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 Sussidio Avvento-Natale 2011 - Immacolata Concezione, 8 dicembre - Approfondimento: Fragilità (1ª parte) 
Approfondimento: Fragilità (1ª parte)   versione testuale
Mettersi alla scuola dei poveri e degli ultimi nel tempo di Avvento
La fragilità radicale: il peccato
 
La festa dell’Immacolata Concezione ci ricorda che la fragilità radicale, il vero limite che attanaglia l’umanità e le impedisce di vivere nella pace, è il peccato. Rileviamo, tuttavia, la difficoltà nella nostra cultura di arrivare ad una reale comprensione del peccato: ne consegue che i suoi effetti negativi si ritrovano come moltiplicati, e le persone oggi vivono, per così dire, con una doppia fragilità: quella che consegue dalla condizione umana, sia per i limiti creaturali, sia per la presenza di un atteggiamento di fondo che tende a isolare Dio dalla vita; e in più la fragilità che deriva dal mancato riconoscimento della situazione: si ha talvolta l’impressione di vedere alcuni che si comportano come cardiopatici incoscienti che si avventurano in una maratona, o giovani ubriachi che ballano su un lago ghiacciato in procinto di rompersi. Risulta inutile ogni avvertimento, ogni tentativo di allarme: come leggiamo nell’Antico Testamento, ogni voce profetica viene bandita e messa a tacere. Quando si arriva al punto di rottura è troppo tardi: e qui si verifica un terzo fattore di moltiplicazione della fragilità. Chi alla fine si scontra con il proprio fallimento rischia di non avere risorse per rialzarsi, né si ritrova attorno una comunità accogliente. Quasi che il fallimento sia il vero peccato… Ma perché si verifica la difficoltà di riconoscere non solo la propria condizione peccatrice (questo, infatti, è proprio dei credenti in Cristo), ma anche la realtà del male presente nella nostra vita?
 
 
Coscienza, fragilità, punizione
 
L’abbandono della tradizione cristiana, e l’immersione nella mentalità mondiale globalizzata (che non è più neppure, forse, il caso di chiamare relativismo: istinto e schemi arcaici tendono a prendere il posto di un pensiero riflesso, anche se supportati dalla magnificenza tecnologica e mediatica) ha fortemente indebolito il ruolo della coscienza. Il male viene percepito unicamente in base alle sue eventuali conseguenze negative, immediate e visibili: è il ritorno dell’arcaica equivalenza peccato-punizione, schema diffusissimo presso molte culture del mondo globale. Secondo questa sensibilità, la colpevolezza è legata all’essere scoperti e puniti: un peccato non visto non è peccato. Si tratta, peraltro, di uno schema ben noto alla Scrittura, che appare anche nell’ingenuo tentativo di Adamo di nascondersi dalla presenza di Dio. Nella nostra realtà tecnologica, lo schema conosce una nuova, inedita versione: l’essere scoperti infatti non dipende dalla coscienza di una divinità, o dalla vigilanza di una comunità, ma diventa un fatto mediatico. Per cui il male è inteso più o meno come l’apparire denigrati dai mezzi di comunicazione, l’essere scoperti dall’occhio delle telecamere. L’uomo televisivo-informatizzato è sempre più informato dei peccati altrui, sempre più sottoposto a dosi massicce di scandalo e violenza, ma sempre meno coinvolto. Dalla sua poltrona è in contatto con il mondo, ma ha sempre meno tempo per scendere sulla strada, a contatto con i fratelli. Come è possibile riprendere coscienza del male e del peccato? Quale azione educativa è possibile nei confronti degli adulti e dei giovani? Come è possibile ridestare nelle comunità cristiane un contatto reale con la propria fragilità e quella del mondo?
 
 
Mettersi alla scuola dei poveri e degli ultimi
 
Qui entra in campo un altro tipo di fragilità: quella di chi soffre, dei malati, dei poveri, di chi senza sua colpa ha perso tutto. A volte non è facile distinguere in una persona dove comincia il peccato, e dove invece hanno peso i limiti personali. A volte invece la sofferenza appare del tutto sproporzionata rispetto al peccato personale. Chi vive la sofferenza può essere protagonista di una educazione della coscienza. La sua stessa presenza pone alcuni interrogativi di fondo, mette in discussione le certezze illusorie. Certamente, occorre riconoscere che il dolore ha una dimensione di assurdità insondabile; solo Cristo con la sua croce la rischiara, ma appunto senza svelarla, anzi, immergendosi in essa per poi risorgere. E tuttavia nell’incontro con la fragilità avviene un’esperienza del tutto particolare, in cui si annullano i confini tra chi assiste e chi è assistito, tra chi aiuta e chi è aiutato. Perché è necessario che ciascuno dei due metta a nudo la propria fragilità: più evidente per chi si ritrova nel bisogno, nascosta e latente in chi si presenta come colui che aiuta.
Gli Orientamenti pastorali in questo senso parlano di “mettersi alla scuola dei poveri e degli ultimi”.
La carità educa il cuore dei fedeli e svela agli occhi di tutti il volto di una comunità che testimonia la comunione, si apre al servizio, si mette alla scuola dei poveri e degli ultimi, impara a riconoscere la presenza di Dio nell’affamato e nell’assetato, nello straniero e nel carcerato, nell’ammalato e in ogni bisognoso. (EDUCARE ALLA VITA BUONA DEL VANGELO, n. 39).
 
 
Un impegno per la comunità
 
Cristo si è sempre dedicato ai malati e ai sofferenti; si presenta come colui che è inviato “a portare il lieto annunzio ai poveri” (Isaia 61,1); ha mandato i suoi discepoli a compiere i suoi stessi gesti. La stessa attenzione è dunque costitutiva della comunità cristiana. Solo una Chiesa che nella sua esistenza quotidiana non solo assiste la fragilità, ma si scopre anche costituita da persone povere, fragili, esposte alla precarietà dell’esistenza, può essere una Chiesa che annuncia e testimonia la liberazione dal peccato, compiuta da Cristo. Gli orientamenti pastorali per il decennio sull’educazione danno indicazioni lucide ed essenziali: la comunità cristiana è pronta ad accogliere e valorizzare ogni persona, anche quelle che vivono in stato di disabilità o svantaggio. Per questo vanno incentivate proposte educative e percorsi di volontariato adeguati all’età e alla condizione delle persone, mediante l’azione della Caritas e delle altre realtà ecclesiali che operano in questo ambito, anche a fianco dei missionari. (EDUCARE ALLA VITA BUONA DEL VANGELO, n. 39).
Proponiamo solo alcune annotazioni. Il primo livello indicato è quello personale: “accogliere e valorizzare ogni persona”. Prima dell’organizzazione, è necessario un incontro; ogni organizzazione, è finalizzata ad un incontro reale, tra fratelli, figli di Dio. Un secondo livello è quello delle proposte educative e iniziative di volontariato, differenziate per età e condizione: si tratta di moltiplicare le possibilità, perché ognuno trovi il suo posto. Un terzo livello è quello della Caritas e delle realtà ecclesiali, che aiutano la Chiesa tutta ad essere presente accanto alla fragilità; vengono ricordati, infine, i missionari, coloro che operano sulla frontiera, al confine, che portano a scavalcare i limiti, a scoprire nuovi modi di prossimità.