Se anche le sbarre di una cella possono essere trasfigurate nella Porta Santa, che segna il passaggio dal peccato al perdono, allora il regno di Dio è davvero vicino a noi, come ha detto il Signore scacciando i demoni (Lc 11, 20). La parola del Papa, che appare nella Lettera sul Giubileo inviata a monsignor Fisichella, riguarda coloro che «pur meritevoli di pena», hanno tuttavia «preso coscienza dell’ingiustizia compiuta» e desiderano sinceramente portare il loro onesto contributo al bene comune. Dio è capace di una trasformazione del cuore del tutto imprevedibile per la conoscenza e l’esperienza della nostra umana vulnerabilità. E persino della nostra ostinazione.
La misericordia al centro del Giubileo è destinata ad impiantare nella coscienza degli umani – di tutti, non solo dei credenti – una singolare verità della parola cristiana sul senso della storia. Da che i nostri delitti sono per sempre inchiodati alla croce di Gesù, l’umanità sa di non essere inchiodata per sempre ai propri delitti. Quando l’ispirazione a guardare con orrore la grave ingiustizia commessa è accolta davanti allo sguardo di Dio, si può cambiare la storia e sfidare il destino. Il Giubileo è un atto che punta dritto in quel punto. La Chiesa eredita un’antica liberatoria biblica, che apre il varco alla remissione della pena, e ne proietta il senso sull’eternità del perdono della colpa. Il Volto del Padre che accoglie e perdona «dimenticando completamente» il peccato commesso. L’aveva detto Gesù: gli zoppi ritornano a camminare, i disperati a credere, i poveri a sperare, i posseduti a ridiventare umani. Gli uomini possono cambiare dentro. E se cambiano dentro, le presunte leggi della biologia e della psiche, della società e della cultura, dovranno farsene una ragione e prenderne atto. Per quando accade, la Chiesa si inchina all’obbedienza della sua fede, e fa trovare aperta la Porta.
Non si affoghi nella retorica il senso di questo evento giubilare. La Chiesa, qui, sfida anche se stessa. Ricorda a se stessa il limite della sua stessa regola: la sua disciplina è sacra, ma non più della Porta della Misericordia di Dio (salus animarum suprema lex). Il Figlio lo sapeva benissimo chi siamo, e come siamo fatti. Sapeva della corruzione del mondo, e persino dei discepoli: del loro tradimento della comunione, delle loro rotture della fraternità. E disse parole di fuoco, per le vittime inermi che il nostro peccato conduce all’avvilimento e persino alla morte. Nessuno si prenda gioco del suo vangelo.
Eppure lo Spirito, instancabile, semina orrore per l’indifferenza e l’ostinazione delle nostre colpe. E se possiamo abbracciare questo orrore, non sprofonderemo con esso. Il Giubileo apre la Porta e la Chiesa dice: "Nessuno può rientrare nel grembo di sua madre, ma se ascolti lo Spirito, tu puoi rinascere". Si può rinascere dall’impossibile. Non è la perfezione che cambia la storia: sarebbe già affondata. È la conversione che la cambia. La cambia individualmente e anche collettivamente. Essa toglie al passato il suo pungiglione: e per ogni figlio al quale fu impedito di nascere, può risarcisce il futuro di mille creature vulnerabili che nessuno aspettava.
Il mondo è diventato incerto – se non incredulo – su questi cambiamenti della storia. Si aspetta di ottenerli dalle sue equazioni e dalle sue manipolazioni. Intanto semina generazioni di rassegnati e di disperati. La Chiesa apre la Porta e intima agli spiriti maligni di lasciare la presa. Se ci crede con tutte le sue forze – spirituali e corporali – la montagna finirà nel mare, gli spiriti maligni lasceranno la presa e il nostro delirio di onnipotenza dovrà riconoscersi sconfitto. Mi è particolarmente caro il richiamo di papa Francesco alle opere della misericordia spirituale e corporale. Il loro linguaggio è popolare, ma è ora di trafiggere il sorrisino di compatimento che ne accompagna sovente la citazione (fra i laici, come fra gli ecclesiastici). Non conosco traduzione più esatta, al millimetro, degli atti evangelici attraverso i quali Gesù ha rivelato Dio e cambiato la storia. Gli stessi sui quali saremo tutti giudicati. La Chiesa non ha un progetto diverso, o più alto, di questo.
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Fonte:
Avvenire 2 settembre 2015