità comunicative dei ministri non possono certo supplire all’eventuale debolezza del resto dell’assemblea nell’impegno a celebrare “in spirito e verità”. Si richiede loro, tuttavia, di spendersi in modo responsabile nei loro rispettivi compiti di guide esemplari e di esperti animatori.
QUANDO
La liturgia della Chiesa, mentre si svolge secondo un impianto temporale ciclico, vive simultaneamente il cammino del tempo nella storia: è insieme ripetitiva e attualizzante. Il suo stesso ripresentarsi con regolarità negli spazi della vita dei credenti offre loro di celebrarla ogni volta in modo nuovo e autentico.
Essa assume come quadro cronologico il succedersi dei giorni e delle stagioni, ma vi compone una serie di appuntamenti ricchi di senso, che sono sensibili ai loro significati naturali e culturali, ma intersecano in modo puntuale gli eventi cruciali della storia della salvezza.
Il cuore del tempo liturgico è il mistero della Pasqua, notte e giorno decisivi nel vissuto dei cristiani. Attorno a questo “giorno che il Signore ha fatto”, e come da una vitale sorgente, si collocano il ciclo settimanale e quotidiano, nel quadro dei diversi tempi liturgici. L’Eucaristia caratterizza l’assemblea domenicale e arricchisce i giorni della settimana, mentre le stagioni liturgiche - Avvento e Natale, Quaresima e Pasqua, tempo per annum - accompagnano la Chiesa nel ripercorrere e celebrare gli eventi della vita del Signore Gesù. Le memorie e le feste dei santi di ogni tempo rimettono nel cuore di tutti la loro vita esemplare e rafforzano la comunione con chi “ci ha preceduto nel segno della fede” (Preghiera Eucaristica I)
La cura pastorale del Triduo pasquale e delle grandi solennità dell’anno dovrebbero fissare l’orientamento di ogni programma di animazione liturgica, che metta in atto tutte le capacità della comunità locale. Lo scorrere dei giorni feriali richiede il rispetto della differenza dal momento festivo, ma non autorizza nessun calo nella cura della preghiera dell’assemblea.
LE ARTI
“La Chiesa non ha mai avuto come proprio un particolare stile artistico ma, secondo l’indole e le condizioni dei popoli e le esigenze dei vari riti, ha ammesso le forme artistiche di ogni epoca (..). Anche l’arte del nostro tempo e di tutti i popoli e paesi abbia nella Chiesa libertà di espressione, purché serva con la dovuta riverenza e il dovuto onore alle esigenze degli edifici sacri e dei sacri riti (..).” (Sacrosanctum Concilium, 123). “La letteratura e le arti sono di grande importanza per la vita della Chiesa” (Gaudium et Spes, 62)
Il celebrare “per ritus et preces” comporta che ogni modulazione dell’espressione rituale abbia una sua forma (“il contrario della forma non esiste”…). Cercare di celebrare “in bellezza” (san Pio X) vuol dire rendersi conto che la qualità di ogni elemento del rito (architettura, arti plastiche, arti della parola e della musica, arti del gesto e del movimento) ha necessariamente un’evidenza - anche se forse implicita - e quindi un impatto sull’assemblea che celebra. Trascurare, o ammettere che vi sia trasandatezza nei diversi aspetti dell’azione liturgica e del suo contesto, significa pensare che bastino le migliori intenzioni, o che comunque non ci si debba fermare all’esteriorità, perché questo disturba o rallenta l’esecuzione del rito. Invece, anche il minimo tocco di grazia, che vada oltre la pura formalità e manifesti che si dà credito a una certa (possibile) bellezza, apre gli occhi e il cuore rendendoli più recettivi e coinvolti.
Le arti offrono più che una correttezza utilitaria: se non tutte sono sempre a disposizione, fa parte dell’animazione anche il farsi carico attento di un loro almeno iniziale contributo positivo.
Le arti impegnate nel servizio liturgico sono l’architettura e l’arredo; la pittura (affreschi, tele e decorazioni) e la scultura; le arti della proclamazione, del canto e della musica strumentale (accompagnamento e proposte di ascolto), le arti gestuali (in particolare la coreutica, arte ancora tutta da sdoganare, in Occidente, e da porre a rigoroso servizio del rito). In linea di massima, tutte hanno cittadinanza liturgica, nella inevitabile varietà delle tendenze culturali locali e dell’epoca, ma richiedono sempre una ragionevole valutazione, partendo dal ’come celebrare’ e dal singolo contesto culturale/ecclesiale.
‘Arti’ vuol dire ‘artisti’: il loro apporto serio e, se possibile, professionale, è decisivo per la qualità delle azioni rituali. Soprattutto per le arti esecutive non è fuori luogo dare spazio e responsabilità a un’intervento di tipo registico: la complessità dell’azione liturgica guadagna molto se viene indirizzata, con competenza, in modo da favorire la comunicazione e la partecipazione, evitando un agitarsi confuso o puramente cerimoniale. Non vi è solo una bellezza delle cose, ma anche del fare, e del fare celebrando.