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Luce nelle chiese

Isidre Puig-Boada

» Leggi l'intervista a Marina Corradi
"L'emozione della luce" 

 
18/12/2013
03/06/2014
18/12/2013
18/12/2013
03/06/2014
 
 

18/12/2013
Titolo: “Luce nelle chiese”
Autore: AA. VV.
Editore: Ediplan (2010)
Numero pagine: 208
Prezzo: 22,50 euro
 
 
03/06/2014
La luce è un elemento di enorme rilevanza per ogni architettura: lo è tanto più per le chiese dove all'aspetto funzionale e a quello percettivo si somma il senso simbolico e l'importanza di accompagnamento dell'azione liturgica. Per le chiese nate prima che l'illuminazione elettrica si diffondesse, il problema è come introdurvi gli apparecchi illuminanti senza con questo pregiudicare la relazione tra l'insieme architettonico e le azioni che vi hanno luogo. Per le chiese di nuova concezione il problema è come armonizzare l'insieme architettonico con le diverse fonti di luce che vi partecipano. Nel dialogo apertosi tra esperti nelle diverse materie che afferiscono al tema si elaborano si sono elaborate alcune “linee guida” che possono fungere da riferimento per progettisti e per committenti.
 
18/12/2013
Il volume raccoglie gli Atti dei convegni dal titolo “Luce nelle chiese” svolti nel 2009 a Roma, Milano e Venezia. Tali convegni sono stati organizzati da AIDI Associazione Italia di Illuminazione con il Patrocinio dell’Ufficio Nazionale per i Beni Ecclesiastici della CEI e del Servizio per l’Edilizia di Culto della CEI. Inoltre vi sono esposte le conclusioni cui è arrivata la Commissione Scientifica per l'illuminazione degli spazi liturgici, nella forma delle Linee guida per la progettazione dell'illuminazione nei luoghi di culto.
 AIDI è stata costituita nel 1958 e svolge un'azione di informazione scientifica, tecnica e culturale per la diffusione della conoscenza dei problemi legati ai temi dell’illuminazione.
Ai tre convegni hanno preso parte molti autorevoli studiosi fra cui biblisti, liturgisti, teologi, progettisti della luce, esperti e docenti delle discipline afferenti al progetto della luce. Essendo cospicuo il loro numero, si fa cenno alle cariche ricoperte da questi al momento in cui hanno avuto luogo i convegni, via via che qui di seguito si espone il contenuto delle loro relazioni.
 
 
18/12/2013
«L'introduzione della tecnologia nel luogo di culto è legittima fin quando non sia tradito il senso del luogo e non siano oscurate la memoria che questo evoca e l'attualità dell'evento cristiano. Si dovrà da un lato evitare l'incombenza e la banalità e dall'altro prendere coscienza dei limiti della tecnologia. Un'ottima illuminazione artificiale, ad esempio, non riuscirà a rimediare a una pessima architettura. La tecnologia non potrà compromettere la percezione di sacralità del luogo da parte non solo del fedele ma anche del visitatore occasionale. Il limite e il senso della tecnologia nello spazio sacro non possono che inquadrarsi nella dimensione teologica, liturgica e pastorale. E la matita del progettista potrà operare la sintesi solo in quanto siano anche questioni vissute e non semplicemente imparate. In caso contrario si possono verificare pericolose e fuorvianti derive socializzanti, tecnologiche o artistiche, che poco o nulla hanno da spartire col mondo spirituale...
Per l'ingegneria vi è una linea di demarcazione tra le chiese antiche e moderne. Nelle prime è raramente possibile una completa integrazione di moderni impianti senza sensibili interventi su strutture che finirebbero per perdere con essi la loro intangibilità storica: è dunque preferibile la via della giustapposizione, nella quale l'evento tecnologico rimane estraneo all'architettura e completamente reversibile. Nelle seconde vi è invece la possibilità di progettare puntando a conseguire una completa e armoniosa integrazione tra impianti e strutture, nel quadro di un unico pensiero progettuale che nasca da una sintesi di competenze: teologiche, cultuali, culturali, liturgiche, architettoniche, impiantistiche. Unico pensiero che dovrà dilatarsi oltre la mera fase progettuale per coprire anche la direzione dei lavori, il collaudo, fino alla stessa gestione e manutenzione». (Dall'intervento di Lorenzo Fellin, Presidente della Commissione Scientifica AIDI per l'illuminazione degli spazi liturgici. Pagg. 139-140)
 
