Il problema dell’adozione da parte degli enti ecclesiastici
del regolamento previsto dall’art. 3 del DM 200/2012
Brevi considerazioni
Secondo quanto previsto nel decreto 200/2012, l’esenzione dall’imposta IMU per gli immobili utilizzati dagli enti non commerciali e destinati esclusivamente allo svolgimento delle attività istituzionali spetta solo se tali attività sono svolte con modalità non commerciali.
Ai sensi dell’art. 3 del decreto 200/2012, “Le attività istituzionali sono svolte con modalità non commerciali quando l'atto costitutivo o lo statuto dell'ente non commerciale prevedono: a) il divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili e avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell'ente, in favore di amministratori, soci, partecipanti, lavoratori o collaboratori, a meno che la destinazione o la distribuzione non siano imposte per legge, ovvero siano effettuate afavore di enti che per legge, statuto o regolamento, fanno partedella medesima e unitaria struttura e svolgono la stessa attività ovvero altre attività istituzionali direttamente e specificamente previste dalla normativa vigente; b) l'obbligo di reinvestire gli eventuali utili e avanzi di gestione esclusivamente per lo sviluppo delle attività funzionali alperseguimento dello scopo istituzionale di solidarietà sociale; c) l'obbligo di devolvere il patrimonio dell'ente non commerciale in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altro ente non commerciale che svolga un'analoga attività istituzionale, salvo diversa destinazione imposta dalla legge.”
La Risoluzione 1/DF del 2012 e le istruzioni per la dichiarazione Imu/enti non commercialihanno chiarito che gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti per potere usufruire delle esenzioni previste debbano adottare un regolamento - redatto con scrittura privata registrata - che recepisca le previsioni di cui all’art. 3 del decreto 200/2012 appena richiamato. Al riguardo, le maggiori criticità derivano dalla previsione di cui all’art. 3, c. 1, lett. c), in base al quale sussiste “l'obbligo di devolvere il patrimonio dell'ente non commercialein caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altro ente noncommerciale che svolga un'analoga attività istituzionale, salvodiversa destinazione imposta dalla legge”. Alla luce di tale previsione, in caso di estinzione dell’ente o di cessazione da parte di questo dell’attività esente dall’imposizione, o di cessazione di tale attività con modalità non commerciali[1], lo stesso ente è obbligato a devolvere il proprio patrimonio ad altro ente, perdendone così la disponibilità.
A fronte di tale previsione, alcune interpretazioni hanno considerato non opportuno per gli enti ecclesiastici adottare il regolamento, pure a costo di rinunciare così ad avvalersi dell’esenzione prevista per gli immobili utilizzati per le attività .
Altre interpretazioni, rilevando che in tal modo si verrebbe a rinunciare a una agevolazione prevista dalla legge necessaria per le finanze di molti enti, hanno ipotizzato una diversa soluzione. In particolare, hanno proposto di applicare in via analogica all’obbligo di devoluzione di cui al citato decreto quanto previsto per gli enti ONLUS, che perdono la qualifica ONLUS ma rimangono in essere come soggetti giuridici. La circolare 59/E del 31/10/2007 per tali casi ha previsto che l’obbligo di devoluzione riguarda solo la parte di patrimonio che è stata incrementata dopo la acquisizione dello status di ONLUS.
La questione, oggetto di numerosi quesiti da parte delle nostre diocesi, suggerisce di condividere qualche considerazione, fin qui rappresentata caso per caso ai diversi interlocutori, volta a favorire un adeguato inquadramento.
Manca nelle risoluzioni ministeriali relative al decreto 200/2012 un riferimento esplicito alla circolare 59/E/2007. Occorre tuttavia domandarsi se non sia possibile ritenere l’interpretazione dettata dalla circolare 59/E/2007 per il decreto 460/1997 comunque “esportabile” agli enti non commerciali ai fini della esenzione IMU. Da un lato, la formulazione dell’art. 10, c. 1, lett. f) del decreto 460/1997 risulta analoga a quella dell’art. 3, c. 1, del decreto 200/2012. Dall’altro lato, la stessa Risoluzione si richiama espressamente al decreto Onlus, e segnatamente al recepimento delle previsioni di cui all’art. 10, c. 1, di tale decreto (la Risoluzione 1/DF/2012 affermainfatti “Tali enti [gli enti ecclesiastici] devono, tuttavia, comunque predisporreun regolamento, nella forma della scrittura privata registrata, che recepisca le clausole art. 10, comma 1, del decreto legislativo 460 del 1997”).
Non si intende in tal modo prospettare una interpretazione analogica, da escludere nel caso di specie per molteplici ragioni – non si è in presenza di una lacuna normativa; la circolare 59/E/2007 non è una vera e propria norma; l’ammissibilità del ricorso all’analogia in materia tributaria è alquanto controversa – quanto piuttosto una interpretazione sistematica, coerente sotto il profilo logico-funzionale e teleologico, dell’art. 3, c.1, decreto 200/2012. Alla base di tale disposizione sembra infatti possibile rinvenire la medesima logica indicata nella circolare 59/E/2007 (che si richiama sul punto alla circolare n. 168/E del 1998), ossia quella di “impedire all’ente che cessa per qualsiasi ragione di esistere come ONLUS, la distribuzione del patrimonio, costituito anche in forza di un regime fiscale privilegiato, o la sua destinazione a finalità estranee a quelle di utilità sociale tutelate dal decreto legislativo n. 460 del 1997”.
La plausibilità di una simile interpretazione non esclude che, in mancanza di un intervento chiarificatore da parte delle amministrazioni pubbliche competenti, di fronte allacomplessità della materia e alle rilevanti implicazioni che presenta si proceda comunque con la massima cautela. Ferma restando la disponibilità degli uffici e servizi della Segreteria Generale della CEI e in particolare dell’Osservatorio giuridico-legislativo a fornire ogni utile supporto, sembra opportuno che rimanga in definitiva affidato alle singole diocesi e a ogni singolo ente, adeguatamente avvertiti delle difficoltà interpretative sopra richiamate e sulla base della conoscenza delle diverse situazioni concrete (ad esempio circa l’effettiva possibilità di cessare la propria attività, o quanto meno cessare il suo svolgimento con modalità non commerciali, in tempi brevi; la propria consistenza patrimoniale, posto che in alcuni casi il pagamento dell’imposta potrebbe, comunque, in breve tempo, mettere l’ente nella condizione di “chiudere”), valutare l’opportunità dell’adozione del regolamento necessario ai fini dell’esenzione prevista dal decreto 200/2012.
Roma, 21 novembre 2014
[1] Nella circolare Min. Fin., n. 168/E del 26 giugno 1998 è stato precisato che “la perdita di qualifica equivale, ai fini della destinazione del patrimonio, allo scioglimento dell’ente”.