Si terrà a Roma il 19 e 20 gennaio 2009 (Centro Congressi Via Aurelia 796) il convegno “Chiesa in rete 2.0” promosso dall'Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali e dal Servizio informatico della Cei.
“Nell’era di Internet e dei social network non possono mancare le condizioni affinché il servizio alle diocesi e alle parrocchie possa meglio svolgersi con la conoscenza e con l’uso corretto delle nuove tecnologie, che non introducono solo un metodo di lavoro, ma incidono sulla mentalità e sul costume delle persone” spiega don Domenico Pompili, Direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali e portavoce della Cei. “Il convegno sarà anche un modo per riflettere sul tema della Giornata mondiale delle comunicazioni sociali 2009 Nuove tecnologie, nuove relazioni. Promuovere una cultura del rispetto, del dialogo, dell’amicizia – aggiunge don Domenico Pompili -. La prospettiva prediletta dal Santo Padre è positiva. Pur senza negare l’ambivalenza del fenomeno ‘nuove tecnologie’ per quel che comporta il ridisegnare le dinamiche relazionali, l’invito è ad andare oltre. Di qui le tre grandi mete verso le quali orientarsi: il rispetto, il dialogo e l’amicizia. Declinare il tema scelto da Benedetto XVI per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali sarà l’impegno dalla quale partiranno anche i relatori che interverranno al convegno del 19 e 20 gennaio prossimi”. Sarà S.E. Mons. Mariano Crociata, Segretario Generale della CEI, ad aprire l’appuntamento con un saluto. Seguirà l’introduzione di Don Domenico Pompili e la tavola rotonda, moderata da Francesco Ognibene, giornalista del quotidiano Avvenire, sul tema “Internet e diocesi: tra comunicazione istituzionale e Web 2.0”. Il convegno si rivolge ai webmaster e ai responsabili dei siti diocesani, ai direttori degli uffici per le comunicazioni sociali delle diocesi, agli incaricati diocesani per l’informatica e ai collaboratori dei mass media diocesani e “vuole contribuire a collocare più saldamente le iniziative diocesane in questo contesto generale, evidenziando anche il contributo della Cei in termini di piattaforme comuni, strumenti, servizi e competenze – dice Giovanni Silvestri, Responsabile del Servizio informatico della -. Il Si.Cei, da anni è impegnato al fianco di diocesi e parrocchie, di istituti religiosi, delle associazioni e delle aggregazioni laicali sul fronte delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Per valorizzare tutto il patrimonio esistente in un territorio diocesano, occorrono risorse, ma è importante comprendere un panorama complesso come Internet”. Il convegno si tiene a quasi nove anni di distanza dal primo che nel Duemila si svolse ad Assisi sul tema “Chiesa in rete. Nuove tecnologie per la pastorale”.
L'evento si aprirà con il saluto e l’introduzione di S.E. Mons. Mariano Crociata, Segretario Generale della Cei, di Don Domenico Pompili, Direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali e del Dott. Giovanni Silvestri, Responsabile del Servizio informatico della Cei. Interverranno tra gli altri il Prof. Adriano Fabris, Docente di filosofia morale all’Università di Pisa, il Prof. Giuseppe Mazza, Docente di Teologia fondamentale e comunicazioni sociali della Pontificia Università Gregoriana, il Prof. Stefano Martelli, Docente di sociologia dei processi culturali e comunicativi dell’Università di Bologna, il Prof. Daniel Arasa, docente di struttura dell’informazione e comunicazione digitale della Pontificia università della Santa Croce.
Vincenzo Grienti ha intervistato sull'argomento Adriano Fabris, docente di filosofia morale presso l’Università di Pisa.
Professore, basta poco per comprendere che su Internet qualcosa è cambiato. Vedi alla voce Facebook e MySpace e scopri che c’è un mondo differente rispetto a quello di qualche anno fa. La Chiesa con i due documenti pontifici Chiesa e Internet e Etica in Internet ha dato alcuni orientamenti, così come il Direttorio sulle comunicazioni sociali. Nonostante ci sia sempre stata una netiquette più o meno rispettata dagli utenti, quali sono secondo lei gli aspetti etici che potrebbero essere osservati davanti a fenomeni come i social network e le applicazioni che favoriscono la partecipazione collaborativa?
Credo che, in relazione al Web 2.0, ciò che è davvero cambiato rispetto all'immediato di utilizzo passato della Rete è il fatto che oggi Internet è davvero pensato in funzione di una comunità. Non c'è più solamente l'idea dell'ipertesto, del testo di testi fra i quali si può navigare a proprio piacimento. Non c'è più solo l'idea del link, a cui si può arrivare cliccando con il mouse. C'è piuttosto l'idea che la rete è uno spazio di partecipazione. E, dunque, l'individuo in sé isolato non ha più valore se non è in relazione con altri. Più precisamente, grazie alla struttura della rete, io sono quello che sono solo per gli altri. Resta però da approfondire quali modalità di relazione partecipata questa situazione rende possibili. Resta da domandarsi - e questo è il compito dell'etica - a quali condizioni questa partecipazione diventa qualcosa di buono.