18/12/2013
Donatella Forconi (Architetto e docente, si è occupata del Coordinamento dei convegni e della Segreteria della Commissione scientifica AIDI per l'illuminazione degli spazi di culto) riferisce nella Prefazione su come vi fosse, all'inizio, carenza di dialogo tra mondo dei committenti ecclesiastici e tecnici. Ma il dialogo è stato presto allacciato tra AIDI e responsabili della Conferenza Episcopale Italiana attraverso seminari che hanno destato l'interesse e la partecipazione del mondo dei professionisti, dando luogo al costituirsi della Commissione scientifica il cui lavoro si è tradotto nelle Linee Guida per la progettazione della luce nelle chiese e nella realizzazione dei convegni svoltisi a Roma, Milano e Venezia. Dalla varietà dei contributi, spiega la Forconi, si comprende che anche nelle “Linee Guida” non si trova una «risposta univoca per la progettazione in luoghi che esprimono culture, caratteristiche e riferimenti tanto diversi tra loro. Il dato non esime, però dalla ricerca di regole che stabiliscano relazioni, paralleli, scambi, gerarchie di valori, priorità». Sono infatti «regole fatte per essere riferimento non coercitivo, semmai spunto per una dialettica costruttiva».
 
S.E. Mons. Mariano Crociata (all'epoca Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana) ha ricordato come da sempre la liturgia ricorra «alla luce per esprimere l'irruzione del misero di Cristo Signore nella storia e nella vita dell'uomo» per far memoria del «fatto che Cristo è venuto a illuminare le menti e i cuori». Come si legge in Gv 8,12, Gesù afferma: “Io sono la luce del mondo; chi segue me non cammina nelle tenebre ma avrà la luce della vita”. È bene dunque che il convegno cominci ambientando il tema luce nella liturgia e nelle Sacre Scritture per poi passare a un esame più tecnico e specialistico di carattere architettonico.
 
Gianni Drisaldi (Presidente dell'Associazione Italiana di Illuminazione), ha rimarcato che, oltre alle tematiche più evidenti, bisogna anche tenere in conto i problemi conseguenti alle scarse capacità visive dei fedeli più anziani. Una progettazione tecnologica poco attenta potrebbe indurre fenomeni di abbagliamento che non fanno che ulteriormente ridurre le capacità visive delle persone.
  
Mons. Giuseppe Russo (Responsabile del Servizio nazionale Edilizia di Culto della C.E.I.), richiamandosi a quanto scritto nella Nota pastorale La progettazione di nuove chiese del 1993 al n. 30, ha spiegato che «l'opzione fondamentale... dev'essere di conferire priorità alla luce naturale e ciò in ragione dell'importanza che rivestono gli elementi naturali nell'ambito di ogni celebrazione», che a loro volta riconducono al concetto di creazione. La luce artificiale è fondamentale per le celebrazioni in ore serali o antelucane e ha anche la capacità di tradurre con efficacia la grammatica liturgica, laddove la qualità architettonica è adeguata. Al proposito, ha notato Russo, «c'è un divario enorme tra i progetti che nascono per affidamento diretto e quelli che sono frutto di concorsi».
 
Mons. Stefano Russo (Direttore dell'Ufficio Nazionale per i Beni Cultuali Ecclesiastici della C.E.I.) ha preso spunto da una visita poco prima effettuata presso un'importante basilica barocca, dove i fasci di luce dal basso esaltavano le volte riccamente ornate dando luogo a scenografie di grande effetto: ma gli altari restavano nella penombra. «Non è raro  constatare la presenza, in chiese di grande valore storico artistico, di moderni e sofisticati impianti tecnici realizzati con lo stesso criterio col quale sarebbero stati pensati per un museo». Simili osservazioni possono essere svolte riguardo all'uso di casse acustiche che, in un'altra chiesa, sono state nascoste sopra i cornicioni, diventando così inservibili allo scopo della corretta diffusione del suono. Sono esempi di atteggiamenti «consumistici» che non tengono conto dell'identità del luogo. Per risolvere problemi come questi è necessario che il committente acquisisca la capacità di rivolgersi a personale competente con cui dialogare con cui dialogare nel merito, non limitandosi alla scelta dell'offerta apparentemente più vantaggiosa.
 
