di STEFANIA CAREDDU
Che la Chiesa abbia deciso di abitare il mondo post-mediale è un dato di fatto. Oggi però è chiamata a «un altro passo in avanti» per «educare alla vita buona del Vangelo anche la generazione dei nativi digitali». È questo l’incoraggiamento che monsignor Mariano Crociata, segretario generale della Cei, ha rivolto agli oltre 200 partecipanti provenienti da 85 diocesi al Seminario «Diocesi in rete», promosso a Roma dall’Ufficio nazionale per le Comunicazioni sociali (Uncs) e dal Servizio informatico della Conferenza episcopale italiana.
Un’iniziativa il cui titolo, ha fatto notare monsignor Crociata, rimanda sia ad «un’effettiva presenza della testimonianza ecclesiale nel mondo digitale», sia «al vincolo di collaborazione, di scambio e di comunione che caratterizza il rapporto fra le Chiese che vivono in Italia ». Dopo il convegno «Testimoni digitali» dello scorso aprile culminato nell’udienza con Benedetto XVI, dunque, la Chiesa italiana torna a riflettere sulle potenzialità della rete per l’annuncio oltre che sul modo di vivere da cristiani in un mondo caratterizzato dalle nuove tecnologie. E lo fa in linea con gli Orientamenti pastorali del prossimo decennio che chiedono alle comunità ecclesiali di «assumere consapevolmente l’azione educativa nell’orizzonte culturale e sociale». «Interrogarsi sui modi di abitare il continente digitale significa che non è tanto il cambiamento tecnologico in sé, quanto il riflesso antropologico, il nostro modo di lasciare tracce nel paesaggio digitale che ci sta a cuore», ha sottolineato monsignor Domenico Pompili, direttore dell’Uncs e sottosegretario Cei. «In tale contesto, la Chiesa – ha affermato – dovrà essere sempre meno 'istituzione primaria' e sempre più 'istituzione intermediaria', sempre meno nicchia e sempre più minoranza creativa, sempre meno strumento di una trasmissione e sempre più luogo di un incontro». In sintesi: «Sempre meno 'comunità virtuale' e sempre più 'social network'». Proprio perché, ha spiegato monsignor Pompili, il social network si configura come «un terzo luogo tra pubblico e privato, tra personale e sociale, che può consentire di rimettere insieme il puzzle sociale, che può fungere da spazio di intermediazione, in un contesto sociale sfilacciato e potenzialmente esplosivo».
Ma 'esplosiva' è, per padre Antonio Spadaro, redattore de La Civiltà Cattolica, anche la logica della rete «che implica che la conoscenza passi per la relazione». «Per conoscere – ha rilevato – non basta pubblicare o trasmettere un messaggio: occorre condividerlo: questo a sua volta impone che ci si apra a spazi di condivisione, cioè alle reti sociali in cui ciò che è dato sia condiviso». Del resto, ha osservato padre Spadaro, «la fede non è fatta solo di informazioni» e la Chiesa «non è luogo di mera trasmissione». Al contrario, ha precisato, «la Chiesa in rete è chiamata non solo a una emittenza di contenuti da siti istituzionali, ma anche a una testimonianza in un contesto di relazioni ampie».
Una necessità ancora più impellente nella società odierna dove, secondo Gianni Riotta, direttore del Sole24Ore, «è in atto una battaglia tra tenebre e luce». «Dobbiamo impegnarci a dire che il relativismo è una malattia: nella rete ciò che è bene è bene, ciò che è vero è vero, ma ciò che è male è male e ciò che è falso è falso». Tuttavia, ha evidenziato Riotta, ai professionisti dell’informazione è richiesto uno sforzo di umiltà per «evitare che l’irritazione renda arroganti e impedisca di distinguere nella rete tra narcisismo e genuina ricerca di condivisione e partecipazione».