Nel rapporto tra la diocesi e il web, quale relazione può esserci tra la presenza istituzionale e un’etica della partecipazione?
C'è l'opportunità di cogliere le possibilità di partecipazione che la rete offre anche a livello di presenza istituzionale. Molte sono già le esperienze in corso da parte delle comunità, delle parrocchie, delle Diocesi. E non stupisce la vitalità e la fecondità di queste esperienze. Dal sito come vetrina e come occasione di contatto si è in molti casi già passati al sito o al portale come luogo di condivisione. Oppure si sono utilizzate le forme di socializzazione già presenti nel Web - le communities istituite - come occasione per una presenza cristiana. Quale modello potrebbe profilarsi in futuro per le diocesi in un ambiente come Internet dove il web 2.0 sta prendendo sempre più piede?
Credo che la Chiesa sia sempre stata particolarmente sensibile agli sviluppi delle nuove tecnologie comunicative, come è dimostrato dai documenti "Etica in internet" e "La Chiesa e Internet". Ora si apre certamente una fase nuova, da affrontare con il dovuto discernimento. Infatti la Rete è un fenomeno ambiguo: luogo di legami possibili e di opportunità; spazio che rischia di creare e mantenere disuguaglianze. Personalmente credo che il modello che potrebbe profilarsi per una presenza sempre più caratterizzata della Chiesa in Rete sia quello che tiene sempre ben distinti ambito del reale e dimensione virtuale: attingendo fecondamente a quest'ultima, ma evitando che essa sostituisca l'esperienza concreta in cui viviamo. Che per il cristiano, non dimentichiamolo, è esperienza del prossimo.
Giuseppe Mazza, docente di Teologia fondamentale e comunicazioni sociali della Pontificia università gregoriana, terrà al prossimo convegno “Chiesa in rete 2.0” promosso dall’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali e dal Servizio informatico della CEI il 19 e 20 gennaio prossimo. Vincenzo Grienti gli ha posto alcune domande.
Per la comunità cristiana l’avvento del villaggio globale e delle nuove tecnologie può essere assunto come “un segno dei tempi”. E’ un evento che ci impone di reinventare il nostro modo di vivere insieme e di ripensare le nostre strutture di socialità e i nostri stessi paradigmi culturali?
La risposta deve tener conto di alcune ambiguità di fondo legate alle dinamiche della virtualità e alla nozione stessa di villaggio globale. In genere, potremmo dire che se da un lato è vero che la “sfida” della globalità comunicativa apra nuovi orizzonti culturali e invochi nuove formule di socialità, dall’altro l’uomo sembra riscoprire – proprio in seno ad essa – dimensioni della relazionalità che gli sono da sempre proprie. Esse non “aumentano” la sua ricchezza antropologica, ma la chiamano in causa, la evocano. È davvero la “nuova” tecnologia a inventare “nuove” socialità? Probabilmente no. In un certo senso, infatti, essa si limita ad amplificare l’esperienza dell’uomo nel suo mondo, esaltando entrambi i termini in gioco l’uomo e il mondo, appunto – ed enfatizzandone le occasioni d’incontro.
Con internet in genere, ma con il Web 2.0 siamo di fronte a un nuovo quadro antropologico che non può non interpellare chi si occupa di comunicazioni sociali. Quale rapporto tra “questione antropologica” e nuove tecnologie anche alla luce del prossimo tema per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali?
Negli ultimi anni è divenuto sempre più chiaro che lo sviluppo di internet interpelli, prima ancora di una (pur legittima) istanza morale, l’epistemologia stessa dell’io umano, il suo lasciarsi dire come processo che assorbe progressivamente il proprio contesto, lo informa di sé, si umanizza umanizzando il mondo. È ciò che il tema per la prossima Giornata delle comunicazioni individua come “relazione”, a monte del rapporto tra antropologia e tecnologie dei new media. Internet diventa uno spazio dell’uomo, uno spazio umano in quanto popolato da uomini; non più un terreno vergine, un contesto inerte o un asettico luogo di scambio, bensì l’ambito – brulicante di vita – dell’umanità dell’uomo: un ambiente antropologicamente qualificato, nel senso più stretto.
In questo quadro di cambiamento e in una situazione esistenziale che il sociologo Bauman ha definito come “solitudine del cittadino globale”, c’è il pericolo che l’uomo si perda nei meandri del virtuale sganciandosi dalla realtà?
Il rischio è senza dubbio tangibile. Pur essendo il virtuale una dinamica dell’uomo, l’uomo stesso può decidere di isolarvisi, relegando se stesso in una “parte di sé”. E ancora: nonostante la fenomenologia dei nuovi media lasci spesso ipotizzare il sostrato di una socialità effervescente, la capacità di progettare e accogliere relazioni autentiche rischia sovente di risultarvi assai ridotta, in proporzione diretta alla povertà comunicativa (solitudine) dei legami. Anomia, indebite equalizzazioni delle differenze di status, instabilità, interazioni scarse (se non distorte) tra identità fittizie lasciano intendere che virtualità e legame umano autentico non si implicano necessariamente a vicenda: una loro sintesi matura va guadagnata progressivamente, attraverso una cultura del dialogo, della condivisione rispettosa e dell’amicizia.
Marco Tosatti