S.E. Mons. Angelo Scola (allora Patriarca di Venezia), intervistato da Don Gianmatteo Caputo (direttore dell'Ufficio Promozione BB CC del Patriarcato) ha ricordato che «grazie alla luce possiamo legarci al cosmo ed essere accompagnati a cogliere i diversi aspetti della realtà... L'esperienza degli ultimi trent'anni ha maturato in me la convinzione che un utilizzo dinamico della luce sia fondamentale: l'azione liturgica, l'adorazione eucaristica, la preghiera personale silenziosa o un'eventuale lectio divina, rappresentano modalità diverse di fruizione dello spazio liturgico, ciascuna dotata di carattere proprio e bisognosa di essere assecondata attraverso un uso intelligente della luce». Per spiegare come la luce contribuisca grandemente all'individuazione dei poli liturgici, Scola ha detto «... non amo quelle chiese-aula in cui la luce irrompe in modo uniforme, riducendo il raccogliersi dei fedeli a una semplice assemblea sociale. Il fedele che entra in una chiesa dev'essere subito orientato all'altare e alla appella del Santissimo Sacramento, deve insomma essere guidato...».
 
Don Vincenzo Barbante (Delegato Regionale per l'Edilizia di Culto della C.E.I.) richiamando il ruolo primario del committente nel predisporre e conservare i luoghi di culto, ha evidenziato alcuni problemi che si manifestano. Anzitutto il fatto che il committente non è un singolo, ma un insieme variegato di persone a volte dalle volontà contrastanti. E al problema di armonizzare i desideri e le sensibilità di sacerdoti, parroci, comunità parrocchiali, uffici diocesani, si somma quello di rispondere alle esigenze delle Soprintendenze, che mirano alla conservazione dei manufatti esistenti ma a volte mostrando una carenza di sensibilità verso le esigenze cultuali. In tali circostanze «la casistica ci consegna chiese troppo buie o troppo illuminate, illuminazioni non funzionali ai luoghi liturgici, alle dinamiche celebrative, all'apparato iconografico, scarsa attenzione agli aspetti manutentivi (per esempio luci irraggiungibili in caso di guasto). Lucernari (elemento ricorrente se non addirittura costante nell'architettura moderna) realizzati senza la dovuta perizia e quindi destinati a produrre gravi infiltrazioni».
 
Mons. Sergio Di Giusto (Referente BB CC per il Friuli Venezia Giulia e Direttore Ufficio BB CC EE di Udine) ha riferito su quanto avvenuto nella Chiesa udinese dopo il terremoto del 1976. Se l'aspetto positivo dell'opera di ricostruzione è stata la collaborazione che si è generata nelle comunità per ripristinare gli edifici in tutto o in parte distrutti, il limite dell'operazione nel suo complesso è stata la fretta, a conseguenza della quale poca attenzione rivolta ad alcuni aspetti, tra i quali l'illuminotecnica. «Ci si è limitati a mettere in opera corpi illuminanti tradizionali (alogeni e non), prevalentemente a “luce indiretta o riflessa”, valorizzando solo l'altare della celebrazione eucaristica senza tener conto delle diverse “azioni” liturgiche». Questo anche perché l'aspetto illuminotecnico è stato considerato secondario rispetto agli edifici nel loro complesso. Ma da questa esperienza la Chiesa udinese ha tratto importanti insegnamenti per il suo comportamento negli anni successivi.
 
Giancarlo Zappa (Direttore Generale  dell'Istituto Italiano del Marchio di Qualità) ha evidenziato l'attenzione che va posta sulla sicurezza degli impianti a fronte degli agenti atmosferici esterni e della protezione degli utenti. Ha evidenziato inoltre che parte della qualità dell'impianto è la verifica delle prestazioni «in quanto permette di progettare e ottenere la giusta quantità di luce emessa nella giusta direzione» senza spreco di energia e in modo tale da valorizzare i singoli oggetti e le specifiche azioni.
 
