Ripensare la responsabilità
Se si legge il Messaggio dal punto di vista della pedagogia, e in particolare di una pedagogia della comunicazione, è facile trovarne la cornice (o, se si preferisce, il tema generativo) nella costruzione della cittadinanza. Si tratta di un tema che da sempre appartiene alla riflessione della Media Education.
La cittadinanza è, da una parte, riprendendo Paulo Freire, capacità di pensare con la propria testa per non lasciarsi influenzare né da chi detiene i grandi media (le majors, le televisioni, gli editori), né da quel che pensano i più (la pressione di conformità che nei social spesso porta a cercare più la reputation che la verità della comunicazione): dunque, libertà di pensiero e rifiuto del conformismo.
D’altra parte, la cittadinanza è capacità di usare i linguaggi per esprimere il proprio punto di vista e dar corpo alla partecipazione: dunque, “fare politica”, nel senso alto della pòlis, della cura del bene comune, dell’attenzione alla cosa pubblica come patrimonio di tutti e soprattutto come compito di salvaguardia perché le giovani generazioni possano sperare nel futuro.
Queste due dimensioni della cittadinanza attiva negli ultimi anni si sono venute ad associare in maniera sempre più significativa alla diffusione dei media digitali e sociali. Infatti, questi media, tra le loro numerose caratteristiche hanno quella di consentire a chi li usa non solo di ricevere messaggi, ma soprattutto di produrne e pubblicarne con estrema facilità. I media digitali e sociali sono macchine autoriali: la loro affermazione nel nostro sistema di vita ha comportato la nascita di una nuova idea di spettatore, uno “spettautore” che è allo stesso tempo destinatario e produttore di messaggi.
La risposta dell’educazione a questo stato di cose è la consapevolezza che allenare il pensiero critico non basta più. Ovvero: se al tempo dei media di massa, essere capaci di “leggere i messaggi” criticamente significava garantirsi che le persone avessero le risorse sufficienti a non farsi condizionare, a produrre un “pensiero proprio” in risposta al rischio del “pensiero unico” (Martin Barbero), oggi questo non è più sufficiente perché rappresenta solo la metà dell’opera. Non basta più educare lo spettatore, occorre anche educare il produttore che ogni spettatore è diventato grazie allo smartphone che si porta in tasca. Questo significa che insieme al pensiero critico occorre sviluppare anche la responsabilità.
A cosa si pensa? Si pensa di solito alla responsabilità in termini negativi: responsabilità è consapevolezza di quel che è bene non fare, è conoscere i limiti oltre i quali non spingersi, è il politically correct. Un’idea giuridica e non morale della responsabilità. Il merito del Messaggio è di rilanciare, invece, sulla responsabilità in senso positivo e cristianamente attivo. Essa è: inclusione, “scegliere con cura parole e gesti per superare le incomprensioni, guarire la memoria ferita e costruire pace e armonia”; formazione, “coraggio per orientare le persone verso processi di riconciliazione”; correzione fraterna, “ammonire chi sbaglia, denunciando la cattiveria e l’ingiustizia di certi comportamenti, al fine di liberare le vittime e sollevare chi è caduto”.
Se si capisce questo, allora si potrà guardare ai media non pensando ai rischi che possono farci correre, ma alle straordinarie opportunità per il bene che ci offrono.
Pier Cesare Rivoltella
*docente di didattica generale e tecnologie dell'educazione all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e presidente del CREMIT