P. Silvano Maggiani O.S.M (Docente di Liturgia presso la Facoltà Teologica Marianum di Roma) ha parlato della propria esperienza di consultore dell'Ufficio delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice negli anni Ottanta: nella Veglia Pasquale la processione che muove verso l'altare dopo l'accensione del cero avveniva un tempo in una basilica di San Pietro illuminata. Laddove tale processione deve avvenire, come s'è convenuto, nella semioscurità così da dar valore alla progressiva accensione delle candele in mano ai fedeli. «Da allora è stato attuato un uso della luce artificiale più proprio della Veglia e della veritas delle sequenze rituali: nel semibuio dell'invaso, alla terza acclamazione a Cristo luce, esplode la luce iniziando a illuminare l'area dell'altare e, con brevissimi intervalli di tempo, tutti i banchi della basilica». Così la Casa di Dio si manifesta come Casa della Luce, e questa è la Casa della Chiesa che pratica il culto attraverso azioni che la portano a essere oggetto dell'azione di salvezza e soggetto capace di far propria tale iniziativa divina. La chiesa è Casa della Luce in riferimento all'oggetto della celebrazione e Casa della Chiesa in riferimento al soggetto della celebrazione «formato dagli “illuminati”, coloro che sono stati “liberati dal potere delle tenebre” (Col 1,13). Dell'efficacia di questa consapevolezza di articolazione del senso della domus rendono testimonianza numerose componenti architetturali o dell'invaso della domus lungo la storia dell'edificazione delle chiese: l'orientamento dell'insieme architettonico a est in riferimento al cammino della luce naturale; lo sviluppo delle finestre/vetrate, dei mosaici, delle absidi, della cupola; lo sviluppo di lampade, lampadari, candelieri... Ma l'articolazione del senso di ciò che si dà a vedere (estetica) si traduce in poietica quando gli illuminati entrano nei luoghi celebrativi per celebrare la luce-salvezza: Luce e illuminati sono coinvolti nel processo simbolico rituale proprio di ogni azione liturgica».
 
Mons. Carmelo Pellegrino (Docente di Scienze Bibliche presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma) ha palato della luce nella Bibbia, dove fin dalle prime pagine si presenta come segno della presenza del divino. Pur senza un'equiparazione tra luce e divinità «si forniscono immagini suggestive che raccontano del volto “luminoso” di Dio o del suo essere “avvolto dal fuoco”». Lo splendore di Dio è abbagliante e non sostenibile da occhio umano e la cultura giudaico-cristiana è innanzitutto volta all'ascolto della Parola (“shemà Israel”). Ma ecco che, «come leggiamo nel libro dei Salmi, la Parola di Dio è “lampada ai miei passi, luce sul mio cammino”». E il percorso di vita del credente, impegnato a camminare sui “sentieri della luce” di cui parla Isaia «è illuminato dalla Parola, nostra sicura guida anche quando, nel trambusto della quotidianità, attraversiamo una “valle oscura”».
 
S.E. Mons. Franco Giulio Brambilla (all'epoca Vicario per la Cultura della Diocesi di Milano, Docente presso la Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale) ha inquadrato il tema “luce” nel contesto storico antropologico ricordando come sempre la luce, intesa quale espressione stessa della vita, sia stata associata alla divinità. Per designare questa infatti, riferisce Julien Ries, gli antichi indoeruopei «utilizzavano la parola deiwo, dalla radice dei che ha significato di “brillare”, “emettere luce”, da cui deriverebbe lo stesso vocabolo theos, deus, dio... ». Ma la luce è collegata anche all'atto del conoscere, attraverso la visione, che di quello è la fonte primaria. «I medievali distinguevano tra  lumen (l'agente esterno di natura fisica) e lux (l'effetto psichico e soggettivo connesso alla visione): purtroppo le traduzioni moderne di luce, luz, lumière, Licht e light rendono con una sola parola questa duplice valenza! Solo gli artisti, i poeti e i mistici riescono attraverso lo splendore dell'ente a cogliere la sua profonda intimità: questo gesto è l'emozione e l'accesso alla realtà dell'essere, anzi, del mistero santo di Dio».
Nella chiesa la luce ha un senso spirituale, che comporta l'accentuazione dell'esperienza del passaggio dal profano al sacro, un senso spaziale, che implica la presenza della dialettica luce-oscurità ma anche colore e forma della luce come commento del racconto che nella chiesa si dipana, e drammatico, che appartiene alla dimensione della temporalità: la luce come accentuazione ritmica dello svolgimento dei riti. Mons Brambilla conclude chiedendo: «come è possibile pensare non solo un impianto di illuminazione, ma un vero programma “modulare” di luci per possibilità rituali diverse che ridonino l'incanto di quel gesto originario con cui Dio disse: “Sia fatta la luce! E la luce avvenne. E Dio separò la luce dalle tenebre...”? Perché niente di meno di questo è in gioco: il grande racconto che narra la storia dell'uomo che cerca a tentoni Dio, e di Dio che entra nel dramma separando le tenebre che sempre ci minacciano, dalla luce che risplende. Anticipo del giorno senza tramonto!».
 
 
Don Giuliano Zanchi (Direttore del Museo A. Bernareggi di Bergamo) nello svolgere il tema “Luce e liturgia” nota che l'evento rituale più importante della liturgia cristiana ha nome “lucernario” e segna la celebrazione dell'evento fondante, la Risurrezione. E nel tempio che è fatto di pietre vive, cioè la comunità dei fedeli, la luce sarà «discreta dove la fraternità deve costituirsi e dove la parola deve penetrare negli animi. Sarà vigorosa dove l'intenzione di Gesù ha lasciato i segni più chiari: aurorale nei luoghi del battesimo, splendente sull'altare. Cercherà modulazioni raffinate nei luoghi di passaggio, nei transiti, sulle soglie. Solo molto raramente cercherà lo splendore totale. Immaginerei solo il caso della notte di Pasqua. Il resto, sapienza del chiaroscuro...».
 
21/04/2015
Mons. Enrico Mazza (Docente nell'Università Cattolica di Milano, Dipartimento di Scienze Religiose) ha evidenziato come, dal momento che «non è l'edificio che manda il messaggio, bensì la liturgia che vi si celebra» architettura e la sua illuminazione vanno progettate assieme mantenendo costante la cognizione della gerarchia di valori. L'accento va posto sull'evidenziare le azioni, non gli oggetti o le opere d'arte (a differenza di quanto si nota nelle riprese televisive delle celebrazioni, durante le quali l'obiettivo spesso vaga sulle opere d'arte che ornano muri e volte invece di concentrarsi sull'azione stessa, a partire da quella della lettura). Così, durante le letture la luce va posta sull'atto del leggere: sul libro da cui essa riverbera sul lettore. Ma non va indirizzata sull'ambone come “monumento”. E durante la liturgia eucaristica l'accento va posto sulla mensa dell'altare, «una bolla di luce che avvolga il calice e il pane dell'eucaristia, con i gesti del sacerdote sul pane e sul vino». Insomma: la luce deve seguire le diverse fasi delle celebrazioni così da metterne in risalto il senso. E va opportunamente manovrata, con la stessa cura e sapienza con cui si manovra il turibolo con l'incenso così che sia pronto solo quando è necessario.
 
Corrado Terzi (Ordinario  di Disegno Industriale e docente di Progettazione Architettonica della luce, Facoltà L. Quaroni, Università La Sapienza, Roma) ha riferito la propria esperienza nello studiare l'impianto illuminotecnico per la Necropoli Vaticana: «Ho toccato con mano il paradosso di lavorare per costruire la scena visibile di uno spazio il cui senso e il cui fondamento sta nel non visibile». Ricordando come oggi vi sono tutte le possibilità tecniche per accompagnare con appropriatezza i diversi momenti delle celebrazioni con una luce “dinamica”, nota tuttavia: «Al centro rimane tuttora irrisolto il dubbio che il repertorio visivo messo a disposizione dalle nuove tecnologie della luce di per sé produca effetti scenografici e che di fatto richiami i contenuti, le pulsioni e la ritualità secolare dello spettacolo. E che la “magia” di questa illuminazione sia eccessivamente estroversa, scopertamente tecnica» in cui non si distingue tra una cattedrale e una convention. Ma questo è un problema che non riguarda i mezzi tecnici, bensì il loro uso, affidato alla capacità del progettista.
 
Giorgio Della Longa (Architetto, esperto in illuminotecnica per gli edifici di culto) espone il problema della visibilità dei corpi illuminanti, i quali da certuni sono nascosti così che gli ambienti siano illuminati senza che le lampade siano visibili, mentre altri preferiscono valorizzare le lampade ed esporle anche come elementi dotati di senso simbolico. Esempio del primo approccio è la chiesa Madonna dei Poveri progettata negli anni '50 da Figini e Pollini nella periferia milanese di Baggio. Mentre l'approccio opposto è seguito da Sigurd Lewerentz che nelle sue chiese «non esita a mostrare l'oggetto lampada e a esibirne la fattura».
Nell'esaminare alcune chiese emerse dai concorsi “Progetti Pilota” della CEI, Della Longa nota che in queste per solito gli impianti illuminotecnici sono realizzati con lampade “da catalogo” ad alogenuri metallici e che non si trovano impianti a carattere “dinamico” ovvero capaci di variare l'illuminazione nei diversi momenti delle celebrazioni.
La chiesa realizzata a Lecce su progetto di Purini e Thermes è dotata di una luce “meramente funzionale”, con due file di lampade perimetrali a due diverse altezze, studiate per imitare la luce naturale. Un approccio simile è stato seguito da Gregotti Associati International per la chiesa Massimiliano Kolbe di Bergamo, nella quale si aggiunge una calotta rovescia centrale sul soffitto che riflette la luce perimetrale tutto attorno, mentre da un canale radiale lascia transitare la luce solare sull'altare al mezzodì. La chiesa San Paolo di Foligno progettata dallo Studio Fuksas vede la luce assoluta protagonista, nel parallelepipedo in cemento attraversato da cannoni di luce che reggono il volume interno sospeso a mo' di velario.
 
Gianni Ottolini (Docente, Facoltà di Architettura Politecnico di Milano) ha computo un excursus su alcune delle chiese nuove realizzate nella Diocesi di Milano negli anni Cinquanta e Sessanta del XX secolo, notando come nel dialogo tra committente e progettista questo deve godere di una certa libertà ideativa per poter esprimere la propria arte. Nel parlare delle nuove possibilità espressive risalta il caso di S. Maria Annunziata in Chiesa Rossa: progettata da Muzio nei primi anni Trenta «ha ricevuto nuova vitalità dal posizionamento di linee di neon colorati: blu disposti lungo la l'imposta longitudinale della volta a botte della navata con finestra arcuata sul fronte porticato; rosi lungo gli spigoli dell'alto transetto a copertura piana e finestre laterali su strada; gialli e ultravioletti nell'abside centrale che circoscrive il ciborio a tempietto. La pregnanza emotiva diretta, quasi musicale, propria della luce colorata che ordina in nuovo modo la sequenza degli spazi interni facendoli riconoscere anche dall'esterno, si associa a un'originale esperienza di rimeditazione comunitaria dei valori e delle forme celebrative».
 
Marina Vio (già responsabile del Master in Progettazione della luce alla Iuav di Venezia) ha notato come privati della capacità di «far vivere i simboli, il più delle volte usano la luce in maniera banale e inconsapevole». Soprattutto perché, come risalta nel confronto con le architetture medievali, frutto di autentica collaborazione nel tentativo di cantare lodi al Signore, quelle contemporanee sono tentativi di manifestare la firma del progettista stesso. «Sembra necessaria una profonda riflessione sul senso di costruire il luogo sacro, e sulla necessità di compenetrarsi di sacro prima di avere la presunzione di rappresentarlo».
 
Anty Pansera (Docente di teoria e storia del disegno industriale all'Accademia di Belle Arti di Brera) ha ripercorso la storia degli eventi espositivi sorti a Monza nel 1923 con la prima Biennale, nell'ambito della quale si ebbe luogo anche un'esposizione di arte sacra, coordinata da Mons. Oreste Pantalini, che nel 1908 aveva pubblicato un manuale per il clero, intitolato “Gli stili nell'architettura”. Di tali eventi espositivi, cui si associava anche un'attività commerciale, è erede la Triennale milanese, inaugurata nel 1933. E dal 1989 a Vicenza si svolge Koinè, manifestazione fieristico-espositiva che unisce sia glia spetti commerciali sia quelli culturali, esclusivamente dedicata agli arredi per le chiese. Nel disegno industriale si trova la possibilità di rinnovare l'alleanza tra Chiesa e mondo delle arti.
 
Lorenzo Fellin (Presidente della Commissione Scientifica AIDI per l'illuminazione degli spazi liturgici, ordinario di sistemi elettrici per l'energia presso l'Università di Padova) ha ribadito l'importanza che gli impianti illuminotecnici siano pensati, come ogni altro aspetto architettonico per la chiesa, in funzione del loro senso per definire un ambiente atto alla celebrazione, evitando «derive verso la chiesa teatro con la banalizzazione del presbiterio e dell'ambone ridotti a palcoscenico; della chiesa monumento all'architettura; della chiesa sala polivalente caratterizzata da un improprio sincretismo di funzioni con completa perdita di significato». Ma le nuove tecnologie possono fornire un aiuto prezioso sia nella ricerca di significato, sia nel contenere i costi di gestione. Al proposito ha segnalato tra le innovazioni più significative:
i sistemi prismatici e a guida ottica per il controllo della luce naturale;
sorgenti luminose innovative di elevate prestazioni, buona resa cromatica, lunga durata e piccole dimensioni;
sistemi distinti per la distribuzione dell'energia e del segnale che agevolano la gestione;
cavi a isolamento minerale e sistemi a bassissima tensione;
apparecchi di illuminazione sofisticati e di basso impatto con puntamenti graduati e bloccabili, ben ventilati, dotati di sistemi saliscendi;
scenari illuminotecnici predefinibili correlati all'azione liturgica selezionabili da pannello sinottico. «In definitiva, esistono gli strumenti e le opportunità per un buon uso dell'ingegneria nei luoghi di culto».
 
Sandro Pittini (Progettista di edifici e luoghi pubblici, docente a contratto presso la Iuav e la Facoltà di Architettura di Cesena) ha presentato il proprio progetto per la nuova aula liturgica nella chiesa di San Lorenzo a Cividale del Friuli, posta a ridosso di quella esistente in modo tale da definire un nuovo sagrato interno «tra le due aule liturgiche si apre un deambulatorio vetrato, un atrio le connette attraverso lo spazio comune della vecchia sacrestia. Si forma così una serie di soglie successive che accompagna il fedele» dall'esterno al luogo della celebrazione. La nuova aula è stata intesa come “stanza di luce” e la vetrata orientata a sud cattura e riflette all'interno dalla volta sopra l'abside la luce del giorno nel variare delle ore.
 
Francesca Migliorato (Architetto, Responsabile Illuminazione artistica Enel Sole) ha presentato  il progetto “luce per l'Arte” col quale sono state dotate di nuovi impianti illuminotecnici numerose basiliche storiche. Nel presentare la “filosofia” degli interventi realizzati ha evidenziato la  ricerca di flessibilità. Si tratta di impianti di basso impatto visivo durante le ore diurne e ispirati a principi di reversibilità.
 
Mario Bonomo (Docente di Progettazione Illuminotecnica al Politecnico di Milano) ha spiegato che «non ha senso un'illuminazione artificiale che riproduca l'illuminazione preesistente» nelle chiese storiche, dal momento che fino a poche decine di anni fa la luce è sempre stata assunta come fatto naturale né le candele si intendevano come sistema di illuminazione progettato. Tuttavia oggi si possono realizzare scenari illuminotecnici volti a valorizzare l'architettura, l'arte e la liturgia. E si possono individuare riferimenti adeguati per i differenti ambienti e luoghi. Per esempio riguardo sull'ambone «sembra opportuno un illuminamento di almeno 300 lx» da attivarsi solo quando l'ambone è in uso «con comando azionato dallo stesso lettore» a mezzo di telecomando, per evitare di dover posare cavi dove spesso questo è impossibile.
 
Gianni Forcolini (Docente alla Facoltà del Design, Dipartimento In.D.A.Co. Del Politecnico di Milano) ha riferito sull'analisi svolta con rilievi fotometrici e analisi di archivio da un gruppo di laureandi su otto chiese  del capoluogo lombardo, inclusa la sua cattedrale. «Accade con una certa frequenza che che lo spazio sia colmato di luce e che la penombra o la debole luminosità siano riservati a periodi di inattività» nota Forcolini. I tipi ricorrenti di illuminazione sono quelli a luce diretta o a luce riflessa.
 
Francesco Bianchi (Docente di Fisica Tecnica e Illuminotecnica alla facoltà di Architettura dell'Università Roma Tre) ha riferito in merito agli impianti illuminotecnici in due chiese romane, Trinità dei Monti e la Collegiata di San Lorenzo Martire, di cui la prima ha rappresentato uno dei primi casi in cui i corpi illuminanti sono stati occultati sul cornicione di imposta della volta. Nell'altro caso s'è seguito un approccio aggiornato, distinguendo tra illuminazione esterna e interna. Qui i corpi illuminanti non potevano essere nascosti dal cornicione, di dimensioni troppo  limitate, si è quindi collocata una trave in vetro strutturale che corre parallela al cornicione ove sostenere gli apparecchi illuminanti.
 
Mons. Giancarlo Santi (Vicepresidente della Commissione Scientifica AIDI per l'illuminazione degli spazi liturgici e Presidente dell'Associazione Musei Ecclesiastici Italiani) ha presentato le Linee Guida come «documento che ha intenzioni operative, di orientamento e di stimolo» e pertanto non contiene modelli o esempi da imitare. Rivolte a tutti coloro che partecipano al progetto e alla costruzione di nuovi edifici di culto o all'aggiornamento di quelli esistenti, le Linee Guida hanno tre obiettivi: integrare le indicazioni contenute nei due documenti della Conferenza Episcopale Italiana del 1993 e del 1996, il primo sulla progettazione di nuove chiese e il secondo sull'adeguamento di quelle esistenti; evidenziare l'importanza della progettazione degli impianti illuminotecnici come parte integrante e fondamentale nel progetto, sia di nuove chiese, sia di adeguamenti; promuovere la qualità della progettazione con indicazioni di metodo.
Mons Santi ha così riassunto il contenuto delle Linee Guida:
«In premessa di precisano soprattutto due punti di fondamentale importanza: i diversi ruoli (committente, progettista, impresa esecutrice, eventuale sponsor) e l'itinerario progettuale.
Il primo paragrafo è dedicato a considerazioni di carattere generale.
Il secondo paragrafo, il più articolato e corposo, è dedicato alla luce per la liturgica, alle diverse combinazioni luminose in relazione alle diverse fasi delle celebrazioni liturgiche e ai relativi parametri illuminotecnici.
Il terzo paragrafo è dedicato alla luce al di fuori delle celebrazioni liturgiche: preghiera individuale e comunitaria, visita turistica, eventi speciali, emergenza e illuminazione di servizio.
Il quarto paragrafo è dedicato ai diversi tipi di luce: la luce d'accento, la luce colore. L'illuminazione degli esterni.
Il quinto paragrafo è dedicato alle componenti del progetto illuminotecnico: le sorgenti luminose, gli apparecchi illuminanti, l'impiantistica, la gestione e la manutenzione».
I punti nevralgici da rispettare sono «la precisa identificazione – con le relative distinzioni – dei soggetti responsabili della progettazione e dell'esecuzione del progetto. Secondo: la relazione tra le parti delle celebrazioni e la luce, da tenere presenti nel definire il progetto e i parametri illuminotecnici. Questi ultimi, i parametri, sono sembrati necessari ma vanno considerati in una prospettiva molto ampia e in aderenza alle situazioni concrete».
Un'ultima nota: sia nei nuovi progetti sia negli interventi su strutture esistenti «è di fondamentale importanza identificare e rispettare i ruoli dei diversi attori in gioco».
 
03/06/2014
Il volume costituisce una documentazione tanto importante quanto non definitiva né tanto meno definitoria. La luce nelle chiese ha valenze architettoniche, artistiche, liturgiche, simboliche di assolute preminenza che richiedono caso per caso soluzioni pensate ad hoc e soprattutto frutto di sapienza progettuale e tecnologica cui non può andare disgiunta una capacità poetica che è stata evocata da molti dei relatori e che senza dubbio non si raggiunge con facilità.
Certamente un merito di questa pubblicazione è che problematizza, anche attraverso la pluralità di voci e opinioni, il tema “luce” e così chiarisce che, come peraltro qualsiasi intervento artistico o architettonico, questo non va affrontato con faciloneria e neanche sotto la pressione della fretta. Richiede invece un progetto accurato, che va ovviamente armonizzato con le molteplici istanze (architettoniche, liturgiche, teologiche, ecc.) che riguardano lo spazio della chiesa.
Tale volume quindi non può essere considerato un “manuale”, ma un sussidio capace di ispirare e suggerire. Né può essere considerata un “manuale” la corposa appendice che contiene le Linee Guida complementate da allegati tra i quali un breve glossario e un'utile bibliografia oltre a una serie di riferimenti normativi canonici e civili.
Il volume rappresenta piuttosto un utile strumento volto a generare una cultura della luce con la quale confrontarsi anzitutto per considerare e valutare le situazioni esistenti. Una volta che sia stata acquisita tale cultura, questa servirà per promuovere il dialogo tra tutte le parti che dovranno essere coinvolte nel progetto e nella realizzazione di impianti illuminotecnici e nel migliore utilizzo della luce entro gli spazi per la liturgia e al loro intorno.
 
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